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Franco … credo anch’io che, come afferma Paolo, l’esuberanza sessuale maschile sia in buona parte una costruzione favolistica necessaria per legittimare il teatro dei duplici ruoli fra uomini e donne; tuttavia, prima di entrare nel merito delle molte questioni poste dall’intervento di Adriana e da quello successivo di Laura e Aldo sul pentitismo, vorrei fare un passo indietro sul mio breve intervento che ha innescato questo dibattito. Io inviterei tutti e tutte a problematizzare di più la questione mediatica (parlavo infatti di priapismo senile con un intento ironico e mediatico con un intento più serio). Provo allora a restringere il, campo di indagine. Stiamo parlando dello scambio sesso denaro potere e non delle predilezioni sessuali o delle abitudini delle persone. Bene: tale scambio, come dice Adriana stessa, è sempre avvenuto e io non so bene dire se questo sia prerogativa delle società patriarcali e solo di quelle. Qual è la novità, rispetto al fenomeno? Per me sta in questo: nel nuovo restaurato governo del principe (mi riferisco a un convegno tenutosi nel lontano 1985 che aveva per titolo proprio questo: come riportare il principe al governo dell’Europa?), ciò che stiamo vedendo è lo spettacolo di corte, che in definitiva ha riguardato sempre, in tutti i tempi, una esigua minoranza. La differenza con il passato è che tali giochi di corte laiche e papali si venivano a sapere decenni e secoli dopo grazie all’opera dei grandi scrittori (Splendori e miserie della cortigiane di Balzac, per esempio), mentre oggi la corte inscena i suoi comportamenti sgangherati e ne fa uno spettacolo in diretta televisiva a ciclo continuo, da paese dei balocchi. Alcuni dei protagonisti dello spettacolo sono più adeguati di altri, nel senso di saper reggere meglio la tensione che ne deriva. Come parlare di tutto questo senza essere sudditi-spettatori di quello che avviene ed evitare di essere a nostra volta inconsapevoli partecipanti a una sorta di grande karaoke? Altra questione: la contraddizione fra un governo che vuole normare tutto secondo il placet della Chiesa Cattolica e l’evidente contraddizione nei comportamenti del suo leader, che peraltro sembra avere molti adepti anche fra l’opposizione cosiddetta. Posta in questi termini la questione è antica: fate quello che dico ma non guardate quello che faccio. Anche le corti del passato imponevano ai sudditi una morale diversa da quella che riservavano per loro stessi, solo che i sudditi non sapevano, forse intuivano, qualcuno aveva modo di sbirciare dal buco della serratura, ma non di aver la stanza da letto aperta e in casa alla vista di tutti ventiquattro ore al giorno. Non sono però convinto che lo scambio reale sia questo. L’etica di Berlusconi è neopagana, contrassegnata da un eccesso abnorme di dionisiaco, come da sempre in tutte le corti, comprese quelle vaticane, solo che l’esposizione pubblica di tutto questo crea un corto circuito e incide (poco, molto poco), su una minoranza di cattolici inquieti. Lo scambio fra Chiesa Cattolica e governo è puramente di potere, denaro e sfere d’influenza, senza nessun risvolto etico. La chiesa sa benissimo che non controlla più le coscienze, a volte mi sembra che gli unici che ancora credono che sia ancora in grado farlo sia il popolo di sinistra e questo forse spiega le pirotecniche dichiarazioni di Marrazzo, subito dopo il fattaccio: “Ho pagato per proteggere la mia famiglia e adesso vado in convento.” Neppure nel 25% di praticanti con qualche assiduità vi è una maggioranza che si pone concretamente il problema di fedeltà alla morale cristiana, salvo le eccezioni di rito. Se si ponesse poi a chi esce dalla chiesa ogni domenica la domanda: quali sono le virtù teologali? Sarebbe già molto se qualcuno non le confonda con i vizi capitali, visti i comportamenti medi di massa, imitativi (specie nei fine settimana e visti i bassi prezzi di mercato) di alcune pratiche di corte; mentre mia nonna, semi analfabeta, avrebbe risposto correttamente. La Chiesa chiede determinate leggi perché sono il marchio del suo potere, poi quello che accade è un’altra cosa e lo sanno tutti. Su tutte le questioni sensibili ci sono ormai organizzazioni della società civile che offrono tutte le risposte possibili che il mercato richiede; dall’inseminazione artificiale ai patti di cittadinanza, dalla buona morte alla sepoltura laica alla cremazione discreta, alle terapie del dolore, l’unica cosa che la Chiesa cattolica non vuole è l’etica pubblica, mentre tollera e sollecita benissimo i comportamenti sociali più differenziati, purché individuali e privati. Se Peppino Englaro avesse portato la figlia oltre il confine svizzero a pochi ch