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I tortuosi sentieri del capitale. Intervista a Giovanni Arrighi di David Harvey - pag. 5 PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Con Marx e oltre il marxismo
Venerdì 01 Gennaio 2010 00:00
Indice
I tortuosi sentieri del capitale. Intervista a Giovanni Arrighi di David Harvey
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pag. 12 - Biografie . Commenti
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D. In Caos e governo del mondo, del 1999 , foste co-autori. Il libro sembra rispettare  il piano iniziale de Il lungo XX secolo.

R. Sì. In Caos e governo del mondo vi sono capitoli sulla geopolitica, sull’impresa, sul conflitto sociale, ecc.(6) . Il progetto originale non fu dunque mai abbandonato, ma non compare ne Il lungo XX secolo, dato che non riuscivo a concentrarmi sulla ciclica ricorrenza  dell’espansione finanziaria  e dell’espansione materiale e contemporaneamente trattare del lavoro. Una volta spostato il centro d’attenzione  nella definizione di capitalismo verso un’alternanza di espansione materiale e finanziaria, diventa molto difficile ritornare a occuparsi del  lavoro.  Non solo  occuperebbe molto spazio,  ma c’è anche una notevole variazione di carattere spazio-temporale nei rapporti capitale-lavoro.  Per un semplice fatto, come sottolineiamo  in Caos e governo del mondo c’è un’accelerazione  nella storia sociale.  Quando si mettono a confronto un regime di accumulazione con  un altro, ci si accorge che nella transizione  dall’egemonia   olandese a quella britannica nel secolo XVIII, il conflitto sociale arriva tardi,  in concomitanza con l’espansione finanziaria e le guerre. Nella transizione attuale – verso destinazione ignota – l’esplosione del conflitto sociale alla fine degli anni ’60 e nei primi ’70 ha preceduto l’espansione finanziaria  senza provocare guerre tra le maggiori potenze.

In altri  termini, se prendiamo in considerazione la prima metà del XX secolo, è in prossimità delle guerre mondiali  e poco dopo la loro conclusione che si hanno le  più importanti lotte dei lavoratori. Questa era la base della teoria della rivoluzione di Lenin: le rivalità tra  i vari capitalismi, trasformandosi in guerre, avrebbero creato le condizioni favorevoli alla rivoluzione, il che si nota  in modo empirico fino alla  seconda guerra mondiale.  In senso capitalistico si potrebbe dire  che, nella transizione attuale,  l’accelerazione del conflitto sociale ha evitato che gli stati capitalisti si facessero la guerra tra loro. Perciò, tornando alla tua domanda, ne Il lungo XX secolo ho scelto di concentrarmi sull’espansione finanziaria., sui cicli sistemici di accumulazione capitalista e sulle egemonie mondiali. Ma in Caos e governo del mondo ritornammo al tema delle inter-relazioni tra conflitto sociale, espansione finanziaria e transizioni egemoniche.

 

D. Nella discussione sull’accumulazione primitiva  Marx  si occupa del debito nazionale, del sistema creditizio, della bancarotta  - in un certo senso dell’integrazione tra finanza e stato che si verificava durante l’accumulazione primitiva – criticando fermamente  il modo in cui si evolve il sistema capitalista. Ma l’analisi del Capitale si rifiuta di trattare del sistema creditizio fino al Terzo volume , poiché Marx non vuole occuparsi dell’interesse, anche se il sistema creditizio diventa una questione  fondamentale  per la centralizzazione del capitale, per l’organizzazione del capitale fisso e così via. Questo pone la questione  di come effettivamente la lotta di classe ruoti attorno al nesso tra stato e  finanza, che assume un ruolo vitale come lei ha indicato. Nell’analisi di  Marx sembra esserci una  lacuna: da una parte egli dice che la dinamica principale è tra capitale e lavoro, dall’altra il lavoro non pare essere  fondamentale nei processi di cui tu parli – spostamenti egemonici,  bruschi riposizionamenti. Si capisce  come Il lungo XX secolo abbia avuto difficoltà ad integrare il lavoro nella propria storia, poiché in un certo senso il rapporto capitale-lavoro non è centrale in quell’aspetto della dinamica capitalistica. Concordi  su questo punto?

R. Certamente. Con una riserva: il fenomeno dell’accelerazione della storia sociale a cui accennavo. Le lotte operaie degli anni ’60 e ’70, ad esempio, rappresentarono un fattore di fondamentale importanza nella finanziarizzazione degli anni ’70 e ’80 e nel modo in cui essa si è evoluta. Il rapporto tra lotte degli operai  e dei lavoratori dipendenti e la finanziarizzazione cambia nel tempo e recentemente ha assunto caratteristiche prima  inesistenti. Ma se si cerca di spiegare il periodico ritorno  dell’espansione finanziaria non ci si può concentrare troppo sul lavoro, altrimenti si parla soltanto del ciclo più recente. Si finisce per commettere l’errore  di considerare il lavoro come causa dell’espansione finanziaria,  mentre i cicli precedenti  si sono attivati senza l’intervento delle lotte operaie e dei lavoratori dipendenti.

