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USA, note sullo stato delle cose PDF Stampa E-mail
Editoriali e dibattiti - Dibattito redazionale
Mercoledì 05 Agosto 2020 14:57

di Franco Romanò

C'è chi sostiene che il capitalismo è proprio morto.1 Più modestamente noi ci domandiamo: fino a quando gli Usa saranno in grado di continuare a scaricare i costi della loro egemonia imperiale? Partiamo dalle sommosse seguite all’assassinio di George Floyd per andare indietro nel tempo e anche per confrontare questo movimento con quelli precedenti, ma di questi ultimi vent’anni. La differenza è grande, perché il contesto è radicalmente cambiato e perché è diverso anche il movimento. Il numero di chi ha perso il lavoro e non sa se e quando potrà riaverlo ammonta a una metà degli occupati stabilmente. In secondo luogo, ci sono contemporaneamente la pandemia e un crollo verticale della domanda interna, in terzo luogo è cresciuta la radicalità del movimento mentre Occupy wall street, per esempio, era la coda annacquata delle prime esplosioni No global, nato in un momento in cui l’egemonia liberal era ancora forte, mentre il movimento era in crisi dopo i fatti di Genova. Tanto annacquata da avere in Hilary Clinton addirittura un simbolo femminista: fu facile per i democratici convogliare quel movimento nei comitati elettorali pro Obama e poi mandarlo a casa una volta eletto il presidente. Non sarà per niente facile farlo questa volta e basta osservare gli slogan che si sono visti un po’ dappertutto e alcune interviste. Partiamo da Seattle, guarda caso proprio lì. Una parte della città è stata occupata e dichiarata città libera dalla polizia e autogestita; ma ancora più stupefacente nel servizio andato in onda persino alla tv italiana è che la polizia locale partecipa al movimento perché durante la pandemia ha collaborato con le reti solidali per la consegna di cibo e medicinali; questo però significa che le barriere si erano già incrinate prima dell’assassinio di Floyd!

Altra notizia però non ufficiale ma importante è quella di un possibile sciopero in solidarietà con gli afro-americani in memoria di George Floyd, promosso dalla storica organizzazione dei portuali della Costa Ovest – la ILWU – che cercheranno di bloccare i 29 porti della costa occidentale e stanno coordinandosi con l’organizzazione degli scaricatori della costa Est – l’ILA – per promuovere il primo blocco degli scali occidentali e orientali degli Stati Uniti. Le manifestazioni di questi ultimi giorni di luglio a Portland e nell’Oregon sono una conferma che il movimento è radicato e che coinvolge ampi strati di popolazione. Tutto questo è già sufficiente per dire che non è solo lotta di classe, non è ancora rivoluzione, ma qualcosa che assomiglia a un inizio di rivoluzione sì e proprio per gli intrecci molto complessi che si sono creati spontaneamente, in una prima fase, poi in modo più consapevole a sentire certi slogan.

I soggetti principali siano stati i neri dei quartieri poveri, i disoccupati e i riders, il femminismo intersezionale, ma anche chi è funestato dalla mancanza di cure sul covid 19: ricordiamoci del ragazzo di 17 anni lasciato morire fuori dall’ospedale perché non aveva l’assicurazione sanitaria. Probabilmente l’assassinio, anche per le modalità particolarmente efferate e gratuite, ha fatto da detonatore per molti fuochi che covavano sotto ed erano ben più estesi di quanto abbiano capito tutte le componenti del partito democratico. Chi li sostiene? Ci sono certamente reti locali – l’esperienza di Seattle lo dimostra – attivisti, gli Antifa, forse sopravvalutati per via dell’idea di Trump di metterli fuori legge. La rassegna più completa su quanto sta succedendo la troviamo nelle fonti Usa riprese in Italia dal Manifesto, da Officina Primo Maggio e da Sandro Moiso su Carmilla e che sono in continuo aggiornamento. Altri contributi importanti sono il dossier preparato da OPM (https://www.officinaprimomaggio.eu/uprising-voci-dagli-usa/), ma anche i saggi precedenti su lavoro 4.zero usciti anche in sinistra in rete, la postfazione di Sergio Bologna all’opuscolo che abbiamo pubblicato e gli interventi di Angela Davis (https://espresso.repubblica.it/.../angela-davis-intervista-black-lives-matter-1.350267)

