di Adriana Perrotta Rabissi
Nei momenti di crisi, pandemie, guerre, povertà, miseria, insicurezza collettiva e individuale, fragilità avvertite più o meno improvvisamente, la collettività degli uomini ricorre allo strumento principale che ha per proteggersi: l'imposizione. alle donne -con le buone o le cattive dei ruoli femminili "naturali" di madre e moglie, compagna, sostegno amicale....-. Si chiama patriarcato
Nel 2019 Antonella Picchio e Giuliana Pincelli pubblicano un libro che ricostruisce la storia dei gruppi Lotta Femminista e Salario al Lavoro Domestico di Modena e Ferrara, gruppi di una rete nazionale del femminismo degli anni Settanta, collegata alla International Wages for Housework Campaign (1) Il libro è pubblicato nel giugno 2019, nel dicembre c’è la comunicazione ufficiale dello scoppio della pandemia in Cina, la vicinanza di queste date è una interessante coincidenza se si considerano i temi trattati nel testo, focalizzato sulle lotte contro il carico di lavoro delle donne -che oggi chiamiamo Lavoro di Cura ma negli anni Settanta si chiamava Lavoro Domestico- e se si riflette sulle conseguenze per molte del periodo di confinamento obbligatorio, il lockdown, nei termini di intensificato impegno di carichi familiari, impegno legato alla visione stereotipata di ruoli e funzioni di genere sedimentata nelle nostre cultura e società. Un’indagine condotta durante il periodo della pandemia dall’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr-Irpps Covid 19 ha messo in risalto il fatto che se le conseguenze psicologiche, sociali, economiche hanno colpito l’intera popolazione con il corredo di emozioni negative: tristezza, paura, ansia e rabbia, il lockdown “ha impattato negativamente soprattutto sulle donne, sia a livello psicologico che lavorativo (significativo anche l'aumento delle violenze domestiche)… l’isolamento forzato [è stato visto] come il momento in cui la donna ha potuto riacquistare ‘il suo ruolo naturale di madre e moglie”. (2) Come succede nei momenti di crisi e soprattutto in guerra, non a caso l’ordine del discorso dominante per tutto il periodo della pandemia è stato improntato alla guerra contro il virus, nel lessico, nei toni e nelle espressioni di scienziati/e, medici/che, politici/che, opinionisti/e, giornalisti/e…. La guerra ripristina l’ordine sociale disordinato dalle lotte delle donne.
Nulla chiama in causa la questione delle relazioni tra gli uomini e le donne come le guerre, guerreggiate, minacciate, mascherate, ignorate, nulla quindi, in ultima istanza, risulta più rassicurante per arginare indesiderati cambiamenti di mentalità, atteggiamenti, comportamenti e costumi. Come dimostra la ricerca citata il destino femminile di cura e accudimento, interiorizzato nell'educazione di genere, ritorna a essere risorsa sociale, collettiva e individuale, fattore di esaltazioni e riconoscimenti altrimenti negati, storicamente determinato, presentato come corrispondente all'attitudine naturale di una donna.
Accanto alla ricca documentazione presentata nella prima parte del libro costituita da analisi, teorie, articoli, volantini, manifesti, foto, nazionali e internazionali sui i temi del Lavoro Domestico, del Doppio lavoro, della violenza domestica, della salute, della maternità, della sessualità, dell’amore, della prostituzione, nella seconda parte le autrici hanno lavorato sulla memoria personale e sulle emozioni che trasformarono le loro vite, ripercorrendole alla luce delle consapevolezze maturate nel corso degli anni. Rispondendo alla domanda di Giuliana perché abbia deciso di aderire alla richiesta della Fondazione Badaracco di riesaminare quell’esperienza politica a distanza di tanti anni Antonella osserva:
“…l’ho fatto perché sento aleggiare un nuovo vento che rigenera e spinge a condividere le esperienze fatte, a riprendere un cammino che tanti anni fa ha cambiato le nostre vite, facendole fiorire. Sento anche un senso di urgenza e un bisogno di radicalità che però ha bisogno di molta forza collettiva per essere sostenuta. I diversi refoli di aria nuova devono essere incanalati in un forte vento, capace di spazzare via le correnti reazionarie che stanno ammorbando l’aria… Il problema è quello di costruire la forza collettiva in grado di rendere questa radicalità chiaramente dicibile e effettivamente agibile. Una forza in grado di incanalare a livello globale le tante correnti d’aria che stanno smuovendo il femminismo a livello globale in un uragano dirompente, senza confini.”
