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Dall'insorgenza diffusa al mutualismo antagonista PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Con Marx e oltre il marxismo
Martedì 21 Marzo 2023 08:13

Introduzione

 

Il convegno di due giorni che si è tenuto alla GKN di Firenze l’11 e il 12 febbraio scorsi ha proposto molte iniziative e offerto molte riflessioni; in questo scritto il campo sarà ristretto al mutualismo e ai progetti di re industrializzazione virtuosa, che mi sono sembrati i momenti più innovativi. Chi vuole approfondire altri aspetti, li trova sia visitando il sito del collettivo, sia consultando il programma del Festival della letteratura Working class di fine marzo.

Le esperienze presentate di seguito e di cui si è discusso nei gruppi di lavoro  sono solo alcune perché  non ho potuto seguire tutti i gruppi, vista la contemporaneità degli orari; inoltre sono diverse, sia per peso specifico, sia per la durata e il consolidamento del loro percorso. Tuttavia, esse hanno tutte un filo che le lega insieme e che gira intorno ad alcune parole chiave: mutualismo conflittuale, autogestione, buone pratiche.

Da McDonald’s alla ristorazione di quartiere

La prima esperienza viene da Marsiglia, dove i lavoratori e le lavoratrici di un McDonald’s situato in una zona periferica si ritrovarono di punto in bianco la lettera di licenziamento. A raccontare tutta la vicenda sono stati due donne e due uomini del collettivo.

Dopo il licenziamento avviarono subito la vertenza con proteste e scioperi, ma non si sono limitati a chiedere semplicemente la solidarietà del quartiere o di altre fabbriche: il collettivo si è posto da subito il problema del luogo in cui si trovava e delle sue esigenze. Così, invece d’intraprendere il percorso standard di molte vertenze della stessa tipologia, più o meno ovunque - cassa integrazione o strumenti simili, ricerca di un nuovo proprietario ecc – i lavoratori scelsero da subito l’ipotesi di autogestione e rilevamento del sito ma anche l’idea di cambiare il tipo di offerta di ristorazione.

Un importante passaggio del loro intervento è stato proprio all’inizio, quando tutto è cominciato: invece di pensare semplicemente alla vertenza il collettivo si è chiesto:

 

“che cosa volevamo fare delle nostre vite,”

 

intendendo con questo che non avrebbero accettato ipotesi di trasferimento in altre località.

La ricerca di alleanze nel territorio è sfociata in un progetto di rapporto con le imprese agricole di prossimità per arrivare a una proposta di ristorazione più adatta alle esigenze del quartiere e anche alle tradizioni locali. Alla fine sono riusciti nel loro intento, anche grazie ad appoggi istituzionali. Naturalmente questa come altre esperienze simili dovrà reggere alla prova del tempo, ma dimostra che un altro approccio è possibile.

 

 

 

 

Comunet di Torino

Comunet è prima di tutto un gruppo di persone che si sono poste il problema che per vivere meglio bisogna stare tutti e tutte un po’meglio. Detto in questo modo può sembrare una banalità, ma è invece stato per loro un punto di partenza. La prima cosa che hanno fatto è un censimento delle competenze che potevano essere socializzate dal gruppo e in secondo luogo hanno deciso di dotarsi di un minimo di risorse monetarie per avviare il percorso. Sulla base dell’Isee di ciascun componente hanno stabilito una quota per costituire una cassa. Hanno scelto infine di operare in uno dei quartieri più difficili di Torino e cioè il Barriera di Milano, un tempo noto per le sue lotte operaie, ora molto disgregato. L’approccio che hanno seguito è stato molto empirico, nel senso buono del termine: farsi conoscere, ascoltare, orientarsi. Hanno scelto di volantinare nei mercati e nei luoghi più canonici e più frequentati, per dire cosa volevano fare e intercettare le domande che venivano loro incontro. Hanno aperto un centro d’ascolto e il primo bisogno che hanno intercettato è stato di ordine psicologico: da lì sono partiti per allargare il cerchio. Poi è arrivato il Covid e l’iniziativa principale, come è accaduto in altre situazioni, è consistita nella consegna di pacchi di cibo e interventi di soccorso. Si è così creato un retroterra di fiducia e visibilità che finita l’emergenza ha intercettato domande e bisogni imprevedibili e diversificati. Il collettivo, tuttavia, anche nei momenti di crisi più gravi, non si è mai posto in relazione ai bisogni intercettati come un gruppo di assistenza, puntando invece sempre alla compartecipazione e condivisone di progetti. In uno slogan, in Comunet dare e ricevere vanno insieme o non vanno. Negli ultimi tempi è nato un rapporto con alcuni ricercatori intorno al problema degli infortuni sul lavoro, molto importante viste la gravità sociale e la  recrudescenza. Su queste basi stanno pensando a un programma di vertenze di zona e altre iniziative, insieme ad altri soggetti territoriali.

