di Adriana Perrotta Rabissi
A un anno di distanza dall'analisi di Paola Melchiori, Neopatriarcato, che qui presentiamo traendola dal sito della Libera Università delle Donne di Milano, gli episodi che si sono avvicendati in Italia - aggressioni, violenze, femminicidi, stupri dentro e fuori le famiglie, uso esibito, compiaciuto, commerciale e politico del corpo delle donne, episodi di intolleranza verso donne non a disposizione - sembrano confermare molti dei suoi spunti teorici di allora.
E in atto da tempo un dibattito tra donne, e pochi uomini, sullo stato attuale del patriarcato: morto, moribondo o vivo e vegeto.
L’assemblea tenutasi il 10 ottobre alla Casa Internazionale delle Donne di Roma ha affrontato proprio questa questione; vi si sono confrontati due orientamenti attualmente prevalenti, che funzionano da ipotesi di lavoro, nel senso di determinare atteggiamenti e comportamenti individuali e collettivi di molte donne e qualche uomo:
il patriarcato è morto, travolto dalla rivoluzione femminista datata a partire dagli anni Settanta, il che ha determinato da un lato la conquista della libertà femminile, dall’altro la feroce reazione di uomini che, con vari gradi di violenza, non sopportano il tramonto del loro dominio sulle donne e lo smascheramento della loro vulnerabilità e fragilità, ora che non sono più sostenuti dalla subordinazione e accondiscendenza femminile.
In tal caso ci si troverebbe nella fase di post patriarcato, l’accento è posto soprattutto sul livello simbolico, nel senso che non saremmo più in presenza di un accettata superiorità del maschile (e quindi degli uomini, naturali portatori del maschile) sul femminile (e quindi delle donne), ma di un’acquisita simmetria di valori; il potere degli uomini ancora esiste, dove esiste, ma ormai privo di autorità, siamo in presenza dell'unica rivoluzione non violenta del XX secolo riuscita.
L’altra opzione considera invece che il patriarcato non solo è vivo e vegeto, ma soprattutto è in grado di ristrutturarsi e riorganizzarsi in presenza dei mutamenti effettivi dei rapporti trai sessi, sia nella sfera del privato-affettivo-familiare, che nell’area del pubblico; trasformazioni determinate non solo dala modernizzazione dei processi produttivi e sociali, ma anche dalle acquisizioni teoriche e pratiche elaborate dal femminismo a partire dagli anni Settanta.
Il discorso del femminismo degli anni Settanta era infatti radicale, non si trattava tanto e solo di inserire le donne nella sfera pubblica, caratterizzata dal tradizionale predominio maschile, di ricorrere cioè alla risorsa donna declinata in tutte le possibili combinazioni, nel lavoro, nella politica, nella cultura, per raddrizzare, migliorare, ingentilire un mondo che, con evidenza inconfutabile, funziona male, sempre in preda a possibili scoppi di barbarie, ma intendeva rovesciare lo stato di cose esistente, riassunto nel concetto di patriarcato.
Questo allora ha spaventato e continua ancora a spaventare molt*, perché vuol dire perdere nicchie di potere e contropotere, di privilegi concessi e/o strappati sia per gli uomini che per le donne, nel pubblico ma, soprattutto, nella dimensione del privato, degli affetti, dell’ amore, della cura, della sessualità, della vita e della morte.
Secondo me le due posizioni delineate sono in realtà molto meno lontane di quanto facciano immaginare le occasionali polemiche tra le singole femministe. Infatti il livello simbolico è strettamente connesso con quello materiale concreto e ne è a sua volta influenzato; così se è indubbio che nel corso degli ultimi quarant’anni si sono rotti gli universi simbolici di riferimento che determinavano il destino sociale di molte donne (tranne che per le ribelli, che ci sono sempre state ), scardinati per effetto delle lotte, delle pratiche e teorie politiche individuali e collettive agite dalle appartenenti al femminismo e non solo, è anche vero che in Occidente e nel resto del mondo permangono situazioni materiali che rendono difficile il pieno dispiegarsi dell’autonomia e della libertà femminili e assistiamo a numerosi tentativi di riaffermare gerarchie e codificazione di ruoli messi in crisi nella seconda metà del secolo scorso.
