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Due articoli di Elvio Fachinelli PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Con Marx e oltre il marxismo
Martedì 11 Maggio 2010 00:00

Di Elvio Fachinelli, noto psicologo e psicanalista, che ha lasciato un’impronta forte nella cultura, pubblichiamo due suoi articoli tratti rispettivamente da ‘L’erba voglio’ del sett. 1974 e dal quotidiano Lotta Continua dell’ottobre 1981.

Da Wikipedia: Elvio Fachinelli (1928 – 1989). Laureatosi in medicina a Pavia nel 1952, dove fu alunno del Collegio Cairoli, si specializzò in neuropsichiatria a Milano nel 1961 con una tesi sul test di Rorschach nei pazienti fobici ed ossessivi. Entrato a far parte della Società Psicoanalitica Italiana nel 1966 dopo un training analitico con Cesare Musatti, collaborò per oltre vent'anni con importanti riviste del settore come "Il corpo", "I Quaderni piacentini", "Quindici". Forse il suo più importante contributo alla psicologia, in particolare infantile, è stata la promozione della cosiddetta pedagogia non autoritaria, estrinsecatasi anche con la creazione di progetti pratici, come un asilo autogestito nella zona di Porta Ticinese a Milano.Tra i promotori di un convegno sulle esperienze non autoritarie nella scuola, da questo trasse lo spunto per la fondazione, assieme a Lea Melandri, della rivista "L'erba voglio" (1971 – 1977). fachinelliNella sua carriera ha inoltre collaborato alla divulgazione dell'opera di Sigmund Freud curando la traduzione di alcune delle sue opere più importanti. Luserna, sua città natale, gli ha intitolato la biblioteca locale. E' prevista l'uscita del compendio delle sue opere, la cui cura è stata affidata a Lea Melandri e alla figlia Giuditta Fachinelli. Ricordiamo tra le sue opere: L'Erba voglio: pratica non autoritaria nella scuola, a cura di Elvio Fachinelli, Luisa Muraro Vaiani e Giuseppe Sartori, Torino: Einaudi, 1971. Il bambino dalle uova d'oro, Milano: Feltrinelli, 1974. La mente estatica, Milano: Adelphi, 1989. La freccia ferma: tre tentativi di annullare il tempo, Milano: Adelphi, 1992 (ristampa, già Milano: L'erba voglio, 1979)"

 

da “L’erba voglio”, n° 17, agosto settembre 1974, pp 4-6

La ricerca dell’oro

Un’idea dell’interesse che risparmiatori, speculatori e operatori economici hanno per l’investimento in monete d’oro si può avere se si considera che tre o quattro mesi fa comprare o vendere monete era diventata una delle attività più comuni della giornata di Borsa (a Milano in alcune sedute «calde» sono stati acquistati e venduti anche 100. 000 pezzi («Panorama», 17 ottobre 1974. 100.000 pezzi corrispondono a un valore approssimativo di 4-5 miliardi di lire, vale a dire il valore totale delle azioni trattate nello stesso periodo in un giorno a Milano).Tina Modotti - Convento di tepotzotlan, Messico, 1926

Presso tutti i popoli antichi l’accumulazione di oro e argento si presenta originariamente come privilegio sacerdotale e reale, giacché il dio e il re delle merci si addice soltanto a chi è dio e re. Soltanto essi sono degni di possedere la ricchezza in quanto tale. L’accumulazione serve poi da un lato soltanto a ostentare l’abbondanza, ossia la ricchezza come cosa straordinaria, da occasioni festive; inoltre come offerta ai templi e ai loro dei; poi ancora per opere d’arte pubbliche; infine, come mezzo di riservanel caso di necessità straordinarie, per acquisto di armi ecc. Più tardi l’accumulazione presso gli antichi diventa una politica. Il tesoro pubblicocome fondo di riserva, e il tempio, sono le primitive banche in cui si conserva il santissimo. L’accumulazione raggiunge il suo sviluppo massimo nelle moderne banche, naturalmente con determinazioni ancor più sviluppate. D’altra parte nei privati questa accumulazione assume la più schietta forma di assicurazione della ricchezza di fronte alle mutevoli vicende del mondo esterno, quella cioè del sotterramento, acquistando così un rapporto veramente segreto con l’individuo. Questo fenomeno è ancora storicamente riscontrabile su vasta scala in Asia, e si ripete in tutti i periodi di panico e di guerra nella società borghese, la quale allora ricade in condizioni barbariche.

(K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica[1857-58], a cura di E. Grillo, La Nuova Italia, Firenze 1968, vol. 1, p. 193)

Il denaro, nella sua sgargiante veste aurea, è il primo, cocente amore del giovane capitalismo. La teoria mercantilistica ne è il codice cortese. È una forte, grande passione illuminata da tutto uno scintillio romantico. Per guadagnarsi il sospirato possesso della bella, l’innamorato compie ogni prodezza; discopre ignote plaghe, guerreggia guerre sempre nuove, costruisce lo stato moderno e distrugge così, per fanatismo romantico, il fondamento di ogni romanticismo, il Medioevo. Col passar degli anni, peraltro, egli si fa ragionevole. La teoria classica gli insegna a non lasciarsi abbagliare da romantiche apparenze, e a creare in casa propria una solida economia domestica, la fabbrica capitalistica.

