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Intervista a Costanzo Preve - pag. 4 PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Con Marx e oltre il marxismo
Venerdì 01 Gennaio 2010 00:00
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Intervista a Costanzo Preve
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Biografia di Costanzo Preve
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FR: Con questo siamo ritornati all’ontologia dell’essere sociale, ma direi anche ad un altro tema importante. Se la storia non fosse aperta e multilineare non potremmo neppure parlare di alienazione.

 

CP: Quando Marx parla di alienazione, la parola tedesca è Entfremdung, cioè diventare fremd e quindi straniero a se stesso. Per poter affermare questo, bisogna che io postuli l’esistenza di una natura umana, che pur non essendo astorica, non si risolve al cento per cento nella storia. Perché se io ipotizzo la totale storicità dell’essere umano vuole dire che la natura umana non esiste e allora anche l’alienazione non esiste e di volta in volta l’essere umano corrisponderebbe semplicemente ai rapporti sociali di produzione del momento e quindi avremmo una natura umana schiavista, feudale, capitalistica. Naturalmente chi pensa questo considera la categoria di alienazione idealistica e sbagliata, per esempio la scuola di Althusser. Invece, se si considera che esiste una natura umana che si trasforma come ente generico, non specializzato come le termiti o i lupi, la categoria di alienazione, respinta dalle scuole scientiste è invece fondamentale. Possiamo dire che l’uomo è alienato perché ipotizziamo che esista una natura umana e che il capitalismo lo riduca a homo oeconomicus e quindi a una sua sola dimensione, quella dello scambio.

Negare la natura umana porta allo storicismo, che produce nel tempo relativismo e nichilismo: su questo punto Ratzinger ha ragione. Parlo non tanto di lui come Papa, una sorta di Mr Hyde che deve gestire un baraccone capitalistico, ma di lui come dottor Jekill e quindi come filosofo tedesco. Ratzinger capisce perfettamente, dal suo punto di vista teologico, che con una natura umana inesistente, come ipotizzano i vari Vattimo e altri, si arriva al relativismo; solo che non capisce che quello che si chiama relativismo è dovuto al fatto che in una società capitalistica tutto è relativo al valore di scambio. Io penso che la categoria di alienazione sia centrale e questo significa ritenere che la natura umana non sia interamente scioglibile nei rapporti sociali di produzione. A questo punto c’è una specie di gioco fra la natura umana biologica e la natura umana storica e sulla base della categoria di alienazione possiamo dire che laddove viene sfigurata e ridotta a solo homo oeconomicus, essa si aliena cioè diventa straniera a se stessa. Se accetto la teoria dell’alienazione e quella della natura umana, devo ricollocare Marx all’interno della tradizione filosofica greca e posteriore.

 

FR: Con questa sua affermazione arriviamo a toccare il nodo teorico forse più importante: lei rifiuta la collocazione di Marx come filosofo materialista.

CP: Sì, però Liebknecht fu il primo a dirlo apertamente, non è una novità assoluta. La maggioranza dei commentatori, tuttavia, si ferma a metà strada. Gentile e Lukács, per esempio, lo definirono un materialista con forti elementi di idealismo. La mia opinione è che Marx sia un filosofo interamente idealista che produce una teoria della storia strutturalista, definita, per metafora, materialista. Se si cerca la materia in Marx la si trova in quattro modi diversi: come metafora di ateismo, oppure di prassi nel senso che la filosofia deve essere trasformativa e non solo speculativa, come metafora di struttura, oppure di libertà materiale contrapposta alla libertà formale. In sostanza la materia, in Marx, viene sempre usata metaforicamente. L’equivoco sta nel fatto che nella tradizione marxista l’idealismo è concepito in senso gnoseologico, cioè come la teoria, per dirla con Engels, che mette il pensiero davanti all’essere; ma la teoria del rispecchiamento è valida certamente per la natura, ma solo per quella. Facendo un esempio molto semplice: se Lenin guarda il sole, il sole è indifferente al suo sguardo, ma se Lenin guarda la rivoluzione d’ottobre, di cui è parte integrante, essa non può esistere separata da lui.

Materialismo e idealismo non sono connotazioni gnoseologiche: idealismo vuole dire che l’intera umanità è concentrata in un’idea unitaria che non è però un contenuto di coscienza, ma è il modo in cui viene connotato un concetto unitario di realtà, nel caso di Marx la storia universale. Se uno mi chiedesse a bruciapelo in che cosa consiste l’idealismo di Marx risponderei che egli pensa la storia universale come luogo dell’emancipazione umana. In sostanza, mentre la teoria della storia di Marx non è idealista né materialista ma strutturalista, la filosofia in cui Marx incorpora questa teoria della storia strutturalista è una filosofia idealista, che può essere intesa come un’eresia dell’illuminismo, che ne critica gli aspetti astratti, individualisti e utilitaristi. Dunque, un’eresia borghese che elabora la coscienza infelice di se stessa. Un’altra mia opinione è che Marx non debba essere considerato un pensatore progressista, ma molto tradizionale, perché si ricollega alla tradizione dei presocratici greci che reagiscono, come comunità, di fronte all’invasione della schiavitù per debiti, allora, e del capitalismo oggi, per quanto riguarda Marx. Sono pronti i marxisti rimasti al mondo ad accettare l’ontologia dell’essere sociale e la visione del pensiero filosofico di Marx internamente a una filosofia idealista? Accettare Marx come pensatore tradizionale perché si ricollega alla tradizione greca e presocratica che reagisce all’insorgenza dell’economia schiavista? Sono convinto che ci vorranno decenni.

 

FR: Lei usa spesso il termine di raddoppiamento invece di sovrastruttura: sono sinonimi o c’è qualche differenza?

CP: Li possiamo considerare quasi sinonimi ma non esattamente, per cui in questo caso il diavolo si nasconde nel dettaglio. Che cosa è il materialismo storico? In Marx vi è una compresenza di due elementi che non si sovrappongono perfettamente. Una teoria della storia strutturalista è inserita all’interno di una filosofia della storia idealistica, cioè una filosofia della storia in cui l’umanità, nel suo percorso di emancipazione, è pensata unitariamente con una sola idea, come ho detto in precedenza. Nella filosofia classica tedesca idea non significa contenuto di coscienza (alla Locke). La differenza è chiara se si esaminano alcuni sintomi. Marx, per esempio, afferma a volte che il lavoratore salariato è libero, in altre parti della sua opera ne parla come di uno schiavo salariato. È evidente che lui sa benissimo che il salariato non è uno schiavo, tuttavia l’uso di due espressioni diverse è la spia che si sovrappongono due cose diverse. All’interno del modo di produzione capitalistico, a differenza dal modo di produzione schiavistico o servile il lavoratore è libero, scambia la sua forza lavoro con capitale, seppure all’interno di una discrepanza, perché il valore d’uso della forza lavoro venduta è più grande del valore di scambio ottenuto come equivalente. Da un altro lato, però, Marx pensa l’emancipazione del proletariato tramite la contraddizione di classe all’interno della figura hegeliana della dialettica servo-signore, in cui il servo può diventare libero soltanto se prende coscienza di se stesso. Tale struttura coscienziale è completamente idealistica.

Questo doppio carattere fa sì che in certe occasioni io preferisca la parola raddoppiamento, invece che sovrastruttura, per indicare al lettore come avvengano certi fenomeni all’interno del rapporto di produzione e come tali fenomeni vengono raddoppiati o duplicati nelle forme di coscienza. Non direi di proporre una alternativa alla definizione di struttura e sovrastruttura, ma di marcarne maggiormente il carattere di proiezione.

 



 

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