 

D. Riferendoci ancora alla questione del lavoro, potremmo tornare al tuo saggio del 1990  sul cambiamento del movimento operaio mondiale, “Il secolo marxista, il secolo americano”(7), dove sostenevi  che nel Manifesto la considerazione in cui Marx tiene la classe operaia  è profondamente contraddittoria, giacché  sottolinea la crescente importanza del potere collettivo del lavoro man mano  che  aumenta lo sviluppo capitalistico e al contempo il suo progressivo impoverimento corrispondente all’effetto di un esercito industriale attivo e di un esercito di riserva. Marx, come tu fai notare, pensava che le due tendenze si sarebbero unite in un’unica massa, però hai sostenuto che nei fatti all’inizio del  XX secolo esse subirono una polarizzazione spaziale: in Scandinava  e nel mondo anglo-sassone prevalse la prima,  in Russia e più a oriente, prevalse la seconda – Bernstein colse l’opportunità offerta dalla prima, Lenin dalla seconda – il che causò la frattura tra riformisti e rivoluzionari all’interno del movimento operaio. Nell’Europa centrale – Germania,  Austria  e Italia - secondo te vi è stato un equilibrio più fluttuante tra un esercito attivo e uno di riserva, fino all’equivoco di Kautsky, che non fu capace di scegliere tra riforma e rivoluzione e contribuì in tal modo alla vittoria del fascismo. Alla fine del saggio tu dici che si potrebbe arrivare a una ricomposizione del movimento operaio, con il ritorno della povertà in Occidente, con il ritorno di una disoccupazione diffusa e,  con la nascita di Solidarnosc a est, forse potrebbe ricomporsi quello che lo spazio e la storia avevano diviso. Qual è il tuo parere oggi riguardo a questa possibilità?

R. Ebbene, la prima cosa da dire è che oltre a questa visione ottimista riguardo al livellamento delle condizioni della classe operaia in una prospettiva  globale, nel saggio ve ne era una più pessimista, che metteva in evidenza  quello che ho sempre considerato un’incrinatura  molto grave nel Manifesto di Marx ed Engels. C’è un salto logico insostenibile sotto l’aspetto intellettuale e storico – l’idea che, per il capitale, ciò che oggi noi chiameremmo genere, etnia, nazionalità, non ha alcuna importanza. Che l’unica cosa che interessa al capitale  è la possibilità di sfruttamento e quindi il gruppo sociale più sfruttabile all’interno della classe lavoratrice è quello che verrà impiegato, senza alcuna discriminazione di razza, etnia o genere. Questo è del tutto vero. E tuttavia non è detto che i vari gruppi sociali  all’interno della classe lavoratrice lo accetteranno tranquillamente. In effetti è proprio quando c’è una generalizzazione della proletarizzazione e i lavoratori sono sottoposti a questa tendenza del capitale, essi si mobiliteranno sulla base di qualsiasi differenza di status sappiano identificare o creare per ottenere un trattamento privilegiato da parte dei capitalisti. Essi si mobiliteranno secondo indirizzi di genere, di nazionalità, di etnia o altro per avere un trattamento privilegiato dal capitale.

Perciò “Marxist Century, American Century” non è ottimista come potrebbe sembrare, perché mette in evidenza la tendenza esistente all’interno della classe lavoratrice  ad accentuare le differenze di  status per proteggersi dalla tendenza del capitale a trattare i lavoratori come massa indifferenziata che verrebbe impiegata solo per raggiungere l’obiettivo  del profitto. L’articolo si concludeva con una nota ottimistica, dicendo che vi è una tendenza al livellamento, ma allo stesso tempo  ci si aspetterebbe che i lavoratori lottassero per proteggere se stessi contro tale tendenza attraverso la formazione o il consolidamento di gruppi  basati sullo status.

 

D. Ciò significa che la  differenza tra esercito attivo ed esercito industriale di riserva tende ad essere una forma di divisione  e di ghettizzazione in base al ceto e alla razza, per così dire?

R. Dipende. Se osserviamo il processo in una dimensione globale – nella quale l’esercito di riserva non è costituito solo da disoccupati, ma anche da disoccupati  occulti e da emarginati – allora tra i due eserciti esiste decisamente una divisione in base al ceto. La nazionalità è stata usata da segmenti della classe lavoratrice, dell’esercito  attivo, come segno di distinzione rispetto all’esercito di riserva  globale. Questo è meno evidente a livello nazionale. Se prendiamo gli Stati Uniti o l’Europa, la differenza tra l’esercito attivo e quello di riserva è molto meno evidente . Ma con l’attuale immigrazione da paesi  molto più poveri contro gli immigrati sono andati crescendo sentimenti che  rivelano la tendenza a creare distinzioni di ceto all’interno della classe lavoratrice. Perciò il quadro è molto complesso specie se si osservano i flussi migratori transnazionali e la situazione per  la quale l’esercito di riserva è principalmente concentrato nel Sud globale più che nel Nord.

(6) Arrighi e Silver, Caos e governo del mondo, Milano 2003.

(7) Arrighi, “Marxist Century, American Century: The Making and Remaking of the World Labour Movement”, nlr 1/179, Jan-Feb 1990.



 

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