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Intervista a Costanzo Preve - pag. 2 PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Con Marx e oltre il marxismo
Venerdì 01 Gennaio 2010 00:00
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Intervista a Costanzo Preve
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Biografia di Costanzo Preve
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FR: Dunque è possibile ancora pensare a un’eti ca di resistenza e anche a una politica come speranza che il capitalismo continui a creare il suo o i suoi antagonisti?

 

CP: Certamente sì, in linea generale si può dire che il contenuto del progetto di Marx è che il capitalismo produce contraddittoriamente i suoi antagonisti e non penso che si possa abbandonare questa ipotesi e che l’unica possibilità sia una conversione religiosa contro di esso. Vorrebbe dire tornare all’Apocalisse di Giovanni, buttando via insieme con le scorie anche il contenuto strutturale della teoria di Marx. Solo che il venir meno del messianismo sociologico proletario ha delle conseguenze gigantesche, perché per cento anni la speranza fu legata a un soggetto storico concreto e a un partito politico e questo lascia un gigantesco vuoto; noi siamo in questa voragine e in questo momento l’unica possibilità concreta è una politica di resistenza, ma se dovessimo misurare le speranze in base alla voragine in cui siamo caduti dovremmo dire di essere senza speranza. Dobbiamo pensare che ciò che pensiamo vada al di là dei rapporti di forza sfavorevoli. Quanto al pessimismo storico, esso prende varie forme, di destra e di sinistra. La variante di sinistra rappresenta oggi un alibi per il rinvio della prassi da parte degli intellettuali accademici: è per questo che Adorno è molto di moda. Non dobbiamo limitarci a questo. Il francofortismo secondo me è stato un momento di pessimismo storico legato al fatto che una generazione delusa trasforma la sua personale delusione in filosofia della storia. Pensiamo anche al ’68: i sessantottini hanno elaborato una forma di messianesimo a breve termine, sulla base di una idealizzazione del soggetto sociologico operaio. In realtà volevano una liberalizzazione del costume comportamentale e sessuale, che fu dato dal capitalismo che stava cambiando. Successivamente hanno trasformato questa delusione in filosofia della storia.

 

FR: Forse però dei soggetti antagonisti esistono già: i popoli originari del Sud America per esempio, tutta la questione indigena ecc. ma anche l’orizzonte dei nuovi diritti (penso al movimento omosessuale, ma non solo), i movimenti femminili e femministi, non prefigurano forse delle potenzialità che possono giocare un ruolo strategico antagonista, oppure sono semplicemente potenziali target di mercato, integrabili dall’ideologia del politically correct? Insomma, per dirla in parole povere: la globalizzazione è solo finanziaria e ha prodotto soltanto una middle class globale, oppure ha permesso anche il nascere di soggettività potenzialmente antagoniste?

CP: Un conto è salvare la speranza razionale, altra cosa invece, secondo me, è formulare speranze utopiche che le donne indiane, i contadini dell’America latina, che gli indios aimarà e quechua ecc. sostituiscano il soggetto emancipatore della teoria di Marx e cioè la classe operaia salariata come avanguardia politica organizzabile del lavoratore collettivo sociale. Noi siamo di fronte a una attraversata del deserto, non possiamo togliere al comunismo né la prospettiva e neppure il presupposto che il capitalismo stesso produca i suoi seppellitori. Il fatto però è che non sappiamo più se li produce davvero o no. In un certo senso il marxismo è entrato nella fase pascaliana del dubbio e della scommessa. Noi non siamo abituati a passare da Tommaso D’Aquino a Pascal e cioè, fuor di metafora, da una teologia razionalistico-aristotelica che pretende di dimostrare dio, a una teologia del dubbio per cui quello che prima era una sicurezza positivista è solo una scommessa. È il dramma della nostra generazione ed è la ragione per cui molti hanno abbandonato completamente la prospettiva comunista perché non la vedevano più, in quanto l’avevano legata alla classe operaia di fabbrica, in Italia addirittura nella variante operaista dell’operaio massa.

Quanto a quelli che lei chiama i movimenti per i nuovi diritti, dico che ridurre la rivendicazione da parte di gruppi sociali o sessuali oppressi, per esempio le donne, specialmente del terzo mondo, e gli omosessuali anche da noi, unicamente target del politicamente corretto sarebbe sciocco; perché, se è vero che il politicamente corretto s’impadronisce di queste esigenze per contrapporle alla eguaglianza sociale, se ci limitassimo a dire questo rimarremmo prigionieri delle sue strategie. Io tuttavia distinguerei fra donne ed omosessuali. Il movimento femminile, non femminista, ha conseguito grandi risultati in Europa, nei paesi scandinavi addirittura c’è una eguaglianza totale e anche una femminilizzazione ideologica della società. Nei paesi ebraico cristiani ha conseguito una eguaglianza di fatto nel mondo del lavoro e anche -una maggiore autonomia all’interno della famiglia anche se le donne in Italia, in Grecia e in Portogallo (molto più che non in altri paesi), hanno un carico maggiore per quanto riguarda la riproduzione della famiglia stessa: lavori domestici, cura dei figli e degli anziani e così via. Il fatto che ci sia un sollevamento delle donne oppresse nei paesi musulmani, induisti e buddisti è molto positivo. Il femminismo però è un fenomeno diverso, della piccola borghesia intellettuale occidentale posteriore al ’68 e personalmente, su di esso il mio giudizio è negativo, ma lo separo totalmente però dai movimenti femminili. Io non concordo con le politiche separatiste e le cosiddette gender politics e distinguo fra movimento femminile e femminismo, anche se mi rendo conto che le femministe si identificano come un’avanguardia dei movimenti femminili in generale, ma il discorso si farebbe molto lungo. Per l’omosessualità distinguerei fra omosessuale e gay, sebbene io sappia che le parole si sovrappongono. Il diritto dell’omosessuale a vivere il suo rapporto socialmente accettato e anche garantito da forme giuridiche di reversibilità testamentarie e altro, per me deve essere sostenuto e bisogna condurre quindi una battaglia culturale anti omofoba. Quanto al gay pride e altre manifestazioni io credo che siano forme di spettacolarizzazione della politica che alla fine provocano inutilmente soltanto reazioni fascistoidi e feroci della parte più ignorante, intollerante e stupida della società. Non la giustifico, naturalmente, ma non vedo perché bisogna provocarla a tutti i costi. Non credo che le manifestazioni tipo gay pride aiutino l’emancipazione degli omosessuali, ma tendono a porre delle specie di show provocatori di tipo anglosassone che sono totalmente incorporate nella società dello spettacolo. Io credo che bisogna avere il coraggio di dire anche questo; la sinistra questo coraggio non ce l’ha perché ha introiettato la paura del politicamente corretto e questo non serve a nessuno.

Quanto all’altra parte della sua domanda, io non sono sicuro che quello che si chiama globalizzazione esista veramente. Esiste una globalizzazione finanziaria, ma non una globalizzazione sociale e politica; o meglio esiste una globalizzazione finanziaria sotto l’egemonia del multiculturalismo statunitense. Io sono meno ottimista di altri. Viene meno la classe operaia proletaria metropolitana ma in compenso arrivano altri soggetti: i contadini poveri del terzo mondo, le masse africane e così via. Questo è assolutamente vero ma non pensiamo che costoro possano sostituire il soggetto. Dico semplicemente che mettono in atto condizioni e prospettive nuove all’interno di un panorama nuovo, da cui forse nascerà qualcosa; è una scommessa che si vedrà nei prossimi decenni e la nostra generazione non la vedrà.

 



 

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