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Relazioni industriali e conflitti di lavoro nel Sud-Est asiatico - pag. 4 PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - L'altra globalizzazione
Venerdì 01 Gennaio 2010 00:00
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Relazioni industriali e conflitti di lavoro nel Sud-Est asiatico
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La situazione in Tailandia è solo di poco diversa. I lavoratori hanno la possibilità di formare un solo sindacato in ogni azienda purchè il 25% di loro siano d’accordo. Nelle imprese di proprietà statale lo sciopero è proibito e in quelle private è autorizzato solo con il consenso del 50% dei lavoratori. Durante la trattativa le agitazioni devono essere sospese e prima di dichiarare lo sciopero è obbligatorio tentare la strada della mediazione presso un’agenzia pubblica. Infine il governo puòsospendere il diritto di sciopero se lo ritiene dannoso all’economia nazionale e alla sicurezza. In queste condizioni è assai difficile che si sviluppino la contrattazione collettiva e un moderno sistema di relazioni industriali. E tuttavia anche in Tailandia i conflitti di lavoro non sono affatto rari. La maggiore ondata di agitazioni, come abbiamo detto, si è avuta a metà degli anni ’70 mentre nei decenni successivi le astensioni dal lavoro sono andate calando. Negli anni più recenti la tensione nelle imprese è tornata ad aumentare e forti scioperi sono scoppiati nel settori bancario, nei porti e nei trasporti. Secondo alcuni studiosi, con lo sviluppo di nuovi comparti a più elevata intensità di capitale e con la formazione di una nuova classe lavoratrice meno legata alla tradizione e più scolarizzata, anche il vecchio modello della deferenza e soggezione alla gerarchia sta venendo progressivamente meno. Del resto la vivace manifestazione che il I° maggio di ogni anno invade le strade di Bangkok fa pensare che anche il movimento operaio tailandese possa dire qualche cosa di nuovo negli anni avvenire.

 

I tre paesi che abbiamo ricordato hanno istituzioni politiche, cultura e storia differenti e che per molti versi non si possono nemmeno paragonare. E tuttavia non sono affatto lontani l’uno dall’altro se consideriamo l’autoritarismo nei confronti del mondo del lavoro e il controllo sui sindacati. In tutti e tre la libera attività sindacale non solo è ritenuta fonte di disordine e di eversione ma viene giudicata contraria al benessere della nazione cioè, detto in altri termini, allo sviluppo economico trainato dagli investimenti esteri. In caso di agitazioni le multinazionali che vi hanno insediato i loro stabilimenti non esitano a minacciare di spostarli in paesi vicini più tranquilli e con un costo del lavoro ancora minore come il Viet-Nam o la Cambogia e spesso lo fanno senza indugio. Il mantenimento della pace sociale in Cina, Tailandia, Indonesia (ma lo stesso problema si ripete in altri paesi come la Malesia e le Filippine) è direttamente correlato all’aumento del prodotto interno lordo. I governi giocano quindi con i movimenti operai come il pescatore con il pesce preso all’amo: se lo strappo è troppo forte bisogna mollare la lenza per poi tirarla lentamente in modo che non si rompa, sino a che la preda non si stanca. Così, se le agitazioni sono troppo frequenti, i governi ritoccano le norme sul "minimum wage" senza peròmai rivedere quelle relative alle forme di rappresentanza del modo del lavoro. Il vero nodo della questione sembra essere quello della formazione di sindacati liberi che tuttavia agli occhi dei governi sono sinonimo di rottura dell’unità nazionale e dell’armonia necessaria allo sviluppo e a quelli delle multinazionali rappresentano la fine della disciplina di fabbrica e l’inizio delle richieste di salari più alti. L’alleanza tra governi asiatici e multinazionali nella repressione del movimento operaio è alla base dello spettacolare sviluppo delle tigri asiatiche che solleva l’invidia degli imprenditori europei e nordamericani e che li sollecita sempre più spesso a trasferire le loro attività in quello che sino a pochi anni fa chiamavamo il terzo mondo e che oggi dobbiamo chiamare il nuovo mondo.

 

 

(1) L. Gallino, Globalizzazione e disuguaglianze, Bari, Laterza, 2000

 

(2) C. Tilly, Globalization Threatens Labor’s Rights, International Labor and Working Class History, N° 47, Srping 1995, pp. 1-23

 

 



 

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