 

Il progetto mutualistico GKN

(La GKN plc è una multinazionale britannica che si occupa principalmente della realizzazione di componenti destinate alle industrie del settore automobilistico e quello aerospaziale. Wikipedia)

Il progetto pensato dal collettivo GKN è il più complesso e ha diversi attori e fasi. La costituzione della Aps SOMS Insorgiamo - Società operaia di mutuo soccorso – è la struttura che serve a molti scopi e prima di tutto a garantire una cassa di resistenza per fare fronte alla mancanza di stipendio da ben sei mesi; in secondo luogo per attivare il prestito di autogestione. Un terzo soggetto è rappresentato dai solidali, cioè da gruppi e individui che non appena è iniziata la vertenza hanno solidarizzato con essa e fatto proposte. Uno di questi gruppi, fiorentino, ha proposto un rapporto con Mag, un broker che si occupa di rifinanziare progetti industriali e con Banca etica, per arrivare a ottenere un prestito senza interesse. Più a lungo termine, sembra possibile anche un rapporto con l’Unione delle cooperative per attivare una sinergia di carattere economico ma anche un sistema di solidarietà diffuso. Queste scelte hanno inasprito lo scontro e inaugurato una nuova fase della vertenza. La reazione della proprietà è stata immediata e cioè la messa in liquidazione della finta società creata da Borgomeo con il solo intento di guadagnare tempo e sperare nel venir meno della capacità di resistenza da parte degli occupanti. La mossa era stata prevista dal collettivo, che proprio per questo ha preparato da tempo la propria proposta di re industrializzazione del sito con l’obiettivo strategico di una fabbrica pubblica socialmente integrata: da tale riflessione è nata anche la messa a punto di un nuovo prototipo di Cargo Bike. I prossimi passi dipenderanno anche dalla rapidità con cui si riuscirà ad attivare tutte le iniziative indicate in precedenza e dalle decisioni del commissario liquidatore, nonché dalle istituzioni locali che sono parte in causa della vertenza. (Un passaggio importante saranno la nuova mobilitazione del 25 marzo ’23 e il Festival.

 

Alcune riflessioni e un po’ di storia. 

L’Aps Soms Insorgiamo è lo strumento più importante attivato dal collettivo di fabbrica, che riscopre la tradizione delle società operaie di mutuo soccorso ottocentesche. Giustamente, a mio avviso, il collettivo ha sottolineato con un certo orgoglio la sua riscoperta. Lo stesso dato è stato sottolineato da altri e in alcuni passaggi dell’intervista di Dario Salvetti a Jacobin, uno in particolare assai interessante, che riguarda l’articolo 11 dello statuto dei lavoratori, su cui anche loro hanno fatto affidamento:

Chiamate in causa l’articolo 11 dello Statuto dei lavoratori per dare forza a questo progetto?

L’articolo 11 dello Statuto dei lavoratori è un essere bizzarro. Giace dimenticato, non sviluppato né in senso restrittivo né in senso generale. Poche righe essenziali che riconoscono di fatto che gli spazi aziendali e lavorativi sono a disposizione dell’attività di promozione comunitaria, culturale e associativa delle lavoratrici e dei lavoratori. Ci sarebbe da chiedersi perché nel 1970, con un biennio rivoluzionario alle spalle, con il nostro sangue ancora caldo a Piazza Fontana, il movimento operaio organizzato sentisse il bisogno di includere questo punto nella carta fondamentale dei suoi diritti.