Presentiamo, su questi temi, l’intervento di una femminista che ha una approfondita conoscenza del femminismo nazionale e internazionale; si tratta della relazione tenuta in occasione del primo Laboratorio di ricerca femminista, tenutosi a Milano, il 13 dicembre 2008, laboratorio dal titolo Il patriarcato è in crisi? Pratiche di resistenza e spunti teorici.
Neopatriarcato
l'analisi di Paola Melchiori
Nota biografica tratta dal sito della Libera Università delle Donne di Milano Paola Melchiori ha insegnato Filosofia e Antropologia in vari ordini di scuole. E' stata attiva nel movimento femminista a partire dalla metà degli anni '70, mentre era contemporaneamente seriamente impegnata nei corsi di educazione per gli adulti, nei movimenti popolari di base, nei sindacati e nella carriera universitaria (1972-87). Ha lasciato l'università per fondare la Libera Università delle Donne, a Milano, di cui è stata la Presidente dal 1986 al 1996, quando ha fondato la sezione internazionale della Libera Università delle Donne, a Milano, Crinali, un'associazione femminista di ricerca e di formazione di cui fanno parte donne di varia estrazione culturale e sociale. A partire dalla metà degli anni '80 ha lavorato per progetti di Cooperazione Nord-Sud del mondo in contesti di scambi interculturali tra donne. Attualmente è la Presidente diWWIFUN (Wise Women International Feminist University Network) che ha come scopo principale la raccolta del meglio della cultura femminista internazionale al fine di farla conoscere alle donne più giovani. Autrice di numerosi studi di saggistica, ha scritto da sola o con altre, diversi libri sulle problematiche di genere; ha fondato insieme ad altre donne la rivista Lapis.
Se cerco di rispondere alla domanda sulle difficoltà che vive il femminismo proprio oggi che i suoi temi sono così evidenti nello spazio pubblico, e lo faccio dalla prospettiva del movimento internazionale nato sull’onda delle Conferenze ONU degli anni ottanta-novanta, direi che non si può prescindere dall’individuazione di una serie di elementi che rendono il quadro attuale molto diverso da quello in cui il femminismo degli anni settanta si è affermato.
*Il movimento internazionale delle donne è caduto in una certa invisibilità dopo la fine delle conferenze ONU che lo avevano sostenuto e favorito malgrado ciò non fosse nei loro obbiettivi. *Questo abbandono del movimento alle sue proprie forze, che ha significato soprattutto un arretramento in termini di risor se, è coinciso-ironia della sorte- con un momento storico che ha fatto virare le scoperte delle donne contro di loro. *Agli aggiustamenti strutturali, che hanno usato la consapevolezza dell’ importanza del lavoro femminile per sfruttarlo meglio, si è aggiunto, inoltre, l’emergere dei fondamentalismi.
