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Ricominciamo a pensare possibile l'impossibile: Scienziati contro il riarmo – Un manifesto. PDF Stampa E-mail
Editoriali e dibattiti - Dibattito redazionale
Domenica 30 Marzo 2025 13:36

 

La redazione

Ricominciamo a pensare possibile l'impossibile: Scienziati contro il riarmo – Un manifesto.

La redazione, presentando questo testo, con il quali concorda, osserva che ogni Ipotesi di convivenza civile e democratica non può trascurare la necessità di immaginare e tentare di dare vita a nuove forme materiali e simboliche di riproduzione e produzione della società, a partire dalla relazione tra donne e uomini, questione messa potentemente a tema dal femminismo a partire dagli anni settanta.
A questo proposito proponiamo qui a chiarimento il testo di un intervento di Adriana Perrotta Rabissi, della redazione, nel suo blog 'La penna e il piccone', nel quale ricostruisce brevemente le contraddizioni che il femminismo si è trovato ad affrontare:

Di chiacchiere e di altro, 2

La radicalità del femminismo degli anni Settanta è stata colta subito  da uomini attenti al sociale e ai mutamenti che maturavano, studiosi che non si facevano distrarre dagli aspetti più superficiali e pittoreschi del movimento,  riportati dai giornali con intenzioni svalorizzanti.

Scrive Marcuse nel 1974 (Marxismo e femminismo):

“Le potenzialità, gli obiettivi del movimento di liberazione delle donne si spingono... in regioni impossibili da raggiungere nel quadro del capitalismo, e di una società di classe. La loro realizzazione richiederebbe un secondo livello, nel quale il movimento trascenderebbe il quadro nel quale si trova ora ad operare. In questo stadio, ‘al di là dell’uguaglianza’, la liberazione implica la costruzione di una società governata da un differente principio di realtà, una società nella quale la dicotomia costituita tra il maschile e il femminile è superata nei rapporti sociali e individuali tra esseri umani”

Pietro Ingrao 1978, conversando con Rossanda in una trasmissione di Radio tre:

".. affrontare le questioni dell’emancipazione femminile comporta affrontare punti di fondo dell’organizzazione della società in generale. Ti faccio un esempio: se vuoi affrontare davvero il rapporto donna/uomo, devi investire caratteri e dimensioni dello sviluppo, occupazione, qualità e organizzazione del lavoro, fino allo stesso senso del lavoro. Contemporaneamente – ecco dove la dimensione diventa diversa – vai a incidere sulle forme di riproduzione della società, sul modo di concepire la sessualità, i rapporti di coppia, i rapporti tra padri e figli, l’educazione, il rapporto tra passato e presente, forme e natura dell’assistenza, eccetera. Cioè una concezione storica, secolare del privato, tutta una concezione delle stato, tutto il rapporto tra stato e privato (…)"

Nel frattempo studiose in tutti i campi del sapere, filosofe, ricercatrici, sociologhe, epistemologhe, scienziate, economiste, psicologhe, teologhe...  affrontavano l'analisi delle radici storiche della asimmetria sociale, politica, economica, culturale tra donne e uomini, collettivamente e individualmente, producendo un ricco patrimonio di conoscenze, consapevolezze, teorizzazioni.

L'apertura del conflitto sociale, politico e culturale generato dalla la nuova coscienza delle donne ha dato luogo a percorsi di lotta differenti tra loro e a volte contrastanti.

Riporto queste due riflessioni di intellettuali uomini prima di tutto perché siano conosciute, poi perché leggo costantemente articoli pieni di fraintendimenti e confusioni: si confonde il femminismo con l'emancipazionismo, bersaglio polemico fin dai primi tempi, volto a conseguire per le donne in ottica paritaria successi e privilegi finora esclusivi degli uomini, senza mettere in discussione la struttura portante della dissimmetria.

Nei casi più reazionari si arriva a paventare una inversione dei ruoli tra dominanti e dominati, una situazione nella quale gli uomini sarebbero discriminati nel sociale per favorire le donne.

Analisi più raffinate avvertono che l'accento posto sui diritti civili e la frammentazione che ne consegue sarebbe diventata stampella per il sistema produttivo attuale con l'individualismo consumistico.