Quel sindacato era ancora capace di conservare al proprio interno la memoria di una storia operaia in cui le società di muto soccorso, e le casse di resistenza per sostenere gli scioperi - che nacquero in molti casi prima dei sindacati e dei partiti della classe operaia - svolsero un ruolo decisivo. Riscoprirle oggi dopo i fasti e i nefasti del socialismo scientifico, sia nella sua versione rivoluzionaria, sia socialdemocratica, significa rilanciare un progetto di soggettività che pone l’accento sull’Autogestione: un cambiamento radicale di prospettiva che ha tuttavia una delle sue radici nelle parti più innovative del pensiero di Marx sul General Intellect, ma anche nelle poche ma tuttavia significative definizioni di comunismo che si possono rintracciare nelle sue opere. In esse predomina il concetto di liberi produttori associati. Anche l’esperienza di Comunet parte proprio da questo: la possibilità di socializzare e mettere in comune competenze diverse ma anche diffuse nella società, un fatto che era ancora embrionale quando nacquero la società di mutuo soccorso. Allora, l’esigenza minima di autodifesa esauriva gran parte dell’attività. Il processo di acculturazione e le stesse trasformazioni tecnologiche portano a una naturale diffusione di saperi, se si vuole davvero utilizzarli in senso solidale. L’esperienza stessa della GKN dice anche questo: un’industria avanzata, in cui le competenze diffuse sono assai elevate e infatti l’occupazione è stata possibile anche per questa ragione e ha messo in scacco la proprietà che non si aspettava di dover affrontare un livello di consapevolezza e insieme di capacità di gestire l’azienda stessa così forti. Anche se l’esperienza in quanto tale è difficilmente esportabile, proprio perché molto avanzata, ci sono però alcune riflessioni più generali che si possono trarre e a cui accenna anche Salvetti con accenti autocritici quando dice in un passaggio dell’intervista a Jacobin che forse avrebbero dovuto pensare anche prima all’attivazione di questo strumento mutualistico. Credo che su questo punto occorra ragionare. Nel ritardo ha giocato probabilmente un ruolo l’aver dato credito alla possibilità che si aprissero dei tavoli seri di contrattazione, una speranza che sembrava ragionevole perché legata proprio dall’alta qualità della GKN e perché non si trattava di un’azienda in crisi. La prima riflessione generale che si può trarre è allora che nell’epoca del capitalismo finanziario, neppure fare profitto industriale è un criterio valido per tenere aperta un’azienda, specialmente quando i proprietari sono fondi d’investimento come Melrose. Il secondo insegnamento che si può trarre  è che per qualsiasi insediamento industriale e non, il rapporto di prossimità è essenziale sempre, non è qualcosa da scoprire solo nel momento in cui c’è una vertenza e una solidarietà da chiedere. È stata questa del resto l’esperienza del movimento argentino delle fabricas tomadas y recuperadas, successivo alla crisi del 2000 ed la stessa esperienza compiuta dalla Rimaflow, da cui è nata nel tempo anche Fuori Mercato. Proprio questo è stato l’oggetto dell’ultimo intervento dei gruppi di lavoro domenica mattina.

La ricostruzione del percorso della Rimaflow da parte di Gigi Malabarba metteva in evidenza proprio questo. Non importa se si parte da un  confitto che genera vertenze oppure da un progetto solidale: importante è non tenere separati i due momenti. La solidarietà senza progetto è una forma di assistenza, rispettabile ma che rimane tale: allo stesso modo una conflittualità senza progetto che coinvolga anche altri soggetti non esce da ambiti strettamente  e spesso angustamente sindacali. Esperienze simili sono avvenute anche in Francia, per esempio Notre dames des landes, dove una comunità è riuscita non solo a impedire la costruzione di un aeroporto, ma avviare un percorso di Autogestione in movimento che ha resistito per anni. In tutte queste esperienze di superamento dai parametri novecenteschi mi sembra che ci sia anche il tentativo di liberarsi dall’ossessione del potere, trasformatosi peraltro nel tempo in una grottesca ossessione per il governo: come se non bastassero anni di coalizioni - non solo in Italia - formalmente di sinistra e puntualmente votate al peggior neoliberismo nei fatti. Il rapporto fra governo, potere e società civile si pone oggi in un contesto assai diverso da quello novecentesco. Il caos sistemico non può essere contrastato con la rigidità di processi di centralizzazione politica; tanto meno con la ricerca spasmodica del soggetto. Sono piuttosto le soggettività diffuse, diverse e impreviste a spostare gli equilibri, specialmente quando sono capaci flessibilità e immaginazione.

 

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