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I tortuosi sentieri del capitale. Intervista a Giovanni Arrighi di David Harvey - pag. 4 PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Con Marx e oltre il marxismo
Venerdì 01 Gennaio 2010 00:00
Indice
I tortuosi sentieri del capitale. Intervista a Giovanni Arrighi di David Harvey
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D. Un riferimento fondamentale per il tuo saggio Il lungo XX secolo, pubblicato nel 1994, è rappresentato da Braudel. Dopo averne assimilato il pensiero, ora ti senti di muovergli qualche obbiezione ?

 

 

R. L’obbiezione è abbastanza facile. Braudel rappresenta una fonte d’informazione ricchissima sul tema dei mercati e del capitalismo, ma manca di impalcatura teoretica. O meglio, come ebbe a dire Charles Tilly, è talmente eclettico da avere innumerevoli teorie parziali la cui somma è nessuna teoria. Non ci si può basare solo su Braudel, lo si deve accostare avendo bene in mente cosa si vuole cercare e si vuole trarre da lui. Ho notato una cosa che distingue Braudel da Wallerstein e tutti gli altri analisti del sistema mondiale, per non dire degli storici dell’economia di impostazione tradizionale, marxisti o altro – è l’idea che  il sistema degli stati nazione come emerse nei secoli XVI e XVII, fu preceduta da un sistema di città-stato e che le origini del capitalismo è là che vanno cercate, nelle città-stato. Questo distingue l’occidente, ovvero l’Europa, dalle altre parti del mondo. Ma se si segue Braudel ci si perde, dato che si viene portati in molte e diverse direzioni. Ad esempio, io dovetti estrapolare questa idea e coniugarla con quanto venivo apprendendo da Pursuit of power di William McNeill, il quale a sua volta sostiene, da un altro punto di vista, che il sistema delle città-stato precedette e preparò l’affermarsi di un sistema di stati territoriali.

 

D. Un’altra idea, alla quale attribuisci maggiore profondità teoretica, ma che deriva comunque da  Braudel, è il concetto che l’espansione finanziaria  annuncia l’autunno di un certo sistema egemonico  e precede il passaggio a un’ egemonia di nuovo tipo di. Si direbbe che qui  sta il senso profondo de Il lungo XX secolo.

R. Sì. L’idea era che l’organizzazione capitalistica dominante di una certa epoca  sarebbe anche  dominante nell’espansione finanziaria, che ha luogo sempre quando l’espansione materiale delle forze produttive raggiunge il limite. La logica di questo processo – sebbene ancora una volta Braudel non la fornisca – è che quando la concorrenza  aumenta, gli investimenti nell’economia materiale diventano sempre più rischiosi e quindi si accentua  la preferenza  del denaro liquido da parte dei risparmiatori, il che, a sua volta, crea le condizioni per l’espansione finanziaria. L’altra  questione, naturalmente, è come si creino le condizioni di domanda di espansione finanziaria. A questo riguardo, ho fatto riferimento alla teoria di Weber secondo cui la concorrenza tra gli stati del capitale mobile costituisce  la specificità storica su scala mondiale dell’era moderna. Io sostenevo che tale  concorrenza  crea le condizioni della domanda di espansione finanziaria. L’idea di Braudel dell’”autunno” come fase conclusiva di un processo di leadership nell’accumulazione – che va  da quella materiale a quella finanziaria e finisce  con essere sostituita da  un’altra leadership – è fondamentale. Ma lo è pure l’idea di Marx secondo cui l’autunno di uno stato particolare  che vive un’espansione finanziaria,  rappresenta anche la primavera  per un altro  stato: il surplus accumulato a Venezia va in Olanda; quello accumulato in Olanda  va in Gran Bretagna e quello accumulato in Gran Bretagna va negli Stati Uniti. In tal modo Marx completa ciò che è insito nell’idea di autunno di Braudel: l’autunno diventa primavera in qualche altro luogo, provocando una serie di sviluppi interconnessi tra loro.

 

D. Il lungo XX secolo analizza questi cicli successivi di espansione capitalistica  e di potere egemonico dal Rinascimento ai nostri giorni. Nel tuo testo le fasi di espansione materiale del capitale finiscono per esaurirsi  sotto la spinta di un eccesso di concorrenza, dando luogo a fasi di espansione finanziaria la cui estinzione  fa precipitare una situazione di caos tra gli stati che si risolve con l’emergere  di un nuovo potere egemonico capace di ristabilire l’ordine globale, riavviando nuovamente il ciclo di espansione materiale grazie a un nuovo blocco sociale. Stati egemoni sono stati a turno Genova, i Paesi Bassi, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Fino a che punto consideri la loro affermazione, che pone fine ogni volta a un periodo di turbolenza, come frutto di fatti contingenti?

