di Adriana Perrotta Rabissi
Un film centrato sulla ricerca, come forma di lotta, della verità nelle relazioni in una fabbrica guastate dall'individualismo cui induce la crisi economica.
Il mio è uno spunto di riflessione indotto da un film per me “epocale”, ‘Due giorni e una notte’ dei fratelli Dardenne. Mi si passi l’enfasi dell’aggettivo a proposito di un film che, malgrado l’argomento trattato, è attento a non scivolare mai in facili retoriche, consolatori sentimentalismi e rassicuranti moralismi.
Molti film degli ultimi vent’anni, da quando si è manifestata in tutta la gravità la crisi globale del nostro sistema produttivo e riproduttivo, hanno rappresentato la realtà di frustrazione, miseria, disperazione per donne e uomini, legata alle forme del lavoro attuale, o alla perdita di esso.
Le soluzioni contemplate variavano dalla rivolta individuale a forme di organizzazione collettiva, più o meno creative e/o più o meno coincidenti con le forme di lotta tradizionali per salvaguardare il posto di lavoro.
‘Due giorni e una notte’ prospetta una soluzione eccentrica rispetto a queste forme di lotta, perché punta l’iniziativa sulle relazioni tra le persone colte individualmente nella loro soggettività, non sul loro essere masse, classi, categorie sociologiche.
Questo presuppone un cambiamento culturale che, senza negarla, vada oltre la dimensione appunto di una generica solidarietà di classe, perché chiama in causa la consapevolezza di ognuno/a della propria vulnerabilità sociale e della interdipendenza reciproca contro la tendenza all’individualismo e alla competitività come unici modi per sottrarsi a un destino di miseria e degrado.
In altre parole il film invita a fare dell’ attenzione a persone, ambienti, animali e cose il valore fondante della convivenza civile e il principio trasformatore dell’attuale modello di produzione di beni e servizi e di riproduzione sociale. Il momento è favorevole perché lo sviluppo tecnologico raggiunto permetterebbe di liberare tempo ed energie di uomini e donne per questo fine, a patto di rinunciare a mantenere invariati i profitti per i soliti pochi.
Questo suggerisce il film in controluce, anche se narra una vicenda che esita in una apparente sconfitta.
Sandra è operaia in una piccola fabbrica di pannelli solari. Al rientro al lavoro, dopo una lunga depressione, si trova in procinto di essere licenziata a causa di una votazione richiesta dalla proprietà, che ha obbligato i/le sedici compagni/e di lavoro a scegliere tra il suo reinserimento in fabbrica e l’ottenimento di un bonus annuale di mille euro. Nei mesi durante i quali Sandra è stata in malattia l’intensificazione dei ritmi di lavoro per supplire alla sua mancanza è stata sopportata bene, quindi il proprietario coglie l’occasione per liberarsi di un contratto a tempo indeterminato: la concessione di pochi euri a ciascuno/a dipendente gli conviene economicamente più che mantenere Sandra al suo posto.
Con buona dose di ipocrisia però il datore di lavoro scarica la responsabilità del licenziamento sugli stessi lavoratori/trici, costringendoli /le a scegliere tra il bonus e la permanenza di Sandra al lavoro, contando sul fatto che pur essendo una cifra modesta (mensilmente sono circa 80 euri, potenza delle coincidenze!) nella situazione di povertà relativa quale è quella mostrata nel film serve a tutt* per risolvere qualche problema economico.
Una prima votazione, svoltasi prima che Sandra rientrasse, ha dato un esito negativo, solo due persone hanno votato in favore del reintegro di Sandra.
Dopo lo sgomento iniziale, su insistenze di un’amica collega di lavoro e del marito che non vuole vederla annichilita nel momento in cui si è appena ripresa dalla depressione, Sandra ottiene che si indica un’altra votazione per il lunedì e, nell’arco temporale di un weekend, va a parlare con ciascuno/a dei compagni /e di lavoro a chiedere che si voti in suo favore, senza umiliarsi, né recriminare o accusare, ascoltando anche le motivazioni che inducono persone, finora anche amiche, a preferire l’aumento di salario.
Questa volta la votazione avrà un esito diverso dal primo, gli operai/ie si divideranno a metà, otto disponibili a rinunciare al bonus e otto no; al momento in cui Sandra sta per uscire definitivamente dalla fabbrica viene convocata dal proprietario, che, sorpreso della sua capacità di persuasione -forse pensa che un elemento così ascoltato potrà sempre rivelarsi utile?-, le comunica di aver deciso di reintegrarla nel lavoro evitando di rinnovare alla scadenza il contratto di formazione a un giovane operaio immigrato.
In questo modo salverebbe sia lei che il bonus.
Tra l’altro il giovane sacrificando è uno degli otto operai che ha votato in suo favore, pur consapevole della precarietà della sua situazione di giovane e immigrato.
Non occorrono molte parole a Sandra per rifiutare, a queste condizioni non accetta, e se ne va.
Con questa conclusione l’esito della lotta condotta diventa positivo, nove operai/ie, contando anche lei, rifiutano il ricatto del padrone, mentre otto sono quelli/e che lo accettano, ponendosi in una situazione di ulteriore fragilità e ricattabilità, infatti è pensabile che si troveranno esposti ai ricatti futuri, più o meno mascherati, spaventati dall’idea che possa un giorno capitare anche a loro, più deboli nel loro individualismo, perché soli e divisi.
Dopo l’alternanza di paura, speranza, delusione, preoccupazione e voglia di abbandonare l’impresa, che la portano ad una ricaduta nel disagio con tentativo di suicidio, Sandra fa una scelta vincente, che le dà consapevolezza della sua forza, dell’importanza della solidarietà, di cui è stata oggetto e soggetto, che le permette di conquistare nuova autostima, facendola definitivamente uscire dal sentimento di inutilità e insignificanza in cui era piombata, non solo in occasione del licenziamento, anche prima nella lunga depressione.
“Però ci siamo battuti bene”, dice orgogliosamente e con un sorriso soddisfatto, anche se sa che sta per affrontare di nuovo una lunga e frustrante ricerca di lavoro.
Questa frase e il bel sorriso di Sandra, straordinaria la recitazione dell’attrice in tutto il film, sono la chiave del film.
Battersi bene paga comunque, indipendentemente dal risultato raggiunto al momento.
Certo occorre anche disporre degli “aiutanti” di Sandra, un marito come Manu, amoroso e sollecito, che condivide con lei la cura dei figli, una suocera pronta a accudire improvvisamente i bambini per permetterle la sua ricerca durante il sabato e la domenica; un’amica come la collega, che si batte con lei e per lei, e anche la solidarietà di altre e altri lavoratori e lavoratrici, tra i/le quali si distinguono gli immigrati, di più antica o recente immigrazione, che sono i primi a scegliere di schierarsi in suo favore, e a rinunciare a soldi che, a giudicare dalle condizioni di vita, interesserebbero loro più che ai nativi.
Ma sapersi circondare di persone così disponibili significa essere a propria volta disponibili e attenti nelle relazioni che si intrattengono.
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