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Diluvi e derive - pag. 2 PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Dopo il diluvio: discorsi su letteratura e arti
Venerdì 01 Gennaio 2010 00:00
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Diluvi e derive
pag. 2
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Questi gli intenti, smentiti da gran parte dei testi antologizzati, tranne poche eccezioni. La parola innamorata fu criticata aspramente dalla cultura di sinistra, fu accusata di essere un’operazione sostanzialmente reazionaria. La difesa fu altrettanto decisa, ma entrambe le schiere, a mio avviso travisavano completamente il senso di quell’operazione che non andava tanto criticata per i contenuti dell’introduzione, condivisibili o meno che fossero, ma per l’eterogeneità degli antologizzati, molti dei quali del tutto estranei ai contenuti stessi di quell’introduzione e infatti alcuni di loro ne avrebbero preso le distanze molto presto: Maurizio Cucchi, per esempio.

 

Sotto l’ombrello generico di quella introduzione infatti, si raggruppava una nuova generazione di poeti che si auto eleggeva tale, occupando uno spazio editoriale lasciato vuoto dall’ondata rivoluzionaria degli anni ’60 e '70, che in questo contesto non ci proponiamo per il momento di valutare, nelle sue ricadute più propriamente culturali e letterarie. In sostanza non erano tanto i contenuti quelli a dover preoccupare, bensì l’operazione in sé: con La parola innamorata finiscono le aggregazioni sulla base di poetiche e comunanza d’intenti e cominciano le cordate, cioè l’occupazione di tutti gli spazi editoriali possibili da parte di quella generazione di autori che si era eletta come tale, senza alcun supporto autonomo da parte della critica, peraltro in via di definitiva scomparsa. Che gli intenti fossero roboanti era cosa risibile: la parola innamorata inaugura la stagione della fungibilità di tutte le idee a seconda delle opportunità e a prescindere da ogni altra considerazione; fenomeno questo che connota proprio il postmoderno e la globalizzazione, come ben riassunto dal saggio precedente di Rabissi.

 

In narrativa le cose andarono un po’ diversamente, ma solo per uno spostamento di tempi. Esaurita presto la stagione neorealista e resistenziale, fu il secondo Calvino (successivo alla trilogia) a dominare la scena, mentre Fenoglio, si affermerà più tardi, quando si capirà meglio che il suo romanzo, scritto originariamente in inglese, non stava dentro i canoni piuttosto stretti della narrativa partigiana, ma aveva uno spessore diverso e più significativo. Calvino porterà in Italia le suggestioni francesi del Nouveau Roman, che andava di pari passo, nel pieno degli anni ’60 con l’Ecole du regard e il cinema di Godard e di Antonioni. Nel frattempo c’era stato il caso letterario del Gattopardo, mentre Horcynus Orca di D’Arrigo stentava a imporsi. Tutto questo però si muoveva all’interno di un gusto estetico e di istituzioni letterarie in cui la distinzione fra letteratura d’intrattenimento e prosa letteraria continuava a tenere e terrà fino agli anni ’80; per dirla con Jameson, siamo ancora all’interno delle tradizioni del Moderno.

È durante gli anni ’80 che trionfano definitivamente postmoderno e globalizzazione in Italia. Il venir meno delle distinzioni e il trionfo dell’indistinto non hanno dei veri e propri teorici alle loro spalle, se mai dei semplici omini di burro che gestiscono le operazioni. L’indistinto s’afferma come risultato di un radicale cambiamento del gusto estetico, effetto di trascinamento causato dall’apparire delle tv commerciali, che fanno trionfare anche in Italia il consumo del consumo, per ritornare a un’espressione di Jameson; cioè il raddoppiamento a livello simbolico, di ciò che avviene nel mondo dell’economia globalizzata. Uno degli effetti più abnormi di tale processo in narrativa e in letteratura in generale, sta nel fatto che, mentre in passato, erano stati la televisione e il cinema a saccheggiare (con effetti spesso positivi), la grande letteratura mondiale per farne soggetto di film, che spesso incentivava la lettura di quei capolavori, dagli anni ’80 in poi accade spesso il contrario. È la narrativa a imitare sempre più scopertamente il cinema. Molti romanzi nascono già come sceneggiature, non nel senso che Pasolini aveva sperimentato nella scrittura di Teorema o più tardi di Petrolio, ma nel senso di ricercare l’effetto speciale attraverso l’immagine . La scrittura non deve più aspirare alla letterarietà, lo stile non interessa più a nessuno, lo statuto autoriale passa in seconda linea. Forse non si affermano i gruppi di cui parla Jameson perché il mercato italiano non permette operazioni alla Stephen King o alla Dan Brown (quelle tentate da noi come i casi di Wu Ming o Luther Blisset non hanno avuto un vero impatto), se non come fenomeni di importazione. Nel contesto appena delineato i critici diventano dei recensori, oppure suonano la grancassa di questo o dell’altro potere editoriale. Solo l’università sembra risparmiata da tale deriva, ma con problemi altrettanto gravi e di altra natura, che tuttavia esulano dai compiti di questo saggio.

La situazione di caos indistinto che contraddistingue la narrativa contemporanea, non è il frutto di un dibattito, di uno scontro fra diverse opzioni, ma il risultato puro e semplice di un processo che nasce al di fuori delle istituzioni letterarie, ma a cui, queste ultime, si adeguano copiandone i modelli.

Dobbiamo essere per forza pessimisti a fronte dello scenario qui delineato?

Non necessariamente. Quello qui descritto è un processo più lineare di quanto non avvenga nella realtà: un modello interpretativo è necessario e a volte può sembrare rigido nelle sue linee di forza, ma anche nelle arti e nella cultura, il postmoderno determina anche reazioni positive, fenomeni di resistenza e di presa di coscienza. La soggettività, per quanto alienata, non è mai riducibile a un suo totale azzeramento. Nel suo saggio Paolo Rabissi ricorda un punto cruciale del pensiero di Jameson, quando lo studioso statunitense afferma che tutte le ideologie sono utopie, compresa quella del libero mercato. Mutatis mutandis, lo stesso si può dire che sono utopie e non solo processi in atto, anche il trionfo dell’indistinto e la piena fungibilità di ogni idea e opzione come raddoppiamento simbolico di una realtà, in cui l’economia finanziaria genera il mito della crescita indefinita della ricchezza dal nulla. Volevo in questo saggio delineare uno scenario e tradurre, per così dire, in italiano, il modello di Jameson. Esiste anche un’altra globalizzazione per quanto riguarda la cultura e le arti e non mancheremo di occuparcene.

 



 

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