 

e di Andrew Jackson (https://www.sanfrancescopatronoditalia.it/notizie/esteri/floyd-il...). A tutto questo possiamo aggiungere un dato più impalpabile, simbolico e difficile da quantificare, ma di quelli che lavorano in profondo nella coscienza delle persone: il re si è mostrato nudo, persino troppo nudo di fronte alla pandemia e il re non è soltanto Trump. Un sistema sanitario inadeguato anche dopo la mezza riforma obamiana, reazioni scomposte, contraddittorie, sparate presidenziali al limite del grottesco: siamo sicuri che la reazione all’assassinio di George Floyd sarebbe stata così vasta e trasversale, se l’intero sistema e non solo Trump non avesse già dato prova di una totale incapacità nel gestire la pandemia? Peraltro è dall’uragano Katrina in poi (Bush figlio), che gli Usa sono incapaci di affrontare le calamità naturali. Infine, la crisi del sistema imperiale statunitense-anglo è molto più acuta rispetto a venti e più anni fa. Proviamo a riassumerne alcune tappe per punti sintetici, forse anche schematici ma ognuno di essi può essere riempito di dati e ulteriori sfumature:

1) La strategia del caos (Leo Strauss, Brezienskj, Luttwack) varata alla caduta del muro di Berlino non ha prodotto gli effetti sperati e si è ritorta contro l'impero americano-anglo.

2) Il tentativo d’imporre un ordine mondiale imperiale dopo gli attentati dell'11 settembre (invasione dell’Iraq caldeggiata da Blair e Bush) è sostanzialmente fallito una seconda volta, causando fra l’altro una forte accelerazione del debito Usa.

3) La crescita inarrestabile della Cina ha portato la strategia del caos a un
punto critico: pensata anche per contrastare la nuova via della seta ecc., con la creazione  di continue zone di conflitto e caos sistemico in tutta l’area medio orientale, in Iran, Afgahnistan ecc,. e si è ritorta contro chi l'aveva pensata.

4) La risposta di Trump al fallimento delle politiche precedenti di Bush e di Obama e cioè protezionismo in forme più o meno acute a seconda degli scenari geopolitici (cauto con l’Europa, deciso con la Cina), ridimensionamento del WTO, fine degli accordi globali e ritorno a una strategia di accordi commerciali bilaterali, ha portato degli indubbi vantaggi economici sul breve periodo, ma non ha indebolito strategicamente la Cina, dal momento che i cinesi hanno dato sempre la priorità allo sviluppo auto centrato e alla domanda interna.

5) I continui e anche scomposti tentativi di attribuire alla Cina la responsabilità del virus, poi di attaccarla un po’ su tutto a geometria variabile possono infiammare la platea della destra reazionaria e i suoi propagandisti, ma non distolgono l’attenzione della maggioranza sui drammatici problemi interni.

6) La pandemia è dunque il precipitato di tante crisi diverse e le ha tutte amplificate in modo esponenziale, accelerandone ogni aspetto.