R. Domanda bella e difficile!  C’è sempre un elemento di contingenza.  Allo stesso tempo la ragione per cui queste transizioni  durano così a lungo attraversando periodi di turbolenza e di caos è che le forze  che poi emergono  per organizzare il sistema  attraversano un periodo di apprendimento. Ciò appare chiaro nel caso più recente, quello degli Stati Uniti. Alla fine del XIX secolo gli Stati Uniti presentavano già delle caratteristiche che li rendevano possibili successori della Gran Bretagna .  Ma ci vollero più di mezzo secolo, due guerre mondiali e una depressione catastrofica prima che essi sviluppassero le strutture e le idee  che, dopo la seconda guerra mondiale,  li misero in grado di  assumere veramente l’egemonia.  Fu soltanto una contingenza  a rendere possibile l’egemonia  degli Stati Uniti che potenzialmente esisteva già nel XIX secolo o c’è qualcosa d’altro? Non lo so.  Chiaramente vi era un aspetto geografico  contingente - il  Nord America  aveva una  diversa configurazione spaziale  rispetto all’Europa, che permise la formazione di uno stato  che non avrebbe potuto sorgere nella stessa  Europa, se si esclude  la parte orientale, dove a sua volta la Russia si stava espandendo territorialmente. Ma c’era anche un elemento sistemico: la Gran Bretagna creò un sistema di credito internazionale  che a un certo punto favorì in modo particolare la formazione degli Stati Uniti .

È certo che, fossero mancati gli Stati Uniti, con la loro particolare configurazione storico-geografica, la storia sarebbe stata molto diversa. A chi sarebbe andata l’egemonia? Si possono fare solo  congetture. Ma ci furono gli Stati Uniti, che si stavano costruendo, sotto molti aspetti, sul modello olandese e su quello britannico.  Genova era un po’ diversa: non dico mai che è stata egemone; era più vicina al tipo di organizzazione finanziaria internazionale che si verifica nelle diaspore, compresa la diaspora cinese contemporanea. Ma non era egemone in senso gramsciano come lo furono l’Olanda e la Gran Bretagna. La geografia conta molto, ma anche se questi tre stati  erano così diversi sotto l’aspetto spaziale, essi si erano costruiti  sulla base di caratteristiche organizzative apprese  dallo stato che li aveva preceduti. La Gran Bretagna trasse moltissimo dall’esempio olandese, così come gli Stati Uniti dalla Gran Bretagna. Si tratta di stati interconnessi – una sorta di effetto valanga. Perciò, sì, c’è un effetto dovuto alla contingenza, ma ci sono anche collegamenti sistemici.

 

D. Il lungo XX secolo non si occupa del destino del movimento operaio.  Non te  ne sei occupato perché a quel tempo lo consideravi di secondaria importanza oppure perché l’architettura del libro, il cui sottotitolo è Denaro, potere e le origini del nostro tempo, era così  ambiziosa e complessa che trattare anche di quello  l’ avrebbe appesantita?

R. La seconda ipotesi è la più corretta.  Il lungo XX secolo originariamente avrebbe dovuto essere scritto a quattro mani con Beverly Silver , che ho incontrato per la prima volta a Binghamton, e doveva essere diviso in tre parti. Una sull’egemonia, che  in effetti costituisce il primo capitolo, la seconda doveva trattare del capitale – l’organizzazione del capitale, l’impresa– in sostanza, la concorrenza; la terza  avrebbe affrontato il lavoro - il lavoro e i rapporti  capitalistici, il movimento operaio. Ma la scoperta della finanziarizzazione  come modello ricorrente all’interno del capitalismo storico mandò all’aria l’intero progetto. Mi costrinse a tornare indietro nel tempo, cosa che mai avrei voluto fare,  dato che il libro doveva effettivamente trattare del “lungo XX secolo”, vale a dire  dalla Grande Depressione del decennio 1870 fino ai nostri giorni. Quando scoprii il paradigma della finanziarizzazione  andai in crisi del tutto e Il lungo XX secolo divenne sostanzialmente un libro sul ruolo del capitale finanziario nello sviluppo storico  del capitalismo, a partire dal secolo XIV.  Così fu Beverly ad occuparsi  del lavoro nel suo Forces of Labour, uscito nel 2003 (5).

(5) Beverly J. Silver, Forces of Labour: Workers’ Movements and Globalization Since 1870, Cambridge 2003.



 

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