L’uscita delle donne -per iniziativa autonoma- dal posto loro assegnato, che ha significato l’eliminazione dei meccanismi classici di ammortizzazione economica, sociale ed emozionale, si è semplicemente dimostrata intollerabile per tutti, (anche per gli uomini che si dicono progressisti). E’ in questo contesto che va letta l’emersione di una violenza senza precedenti contro le donne, che attraversa, con cifre paurose, i paesi emancipati del Nord Europa fino all’ultimo barrio latinoamericano. E che non può solo essere imputata all’emersione di qualcosa che prima c’era ma non si vedeva. Qualcosa è cambiato per sempre infatti sulla scena e questo ha radicalizzato i termini del conflitto prima oscurato dal silenzio di una parte. Questo silenzio è finito. Ha iniziato a parlare in modo da non poter più essere categorizzato con altri nomi, né reso invisibile. E, tutte, abbiamo sottovalutato il livello di violenza che tale sottrazione scatena negli equilibri personali e sociali o quello che, semplicemente, essa mette in evidenza. Ci troviamo oggi di fronte a un difficile quadro, che definirei neopratriarcale, caratterizzato da una misoginia dilagante che salda gli elementi di un patriarcato classico e fondamentalista a quelli di un patriarcato moderno, liberale e superilluminato. Si afferma, infatti, il messaggio che il femminismo sarebbe ormai demodè poichè i residui premoderni di cui si occupa saranno spazzati via dal trionfo delle democrazie neoliberali. E questa posizione è condivisa da molte giovani donne nate in un tempo dove alcune libertà sembrano naturali tanto quanto prima erano naturalmente negate. Questo scenario configura una scena radicalmente diversa rispetto a quella degli anni settanta, i cui paradossi sono particolarmente evidenti soprattutto nello spazio pubblico della politica. *Malgrado il fatto -ad esempio- che oggi la leadership dei movimenti sociali sia tutta femminile, la scena pubblica, decisionale e intellettuale, salvo poche eccezioni, rimane tutta maschile e, come nel ‘68 ai tempi degli angeli del ciclostile, il lavoro politico sociale delle donne resta sempre percepito come il lavoro domestico nella società.. *Negli spazi pubblici, malgrado i corpi femminili circolino anche come corpi pensanti , le donne accedono al potere ancora attraverso la protezione di uomini, o in quanto parte simbolica o reale di una coppia, o perché qualche uomo illuminato apre loro la via. *Nello stesso tempo destre fondamentaliste e militariste, riescono (in modo molto più abile della sinistra) a usare pienamente i guadagni del femminismo. Il teatrino Palin- Barbie delle elezioni USA ha mostrato in maniera esemplare questa tendenza peraltro evidente anche da noi. *La destra è capace di giocare la femminilità assoluta, combinata con l’asservimento e la potenza del materno, insieme all’emancipazione. *Le femministe sono strette in una trappola dove la repressione fondamentalista si salda a un illuminismo neoliberale, ugualmente misogino. Questo rende molto più complesse le lotte e i messaggi possibili e ciò è particolarmente visibile nella gestione di proposte in uno spazio pubblico che vada al di là delle lotte puramente difensive. *Le donne che occupano spazi di potere nel pubblico scontano una difficoltà di posizione che è strutturale: la difficoltà di rendere identificabile, nell’uso del potere e nelle scelte politiche, la differenza che le donne potrebbero e possono fare. Ci si muove purtroppo in un terreno dove il nostro lavoro non è stato compiuto. Dove non si è ancora consolidato né concettualmente né nelle sue pratiche o modalità organizzative un nostro spazio, dove la storia- per così dire- ci precede. Uno degli aspetti di questo lavoro incompiuto è l’illuminazione dei nessi che legano il patriarcato al capitalismo e alla questione della democrazia, l’altro la valorizzazione di pratiche alternative sul piano della gestione e della concezione del potere. Certo, parte delle difficoltà per le femministe di rendere le proprie analisi visibili e praticabili è responsabilità di una sinistra che ha perso il suo orizzonte e non riesce a vedere i guadagni che l’analisi femminista apporterebbe nella comprensione della realtà e nella invenzione di nuovi progetti politici. Esiste anche una responsabilità nostra: la subalternità delle donne della sinistra ai propri partiti nell’identificarsi con l’approccio gruppo