La bella immagine dei refoli d’aria che unendosi possono trasformarsi in uragano dirompente rimanda alla leggerezza e al contempo alla forza in grado di travolgere gli ostacoli opposti alle lotte delle donne in tutto il mondo e disperde la sensazione di smarrimento che può cogliere di fronte alle tragedie nazionali e internazionali che le coinvolgono oggi, in un clima culturale e ideologico che tende a riproporre regole e gerarchie economiche e sociali atte a ridare fiato a livello planetario a un patriarcato traballante, pur con diversi gradi di intensità e violenza a seconda delle condizioni materiali di vita, e a un capitalismo che, alla ricerca continua di nuove fonti di profitto, intensifica le disuguaglianze sociali e appare sempre più determinato a giovarsi dell’enorme mole di lavoro non pagato erogato dalle donne a sostegno quotidiano e capillare di una massa di uomini deboli e fragili di fronte allo sfruttamento e alla frustrazione derivanti loro dal sistema. Vale a dire donne impegnate sull’intero globo nel lavoro di riproduzione nei molteplici aspetti: biologico, sociale, psicologico, sessuale.
Viene da chiedersi, con Pincelli e Picchio, come sia stato possibile che una tale ricchezza di analisi e di proposte politiche di un Movimento di dimensione nazionale, radicato in venti città italiane, collegato con realtà impegnate in lotte dello stesso tenore in Inghilterra, USA e Canada, abbia avuto così poca risonanza mediatica e sia stata quasi ignorata dal resto del Movimento di allora in Italia, così da determinare una deplorevole separazione tra due filoni di pensiero e pratiche del femminismo che avrebbero dovuto procedere strettamente connesse, integrandosi reciprocamente, che ha nuociuto non poco al contrasto di processi messi in atto dalle istituzioni politiche e sociali del paese, contro i quali ci troviamo oggi a combattere.
La separazione, quando non un vero e proprio conflitto, si verificò tra due filoni fondamentali del neo-femminismo, uno caratterizzato dalla pratica politica dell’autocoscienza, che poneva l'accento sulla necessità di indagare prioritariamente la complicità delle donne nel sostegno all’ordine del discorso patriarcale, per dare vita a una reale modificazione dello stato delle cose, l'altro impegnato a combattere contro lo sfruttamento del lavoro della donne nelle case e nel sociale, trascurando lo sguardo dentro le soggettività in merito alle fantasie, alle paure, ai desideri, alle aspettative delle donne derivanti dalla interiorizzazione dell’ordine del discorso vigente, con il suo corredo di abilità, funzioni e compiti storicamente determinati ma naturalizzati come costitutivi del maschile e del femminili,e
Il linguaggio usato nei documenti riportati nel libro risente molto di quello delle lotte operaie negli anni Settanta, periodo nel quale all’interno del femminismo era diffusa la diffidenza nei confronti degli strumenti analitici marxiani impiegati nelle analisi, per timore di un assorbimento e conseguente neutralizzazione dei contenuti della lotta femminista nella più generale lotta di classe. A questo proposito è interessante notare che i gruppi di Modena e Ferrara, diversamente dagli altri dello stesso orientamento politico, praticavano l’autocoscienza. Si può anche pensare che forse i tempi non erano ancora maturi per discorsi che si battevano contro processi sociali e politici allora all’origine, che si sarebbero dispiegati massicciamente e più chiaramente nei decenni successivi, sta di fatto che la mancanza di lavoro comune tra i due filoni del Movimento italiano non è stato un elemento positivo per il Femminismo.