Ma il femminismo non si è mai risolto  in rivendicazioni in ottica  di emancipazione individuale e/o collettiva a prescindere dal contesto generale nel quale si vive e si opera, per questo ogni ipotesi di reale liberazione delle donne  dai vincoli opposti alla piena autorealizzazione  di ciascuna comporta necessariamente la liberazione di tutti gli altri, a causa dell'intreccio che lega  tutte le componenti umane nella vita sul pianeta.

La divisione ipotizzata all'origine  tra attitudini degli uomini e attitudini delle donne ha determinato due sfere distinte di esperienza di vita e di pensiero, nelle quali sono stati confinate sia le donne che gli uomini, ciascuno nella propria area di competenza, con possibilità di incursioni nell'altra  incoraggiate o ostacolate a seconda delle esigenze generali.

Divisione considerata naturale, e non storicamente determinata, in  grado di mantenere l' ordine simbolico e materiale fondato sullo scambio sessuo-economico, da quale derivano altre forme di dominio  che ancora sperimentiamo e messe a profitto dai vari sistemi sociali e culturali che conosciamo nel tempo e nello spazio.

Gli strumenti materiali e  concettuali alla base della nostra convivenza sul pianeta sono stati costruiti sulla base di quella concezione, che ha permeato di sé mentalità fantasie, angosce, immaginazioni, speranze, paure sedimentate nella nostra interiorità di donne e uomini.

Per questo è così difficile, lento, faticoso il tentativo di modificarli alle radici,  mettendo in discussione priorità di valori ritenute naturali e quindi inconfutabili.

Se il continuo richiamo alla  formulazione di ipotesi di convivenza civile e democratica  adatte a  contrastare il crescente autoritarismo e bellicismo non parte prima di tutto dalla messa a tema  delle "forme di riproduzione della società, del modo di concepire la sessualità, i rapporti di coppia, i rapporti tra padri e figli, ...." (Ingrao '78) ogni tentativo di reale mutamento della situazione  attuale di sfruttamento di persone, ambienti,  popoli, terre animali cose è destinato a infrangersi  su motivazioni apparentemente incontestabili.

Carlo Rovelli e Flavio Del Santo, 9 marzo 2025, Manifesto di scienziati
In qualità di scienziati – molti di noi impegnati in settori in cui viene sviluppata la tecnologia militare – come intellettuali, come cittadini consapevoli dei rischi globali attuali, riteniamo che oggi sia un obbligo morale e civile per ogni persona di buona volontà alzare la voce contro l’appello alla militarizzazione dell’Europa e promuovere il dialogo, la tolleranza e la diplomazia. Un riarmo repentino non preserva la pace; conduce alla guerra.

I nostri leader politici dichiarano di essere pronti a combattere per difendere presunti valori occidentali che ritengono in pericolo; ma sono pronti a difendere il valore universale della vita umana? I conflitti in tutto il mondo sono in aumento. Secondo le Nazioni Unite (2023), un quarto dell’umanità vive in aree colpite da guerre. Il conflitto tra Russia e Ucraina, sovvenzionato dai Paesi della NATO con la giustificazione di “difendere i principi”, sta lasciando dietro di sé circa un milione di vittime. Il rischio di genocidio dei palestinesi da parte dell’esercito israeliano, sostenuto dall’Occidente, è stato riconosciuto dalla Corte Internazionale di Giustizia. Brutali guerre sono in corso in Africa, come in Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo, alimentate dagli interessi sulle risorse minerarie del continente. L’Orologio dell’Apocalisse del Bulletin of the Atomic Scientists, che quantifica i rischi di una catastrofe nucleare globale, non ha mai segnato un pericolo così alto come oggi.