vulnerabile rinuncia a quella pratica essenziale degli anni 70 che consisteva nel ridefinire le proprie questioni in mondo autonomo, porre le proprie priorità e conquistare la legittimità di un altro sapere e con ciò di altri paradigmi possibili. Compiere quel lavoro di cui parlo sopra mi sembra che oggi significhi la capacità, ove gli altri vedono esclusione, razzismo, capitalismo, di illuminarne lo strato patriarcale. Nessun altro lo può fare se non chi lo vive e da una certa posizione. L’insieme del confronto tra queste posizioni può creare mappe collettive del loro funzionamento e dei loro legami interni. Significa guardare la società da tutte quelle zone nascoste che naturalmente scivolano sotto la cura delle donne e come tali stanno nell’ombra. Significa avere della società o della democrazia e delle regole che la devono sostenere una visione più completa, sia nel senso della complessità-estensione dei fenomeni che nel senso della profondità, perché prende in esame tutti gli aspetti, anche quelli più invisibili. Le definizioni di democrazia/pace/guerra/giustizia/sicurezza, sono diverse in questa prospettiva, osservate da queste posizioni. Dobbiamo mantenere le condizioni e gli spazi per questo sguardo, per un rovesciamento di prospettive, per una ridefinizione autonoma delle questioni, delle priorità, delle forme organizzative. Queste sono le condizioni per una ridefinizione della politica. E questo io vedo fare spesso negli incontri così poco visibili del femminismo internazionale. Significa non cedere sulla nostra metodologia di conoscenza: esperienziale, complessa, non frammentata, pluristratificata, molto specifica e molto generale ad un tempo (il che ci permette anche di ridefinire il concetto di concretezza). Non dobbiamo accettare la confusione tra patriarcato e capitalismo: dove gli altri vedono capitalismo, nazionalismo, razzismo, bisogna essere capaci di vedere e far vedere lo strato patriarcale che è più antico. Non dobbiamo accettare il ricatto dell’approccio più globale. L’approccio più globale è il patriarcato. Non dobbiamo accettare l’ alternativa tra separatismo e lavoro in ambiti misti : le donne oggi lavorano normalmente in ambiti misti , è un segno di influenza e rispetto guadagnato. Tuttavia il movimento e anche coloro che occupano posizioni di potere ancora vivono sui residui delle visioni e delle posizioni radicali rese possibili da un movimento che ha ridefinito tutte le questioni a modo suo, autonomamente e controcorrente, in un modo che sarebbe stato impossibile e ed impensabile in uno spazio misto e senza la metodologia dell’autocoscienza e il dare valore al confronto tra le esperienze. Gli interessi maschili non sono gli stessi di quelli femminili e questo è occultato negli ambiti misti. Il desiderio di smantellare tutti gli aspetti del patriarcato è per le donne una condizione di sopravvivenza, per gli uomini può essere condizione di comprensione-empatia.
Ma il sapere non viene dall’empatia, ma dall’esperienza in prima persona. Essa è il nostro punto di partenza e la nostra forza teorica.
Nota biografica tratta dal sito della Libera Università delle Donne di Milano Paola Melchiori ha insegnato Filosofia e Antropologia in vari ordini di scuole. E' stata attiva nel movimento femminista a partire dalla metà degli anni '70, mentre era contemporaneamente seriamente impegnata nei corsi di educazione per gli adulti, nei movimenti popolari di base, nei sindacati e nella carriera universitaria (1972-87). Ha lasciato l'università per fondare la Libera Università delle Donne, a Milano, di cui è stata la Presidente dal 1986 al 1996, quando ha fondato la sezione internazionale della Libera Università delle Donne, a Milano, Crinali, un'associazione femminista di ricerca e di formazione di cui fanno parte donne di varia estrazione culturale e sociale. A partire dalla metà degli anni '80 ha lavorato per progetti di Cooperazione Nord-Sud del mondo in contesti di scambi interculturali tra donne. Attualmente è la Presidente diWWIFUN (Wise Women International Feminist University Network) che ha come scopo principale la raccolta del meglio della cultura femminista internazionale al fine di farla conoscere alle donne più giovani. Autrice di numerosi studi di saggistica, ha scritto da sola o con altre, diversi libri sulle problematiche di genere; ha fondato insieme ad altre donne la rivista Lapis. |