Nella parte finale del libro un dialogo tra Pincelli e Picchio propone una riflessione sul presente, Giuliana chiede:
“C’è qualche aspetto del movimento di lotta delle donne oggi, a livello globale, che ha legami e affinità con le posizioni teoriche e le prassi seguite negli anni Settanta dai gruppi per il Salario al Lavoro Domestico sia in Italia che nella rete internazionale?”
Antonella risponde: “In realtà con il movimento di Non Una di Meno è facile trovare punti in comune per quanto riguarda gli obiettivi del Piano femminista contro la violenza maschile contro le donne e la violenza di genere…..Temi ora ripresi con forza a livello globale, della violenza domestica, del lavoro non pagato, del lesbismo, della prostituzione, della intersezionalità, erano molto presenti nel dibattito dei gruppi del Salario al Lavoro Domestico in Italia e in precise azioni politiche portate avanti soprattutto dalle compagne di Wages for Housework in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Canada. A livello globale, I carichi di lavoro domestico, e la conseguente mancanza di un reddito autonomo, condannano le donne a povertà, stanchezza, isolamento e disparità di potere in tutte le negoziazioni sociali, con gli uomini e con lo Stato, nelle città globali di New York e Londra come in quelle provinciali di Modena Ferrara.”
Il film di Paola Cortellesi C’è ancora domani affronta il tema della violenza maschile contro le donne, sventuratamente all'ordine del giorno, in modo apparentemente leggero, risparmiandoci scene crude, individuando i protagonisti della vicenda in un uomo frustrato, rancoroso e disturbato caratterialmente, un padre-padrone violento con la moglie, autoritario con la figlia, un po’ meno con i due figli, avviati a seguire il modello paterno quanto a prepotenza, e la moglie, donna modesta e rassegnata, impegnata a guadagnare qualcosa con lavori di servizio in varie case per far quadrare il magro bilancio familiare, affannata a conciliare i l tempo del lavoro fuori casa e del lavoro domestico, che grava interamente sulle sue spalle e prevede anche l’accudimento del suocero, allettato e molesto. Il tutto ambientato in un contesto deprivato culturalmente e socialmente, a partire dall’appartamento misero, un seminterrato.
La storia si svolge a Roma nel 1946, al momento dell’allargamento del suffragio elettorale alle donne, diritto che costituì a lungo l’obiettivo delle abitanti nelle “democrazie”, alcune delle quali pagarono con la vita la lotta per ottenerlo, diritto che oggi purtroppo sembra aver perso molto della sua importanza data la torsione autocratica delle nostre democrazie, è ambientata quindi in un periodo storico di estrema difficoltà per il paese, all’uscita dalla dittatura, che contava estimatori e estimatrici, e dalla guerra.
La regista, una giovane donna di oggi, rappresenta una realtà di 80 anni fa filtrandola attraverso le consapevolezze maturate alla luce del patrimonio di analisi teorie e pratiche elaborato negli ultimi cinquant'anni dalla nuova coscienza delle donne. La leggerezza della narrazione non nasconde il fatto che la violenza degli uomini sulle donne è strutturale nella nostra cultura e nella nostra società, perché affonda nel modello egemone della relazione donne uomini fondato sull’ordine patriarcale, quindi non imputabile solo a individui disturbati psicologicamente e emotivamente (come spesso viene fatto passare nella cronaca) e a donne che non sanno o non possono sottrarsi all’aggressività del partner per atteggiamento vittimistico, per debolezza o subalternità interiorizzata.
Un modello che ha forgiato le soggettività di uomini e donne, messo in crisi da decenni, ma non ancora smantellato.
Sia il giovane fidanzato, tenero e premuroso, sia il vecchio invalido pieno di rancore per la propria situazione, che i borghesi benestanti condividono tutti la logica di appropriazione delle loro donne, anche se apparentemente non sembrano esercitare violenza fisica, semmai psicologica per dissuaderle dall’intromettersi in discorsi che non le riguardano, di natura sociale o politica.