Spaventata dall’attacco russo all’Ucraina e dal recente riposizionamento degli Stati Uniti, l’Europa si sente messa da parte e teme che la sua pace e prosperità possano essere a rischio. I politici stanno reagendo in modo miope, con un appello alla mobilitazione su scala continentale e destinando risorse colossali alla produzione di nuovi strumenti di morte e distruzione. Il 4 marzo 2025, la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato il Piano di Riarmo Europeo, dichiarando: “L’Europa è pronta e capace di agire con la velocità e l’ambizione necessarie. […] Siamo in un’era di riarmo. E l’Europa è pronta ad aumentare massicciamente la sua spesa per la difesa.” L’industria militare, che dispone di immense risorse e di una forte influenza su politici e media, alimenta una narrazione apertamente bellicista. La “paura della Russia” viene agitata come uno spauracchio, ignorando convenientemente che la Russia ha un PIL inferiore a quello dell’Italia. I politici affermano, del tutto infondatamente, che la Russia abbia mire espansionistiche verso l’Europa, rappresentando una minaccia per Berlino, Parigi e Varsavia, quando ha appena dimostrato di non essere nemmeno in grado di conquistare Kiev, sua ex-satellite. La propaganda di guerra si nutre sempre dell’esagerazione della paura. Con la diplomazia, l’Europa può tornare alla pacifica convivenza e collaborazione con la Russia che l’affare ucraino ha tragicamente interrotto.

L’idea che la pace dipenda dal prevalere sugli altri porta solo all’escalation, e l’escalation porta alla guerra. La Guerra Fredda non è diventata una guerra “calda” perché politici saggi, da entrambe le parti, hanno saputo superare profonde divergenze ideologiche e reciproche “questioni di principio”, arrivando a una drammatica ma equilibrata riduzione degli armamenti nucleari. I trattati START tra Stati Uniti e Unione Sovietica portarono alla distruzione dell’80% dell’arsenale nucleare globale. Scienziati e intellettuali di entrambe le fazioni svolsero un ruolo fondamentale nel spingere i politici verso una de-escalation razionale. Nel 1955, il filosofo, matematico e Premio Nobel per la Letteratura Bertrand Russell e il Premio Nobel per la Fisica Albert Einstein firmarono un manifesto influente, che ispirò la Conferenza Pugwash, riunendo scienziati di entrambi gli schieramenti per promuovere il disarmo. Quando Russell, nel 1959, fu invitato a lasciare un messaggio per la posterità, rispose:

“In questo mondo, che sta diventando sempre più interconnesso, dobbiamo imparare a tollerarci a vicenda. Dobbiamo accettare il fatto che alcune persone diranno cose che non ci piacciono. Solo così possiamo vivere insieme. Ma se vogliamo vivere insieme, e non morire insieme, dobbiamo imparare un certo tipo di carità e un certo tipo di tolleranza, assolutamente vitali per la sopravvivenza dell’umanità su questo pianeta.”

Dovremmo custodire questo patrimonio di saggezza intellettuale.

I grandi conflitti sono sempre stati preceduti da enormi investimenti militari. Dal 2009, la spesa militare globale ha raggiunto livelli record ogni anno, con la spesa del 2024 che ha toccato il massimo storico di 2443 miliardi di dollari. Il Piano di Riarmo Europeo impegna l’Europa a investire 800 miliardi di euro in spese militari. Sia l’attuale Presidente degli Stati Uniti che l’attuale Presidente della Russia hanno recentemente dichiarato di essere pronti ad avviare colloqui per la normalizzazione delle relazioni e per una riduzione equilibrata degli armamenti. Il Presidente della Cina ha ripetutamente chiesto la de-escalation e un passaggio da una mentalità di confronto a una di collaborazione win-win. Questa è la direzione da seguire. E ora l’Europa si prepara alla guerra, con nuove spese militari pianificate come non si vedevano dalla Seconda Guerra Mondiale. L’Europa è forse disposta a brandire le armi perché si sente messa da parte?

L’umanità affronta sfide globali enormi: il cambiamento climatico, la fame nel Sud del mondo, la più grande disuguaglianza economica della storia, l’aumento del rischio di pandemie, la minaccia di una guerra nucleare. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno oggi è che il Vecchio Continente passi dall’essere un faro di stabilità e pace a diventare un nuovo signore della guerra.

Si vis pacem para pacem – Se vuoi la pace, costruisci la pace, non la guerra.
(in Internet è possibile leggere i nomi e firmare per adesione).
 

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