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Intervista a Costanzo Preve - pag. 6 PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Con Marx e oltre il marxismo
Venerdì 01 Gennaio 2010 00:00
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Intervista a Costanzo Preve
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Biografia di Costanzo Preve
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FR: Possiamo aggiungere anche la crisi petrolifera del ’74 e la fine degli accordi di Bretton Woods…

 

CP: Esattamente, e sono anni chiave, mentre la storiografia guarda ad altri eventi di solito, ma secondo me sono questi gli anni cruciali. Io non so come andrà avanti questa crisi, non lo sanno neppure gli economisti, se sarà strisciante oppure no, cosa farà la Cina, se ci sarà una moneta diversa del dollaro per gli scambi internazionali, però la mia impressione è che le crisi sono sempre crisi di distruzione e rinnovamento e che se non si inserisce un elemento di soggettività nuovo, come il movimento socialista nella prima grande crisi del 1873-96, e gli anni seguenti e poi di nuovo nel ’29, quando si affermarono contemporaneamente i fascismi e dall’altro i comunismi e il New Deal, si andrà avanti più o meno così, verranno tagliati alcuni estremismi e neppure poi tanto.

 

FR: Le faccio una sola domanda di stretta attualità, riguardante la presidenza Obama e le sue prime mosse, suggerendole quattro risposte possibili. Risposta numero uno: non vale nemmeno la pena di occuparsi di Obama, gli imperi hanno politiche rigide e immutabili, che governi lui o che governi Bush è più o meno la stessa cosa. Risposta numero due: Obama è la versione di colore di un certo idealismo americano inconcludente, un po’ alla Woodrow Wilson e un po’ alla Franklin Delano Roosevelt, la cui tensione ideale però finirà in niente. Risposta numero tre: le intenzioni di Obama sono sincere e lui rappresenta un protagonismo nuovo che ha alla sua base l’emancipazione dei neri americani, tuttavia la politica degli imperi è rigida per cui, o ridimensionerà strada facendo tutte le sue velleità, oppure ci penserà qualche servizio segreto travestito da Alkaeda. Risposta numero quattro. Quella di Obama è un’intelligente politica di rilancio della leadership americana all’interno di un mondo multipolare ormai accettato, che tuttavia apre contraddizioni, suscita energie, aspettative e protagonismi che potrebbero andare oltre i suoi disegni.

CP: Direi un misto fra la risposta tre e quattro. In primo luogo, però, dico che non sono d’accordo con chi dice che non vale la pena di occuparsi di Obama perché tanto l’Impero è l’impero e non cambierebbe mai. Io distinguerei fra la obamamania della sinistra europea e Obama in quanto americano. L’obamamania è una sorta di wishful thinking, come direbbero gli inglesi, cioè una forma di subordinazione e di interiorizzazione della collocazione della sinistra nell’impero americano; per cui la sinistra vorrebbe un imperatore buono invece che cattivo, preferisce Traiano anziché Nerone. L’obamamania non è una riflessione sui rapporti fra l’Europa e l’impero americano, ma è semplicemente una forma di veltronismo, cioè di interiorizzazione della subalternità. Questa è una delle ragioni per cui non mi interessa più la sinistra. Nella misura in cui la sinistra fosse ancora borderline, cioè a metà strada fra opposizione all’impero e attenzione a certe sue declinazioni più progressiste mi interesserebbe ancora, ma nella misura in cui è del tutto interna all’imperialismo occidentale perde la sua funzione storica e non mi interessa.

Se invece parliamo di Obama in quanto Obama dovremmo avere qualche informazione in più. Quel che si può dire è che certamente non è sovrano; lo è solo apparentemente e in realtà dipende dalle scelte sia del capitale finanziario sia della struttura militare del Pentagono e soprattutto della lobby ebraica che conta moltissimo e che determina la politica statunitense in Medio Oriente. Israele non è la coda del cane ma è il cane di cui gli Usa sono la coda, per quanto attiene la politica mediorientale. Obama è anche un lifting, nel senso che si presenta come maggiormente attento alla multilateralità, più che non fosse Bush, però in realtà non darei molta importanza a questo perché essendo un impero gli Usa hanno strutture imperiali permanenti: il suo controllo militare, la sua struttura di controllo e di spionaggio, che rimane identica qualunque sia l’imperatore. A questo punto direi una cosa: di fronte al caso Obama, noi dobbiamo aspettare. Da un lato nessuna grande speranza ma neanche che tutto quanto è uguale.

In generale, però, l’impero non può essere limitato da correnti d’opinione, manifestazioni pacifiste ostensive, che sono come il solletico su un rinoceronte; purtroppo, in questo momento, l’impero americano può essere contrastato solo da altre forze geopolitiche concorrenti, fondamentalmente Russia e Cina, ma anche America Latina. Tutto questo è molto triste per chi viene da una tradizione marxista, perché i marxisti vogliono sempre identificarsi con i resistenti tipo vietcong e non ci possiamo identificare con i baroni ladri ex sovietici, oppure con i capitalisti confuciani cinesi. Possiamo identificarci parzialmente con personaggi come Chavez, che si porta dietro la tradizione populista di sinistra latino americana, oppure con il Brasile di Lula. Personalmente do un giudizio molto positivo di Ahmadinejad, che considero una variante popolare e populista ma anche sociale e politica. Per me lui ha vinto le elezioni, c’è stato un tentativo di rivoluzione con i cartelli già pronti e scritti in inglese e non in persiano, perché il messaggio doveva uscire subito dall’Iran ed era rivolto direttamente alla CNN. Io non sono schizzinoso a chi si oppone all’impero americano come la giunta birmana o la Corea del nord, anche se non mi identifico affatto con loro eticamente, né le considero forze progressive. Però, avendo cessato il movimento operaio e socialista e il proletariato come classe di effettuare una resistenza politica al capitalismo, siamo in una attraversata del deserto in cui ci sono solo i dominanti che si combattono fra di loro e i dominati sono effettivamente senza voce. Non disprezzo quando ci si muove con scioperi, manifestazioni e altro, però in questo momento non ci sono forze strategiche sistemiche e questo perché la sinistra non esiste più come alternativa ma solo come variante buonista alla politica imperiale.

 



 

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