Un' appropriazione ancora oggi tollerata sotto l’aspetto di possessività sintomo di amore.
La narrazione delinea un percorso di presa di coscienza concentrato in un breve spazio-tempo, ricorrendo quindi a una dimensione visionaria che rende plausibile il passaggio di Delia da vittima tradizionale a soggetto attivo di emancipazione individuale e collettiva, per sé e per la figlia, nel momento in cui si accorge che anche lei sta per essere appropriata dal fidanzato dolce e innamorato.
I momenti di visionarietà, che sono anche i punti di forza del film, che è stato superficialmente ascritto a filone neo-realista da critici forse tratti in inganno dalla scelta di un bianco e nero collegato all'ambientazione storica, sono la danza di Delia e Ivano, che mima il rapporto di violenza alternato a atteggiamenti di tenerezza, quell'intreccio tra amore e violenza all'interno delle coppie che tiene legate molte donne, oggi riconosciuto e tematizzato nei casi di femmicidio sempre più frequenti. L'esplosione della bomba, distruzione violenta del patriarcato (?)., l’improvvisa e inaspettata presa di coscienza da parte di Delia, che in un primo momento aveva gettato via il certificato elettorale, del fatto che attraverso la partecipazione collettiva alla vita dello Stato tramite il voto si può almeno impedire agli uomini di dire a una donna in modo più o meno gentile o sgarbato stai zitta., decisione di permettere alla figlia di studiare dandole i soldi risparmiati per un altro evento: l'abito di nozze. Così la madre salva la figlia, che a sua volta salverà la madre portandole il certificato elettorale
Una donna deprivata socialmente, culturalmente adotta gli strumenti a disposizione per sfuggire o a quello che poteva sembrare un destino già scritto, o rinchiudersi nella dimensione di rassegnazione vittimistica o salvarsi nel sogno d’amore, che dura dall’infanzia, con un uomo gentile.
L’uscita dalla dimensione patriarcale non può essere solo individuale, è il momento di dare vcita a una nuova solidarietà tra donne, consolidare una nuova “sorellanza”, non più fondata sul sentimento comune di subordinazione e difesa dai privilegi e dalle prevaricazioni maschili, ma sugli elementi di forza maturati nelle coscienze e acquisiti nei decenni scorsi,questo il significarto della scena finale quando le donne uscite dal seggioi guardano silenziose, non c'è bisogno di parole, con aria determinata, consapevolie finalmente della propria forza collettiva il marito che era venuto per portarla indietro e deve lascifre il campo a testa bassa.
Segnali in questo senso sono numerosi, occorre intensificarli, tanto più in un contesto come quello attuale nel quale guerre, pandemie, autoritarismi, cambiamenti climatici che provocano catastrofi, di guerre, di pandemie superate oe/o profetizzate un titolo come questo sembra alludere a questi eventi.i e imprevisti di varia natura rischiano di riproporre quel "femminile di servizio" nel quale sono state confinate secondo il modello ancora vigente, quei ruoli de quelle funzioni ancora considerate naturali, pur modernizzate e adeguate alle attuali trasformazioni economiche e sociali. Ma le modificazioni dei costumi e delle mentalità che pure sono state numerose, si sono fermate alla superficie, risultando più effetto di modernizzazione indotta dalle traasformazioni econopmico-sociali, senza intaccare la base del rapporto tra donne e uomini, che riemergono appunto durante i momenti di crisi.
Antonella Picchio, Giuliana Pincelli, Una lotta femminista globale. L'esperienza dei gruppi per il Salario al Lavoro Domestico di Ferrara e Modena, Milano, Franco Angeli, 2019
Silvia Bandelloni, Il lockdown colpisce di più le donne, https://www.scienzainrete.it/articolo/lockdown-colpisce-di-pi%C3%B9-le-donne/silvia-bandelloni/2020-12-01#:~:text=Secondo%20un...
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