ilometri nessuno avrebbe avuto nulla da ridire anche nella parte cattolica della Svizzera; se due omosessuali vanno davanti a un notaio e stabiliscono dei patti si solidarietà reciproca alla Chiesa cattolica sta benissimo e del destino delle anime di quei due non gliene importa più nulla. Il problema è che l’Italia non esiste più in quanto stato e nazione, ma è ritornata a essere un’espressione geografica gestita a mezzadria dalla criminalità organizzata e dallo stato vaticano, mentre la politica nazionale può solo mediare fra questi poteri, all’interno (vedi la trattativa con la Mafia) e ha i maggiori problemi nel mediare tutto questo con l’Europa e il resto del mondo e questo spiega le furiose campagne giornalistiche estere. - Vengo ora al merito di alcune questioni. Che Berlusconi faccia appello, forse anche inconsciamente, alla parte peggiore dei maschi, devo dire che mi interessa poco. La domanda che mi pongo è perché, apparentemente, non vi sia più traccia di quella tensione che aveva animato la stagione iniziata da quella grande intuizione degli anni ’70, del personale che è politico (personale e non privato, è bene ribadirlo perché la confusione esiste). Chiedersi questo è anche chiedersi altro: che fine ha fatto l’intuizione della non neutralità della scienza, per esempio? E molte altre cose? Questa assenza è solo determinata dal pentitismo o non vi può essere dietro di essa la sofferta presa d’atto che è crollato un mondo? Ci rendiamo conto che molte di quelle intuizioni potevano nascere al riparo di una divisione del mondo in due campi? Che lo spazio, era garantito da una dialettica fra diversi, che permetteva spazi di libertà che oggi sono venuti meno? Anche sul fatto che le donne non siano scese in piazza in massa alla frase di Ghedini, potrebbe essere letta anche in un altro modo: non riguarda me, riguarda quel mondo, sarà anche sbagliato ma se è tornato a governare il principe, con i suoi cortigiane e le sue cortigiane e si è persa l’universalità dei diritti, la sensazione che ciò che accade in quel mondo riguardi soltanto loro è forte. Se governa il principe, in basso ci sono le plebi o le lobby, le quali rivendicano tutte libertà a diritti, ma sempre e solo per sé: avete mai visto il movimento omosessuale prendere posizione sui diritti delle donne e viceversa? Mi è capitato a Roma di assistere a dimostrazioni diverse fra lesbiche e omosessuali? Siamo sicuri che la questione del separatismo non abbia avviato poi di fatto una deriva lobbistica, che si è sposata con la frammentazione sociale estrema indotta dalla finanziarizzazione selvaggia? - Io non do personalmente un giudizio negativo sul silenzio. Nella mia esperienza, l’incontro con il femminismo, che nel mio caso è stato anche domestico, mi spinse a interrogarmi allora, sulla militanza e le sue ragioni profonde, mi insegnò a parlare di meno e ascoltare di più. Ho sempre rifiutato invece, l’aggregazione con altri maschi basata sull’identità maschile e la necessità di riscoprirla con un percorso simile a quello dell’autocoscienza: non credo che le prassi siano così facilmente estendibili al di fuori del loro campo e se penso in particolare a fenomeni come a quelli impersonati da Robert Bly negli Usa il mio sospetto aumenta. In Italia le esperienze cui ogni tanto mi sono avvicinato, mi sono sempre sembrate manifestazioni di un folklore maschile da evitare. Rimane però il fatto che l’autocoscienza femminile degli anni ’70, istituiva prima di tutto uno spazio in cui le donne potevano riconoscersi e parlarsi perché un tale spazio era da sempre negato e di cui invece gli uomini di certo non mancavano. La pratica dell’autocoscienza, separatista per necessità, non era alle origini ineluttabilmente identitaria ma lo è diventata e io continuo a diffidare sia delle pratiche identitarie, avendone accolta una in passato (quella di classe), che non è mai riuscita infondo a superare l’ostacolo di una identità basata sulla collocazione all’interno dei rapporti di produzione; causa non certo unica ma importante del fallimento e della sconfitta del comunismo novecentesco. Per me, hegelianamente, l’essere umano rimane un ente naturale generico: la società patriarcale opprime le donne ma è una formazione sociale, seppure trasversale ai modi di produzione e può essere cambiata come tutte le formazioni sociali. La gender politics porta quasi naturalmente a una moltiplicazione dei generi, secondo alcuni e alcune sarebbero addirittura sei: maschi e femmine etero, maschi e femmine omosessuali e lesbiche, maschi e femmine trasgender; se le identità diventano così forti e frammentate inutile chiedersi poi perché non si va in piazza tutti insieme.
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