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Intervista a Loris Caruso sul movimento NoTav PDF Stampa E-mail
Rubriche - Letture e spigolature
Venerdì 11 Novembre 2011 00:00

a cura di Laura Cantelmo

Loris Caruso è un ricercatore precario in Scienze politiche e sociali. Collabora con L'Università di Torino e di Milano-Bicocca, dove si occupa di movimenti sociali e comunicazione politica.

 

Dopo il referendum sull'acqua pensi che i No Tav abbiano trovato maggiore solidarietà nel paese?

Già ne avevano tantissima. I No Tav rappresentano un modello molto rispettato. La solidarietà in parte è cresciuta per il legame instauratosi con il discorso dei beni comuni. Questo della Val di Susa, col passare del tempo, è l'unico movimento a reggere, insieme a quello dell'acqua. Anche perché è chiaro a tutti, anche ai più accaniti sostenitori del progetto della ferrovia, che essa non serve a nulla: gli argomenti di costoro non sono mai di tipo tecnico, ma puramente ideologico.

La strategia del coinvolgimento adottata, che implica anche il superamento del concetto di delega, potrebbe servire come modello per altre battaglie nel paese?

NoTav Tour

Si tratta di un modello di democrazia diretta, comune ormai a tutti i movimenti attuali. In Val di Susa, come dovunque, si avverte il fastidio per i partiti come organizzazioni strutturate che hanno fatto il loro tempo. Ne deriva come soluzione una scelta anarcoide che si concretizza nello sparare a zero contro ogni tipo di rappresentanza istituzionale. Eppure nel movimento fin dall'inizio si è mobilitata la sezione locale del PRC, appoggiata in seguito dal centro sociale torinese Askatasuna, che sono realtà innegabilmente strutturate.

 

Per Gramsci i gruppi che affermano che la politica non serve in realtà rappresentano organizzazioni che entrano in competizione con quelle già esistenti.

Nei fatti sparare a zero sui rappresentanti finisce per ritorcersi contro i movimenti, come si è visto il 15 ottobre scorso a Roma. Quello dei valsusini è un modo di procedere più serio: alle elezioni sono state presentate liste civiche No Tav, stabilendo una interessantissima dialettica con il movimento.

 

Non vengono così riconosciuti ufficialmente i promotori e insieme curatori della lotta, il PRC locale e il centro sociale Askatasuna, insieme al comitato tecnico Habitat.

Il clima locale rifiuta in effetti la presenza dei partiti. Di fatto, però, la sezione di Rifondazione viene accettata perché poco burocratizzata e capace di agire con discrezione e senza forzature in un ambiente inizialmente diffidente. Così pure è stato molto valorizzato il centro Askatasuna.

 

Pensi che il lavoro cognitivo conseguente all'opera dei promotori del movimento, che ha reso consapevoli i valsusini della violazione e dell'abuso del proprio territorio portandoli alla consapevolezza del perché il Tav andava rifiutato, si sia consolidato?

Certamente, anche a seguito del passo di elefante tenuto da parte dei responsabili del progetto ferroviario. E' chiaro che i No Tav si sono rafforzati anche a causa della militarizzazione del cantiere, che poi è un cantiere fermo.
Vorrei sottolineare un altro aspetto che ritengo importante nell'affermazione e nella diffusione trasversale del movimento: l'aspetto giocoso, socializzante di tante iniziative, come le feste, ad esempio, hanno dato l'impressione che l'azione comune per uno scopo condiviso ti cambia la vita. In tal modo il movimento si ricompatta e si rafforza.

 

Negli ultimi tempi hai notato elementi nuovi nella lotta No Tav?

Certamente. Visto dal di fuori il movimento manifesta oggi una tolleranza per certe esplosioni dei militanti che prima erano escluse, accettando quindi la durezza dello scontro. Penso che, data la gravità del momento, si sia ammesso anche questo. Però nulla succede che il movimento non voglia: il controllo è massimo, come si è visto nella manifestazione del 23 ottobre scorso. Con grande intelligenza il movimento ha affermato che chiunque compiesse azioni non previste si sarebbe automaticamente posto al di fuori di esso.

 

E' possibile immaginare una conclusione favorevole della lotta contro il Tav che non sia attribuibile solo alla mancanza di fondi dovuto alla crisi?

Sì, per la miracolosa forza espressa dal movimento e anche perché il progetto è costosissimo, irrealizzabile e inutile.

 

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