Trump medesimo non è il precipitato di una crisi soltanto e neppure una bizzarria caratteriale e basta, ma il punto di precipitazione di molte crisi. Ripercorrendo le tappe citate in precedenza si può dire che i primi tre punti corrispondono al fallimento delle presidenze Bush padre e figlio nell’imporre un ordine globale statunitense alla fine della Guerra Fredda. La presidenza intermedia di Bill Clinton non ha apportato nulla di diverso e neppure un’inversione di tendenza, ma solo portato all’estremo la liberalizzazione economica e le privatizzazioni, tentando al tempo stesso di cavalcare il progressismo e il femminismo liberal e cioè la separazione fra diritti civili e diritti sociali. Questo progetto è fallito con la sconfitta di Hilary Clinton. Obama, aveva alzato il livello della demagogia sloganistica interna (yes we can e la finta riforma sanitaria) e sponsorizzato all’estero le guerre per procura travestite da rivoluzioni colorate e con l’aiuto di due leader europei come Cameron e Sarkozy: Libia, Siria, Isis, Ukraina, tentativo di rovesciare il regime iraniano con la rivoluzione verde, ecc. ecc. La presidenza Obama, tuttavia, non ha risolto alcuno dei nodi che gli altri avevano ingarbugliato prima di lui: ha indebolito l’Europa (il famoso fuck Europe di Hilary Clinton segretaria di stato pronunciato a microfoni spenti o lasciati accesi per farsi sentire), che probabilmente ha indirettamente favorito anche la Brexit, lanciando il segnalo che l’Europa agli Usa non interessava più, ha aperto un nuovo scontro con la Russia di Putin che ha tuttavia rafforzato Putin in Medio Oriente, non ha indebolito la Cina e aumentato il caos un po’ dappertutto e favorito persino l’espansionismo turco nel Mediterraneo. Trump arriva alla fine di una fila di fallimenti geopolitici e di acutizzazioni di tutte le crisi e i suoi tentativi di risolverle sono anch’esse convulsioni, ma vanno capite anche nei loro punti di forza e non solo nelle debolezze. Negli Usa è atto una doppia radicalizzazione: a livello dei movimenti e a livello istituzionale, che sta spiazzando entrambi i partiti. I due processi corrono in parallelo e a velocità diverse e non è chiaro dove avverranno i punti d’intersezione, ma quello che sembra evidente è che l’accelerazione è in atto e può essere molto brusca, specialmente se la pandemia continuerà a manifestarsi in modo così esponenziale come sembra e con un sistema sanitario che continua a non aver strategie di prevenzione, nonostante i continui interventi di Fauci. Il maggiore dei punti di forza di Trump rimane quello per cui è arrivato alla presidenza: saper aggregare un fronte sovranista, bianco e reazionario negli Usa e in Europa: una vera e propria internazionale nera che ha in Bannon il suo braccio sul continente europeo. La sua maggiore debolezza rimane il fronte interno e la tenuta del movimento. Dopo le dichiarazioni durissime di Mattis e i tentativi maldestri di apertura di Trump sulla riforma della polizia sono arrivate le due delibere della Corte Suprema, prima sulle persone LGBT e poi sui Dreamers: dimostrano entrambe che la spaccatura è profonda dentro l’establishment repubblicano, visto che il giudice su cui Trump puntava ha scelto in entrambe le occasioni di votare con i democratici. Potrebbero essere prove di una soluzione bipartizan per farlo arrivare esausto alle elezioni, ma per altri aspetti non sembra proprio sia così. La reazione di Trump è stata veemente: l’invio di agenti federali a Portland e nell’Oregon, cioè negli stati dove ci sono scioperi e lotte, osteggiato dai governatori e anche dalle polizie locali, significa che Trump volere radicalizzare lo scontro. Che sia un segno di disperazione o il contrario, è probabile che nei prossimi mesi giochi due carte: portare lo scontro con la Cina molto vicino alla provocazione militare, attribuendole qualsiasi cosa serva allo scopo, reprimere le manifestazioni e gli scioperi sfidando l’inconsistenza del partito democratico. Se il movimento saprà trasformarsi e radicarsi ancora di più, smarcandosi anche dalla dinamiche interne ai due partiti, potrebbero crearsi situazioni inedite e molto interessanti.

 

 


1 Ci riferiamo ad es. agli articoli di Maurizio Novelli pubblicati da Milano Finanza e ripresi dal Sole 24 ore e anche da sinistra in rete: Perché il capitalismo è praticamente morto: Maurizio Novelli: Perché il sistema capitalistico è praticamente morto. Aldilà dei titoli l’interesse di tali articoli sta nel fatto che a scriverli è un guru della finanza  e un gestore di fondi.

 

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