Egli ricorda adesso con orrore le magnanime follie della giovinezza, che gli facevan disprezzare la felicità domestica. Ricardo lo fa riflettere sui danni che derivano da una costosa liaison con l’oro. Con lui, il capitalismo deplora adesso la improduttività dello «high price of bullion» (è il titolo di un celebre libello di Ricardo del 1810, in cui l’economista, esponente di punta della Scuola bullionista, voleva limitare l’emissione di carta moneta in uno stretto rapporto con le riserve di oro). Onde su titoli, banconote e cambiali scrive la lettera di addio all’amata. Ciò nondimeno egli cerca di conservarsi certi atout, talché la Scuola metallica deve metter l’accento sulla maggiore modestia della carta, per trattenerlo da eventuali ritorni alle troppo lussuose abitudini dell’amica d’un tempo.

Sempre più raffinate divengono le esigenze del capitalismo ormai maturo. Egli ha goduto in gioventù: ora la passione costosa e spossante non gli piace più. Il suo corpo è percorso dai primi brividi mistici: solo la fede può dare la felicità. John Law annuncia il nuovo vangelo: il vecchio gaudente disgustato disprezza la carne e si rifugia nello spirito; ancora una volta, prova le gioie più intense. A questo puntoperò, dopo tanta astinenza, l’antico desiderio repentinamente lo scuote.

La speranza di trovare la felicità nella fede pura dilegua d’un tratto: egli cerca affannosamente di dimostrare a se stesso che ha conservata intatta la propria potenza. Ma il credito si spezza, ed egli, piantato in asso, ritorna disperatamente al primo amore: l’oro. È scosso dalla febbre della crisi; per lui ormai nessun sacrificio è troppo grande per riguadagnare l’antico amore. Così, quando si credeva affrancato dalla tirannide di quella passione, egli va incontro al più terribile dei disinganni e, disfatto dal panico, è costretto a riconoscere, non senza rabbrividire, d’esserne schiavo ancora.

(R. Hilferding, Il capitale finanziario[1910], Feltrinelli, Milano 1961, pp. 357-58) .

A proposito dell’oro, due testi apparentemente poco «marxisti» di due noti autori marxisti.

In Marx – il Marx sempre agile dei Grundrisse– il brano riportato compare a poche pagine da quelle [181-94] dedicate alla «brama d’arricchimento», dove si trova uno dei punti più sconcertanti dell’intera opera («La sensualità nella sua forma generale e l’avarizia sono le due forme particolari dell’avidità di denaro», Marx, Lineamenti fondamentali cit., pp. 182-83). Nella tesaurizzazione, il denaro esce dalla circolazione, nega cioè il suo carattere di moneta, non è più segnoindifferente alla propria materialità (carta o metallo), ma proprio «determinata quantità di oro e di argento», in cui «il materiale è tutto» (ibidem, p. 188). A questo punto, però, «uno è tanto più ricco quanto più ne possiede e l’unico processo importante è  la sua accumulazione», e «questo ammucchiarlo si presenta come l’aspetto essenziale della brama di arricchimento e il processo essenziale dell’arricchimento». In questo supremo spasmo retentivo, paradossalmente il denaro si  apre a un largo ventaglio di problemi, in cui l’oro (o l’argento; o qualunque tipo di «bene» prezioso e non perituro) entra necessariamente in rapporto con tutta una serie di aspetti «primitivi», quali il sacro («privilegio sacerdotale», «offerta ai templi»), il potere carismatico («privilegio reale»), l’ostentazione, l’eccedenza, il dono, la festa – e infine l’inconscio stesso individuale («sotterramento», «rapporto veramente segreto con l’individuo»). Qui affiora un’intera rete di rapporti (ibidem, p. 192-193). Toccando l’oro, anche l’austromarxista Rudolf Hilferding è percosso senza volerlo da qualcosa che si riallaccia alla «brama». Ma nel 1910, quando scrive, il marxismo è ormai diventato una scienza ufficiale o quasi, e la passione per l’oro ha perso quel carattere di ingordigia strozzata così evidente nella descrizione di Marx. Essa diventa metafora di un rapporto astratto; una metafora insolita in un testo così «scientifico» come il Finanzkapital, e sorprendente, ma nello stesso tempo, si direbbe, alquanto forzata. Non è difficile cogliere dove sta l’artificiosità della descrizione. La «brama» diventa qui esplicitamente erotico-genitale; c’è una trascrizione convenzionale in un diverso registro di qualcosa che si svolge con veemenza altrove. Marx non ha paura, in questi appunti, di tradurre l’intera sensualita ?in avidità di denaro; per rimanere fedele a quella «brama» le sacrifica ogni altra. Hilferding si ritrae da quella passione letteralmente merdosa («la merda economica», secondo la nota espressione di Marx nei suoi sos a Engels) e, non potendo sopprimerla, la riporta dentro i limiti delle attività amatorie di un onesto Don Giovanni viennese della fine del secolo. Per di più, la goffaggine della versione risulta palese nel momento in cui l’oro è trasformato in donna, è amato come una donna; per Marx invece, esplicitamente, la donna è qualcosa che il denaro può comperare («vestiti,a rmi, gioielli, donne, vino ecc.»), è un oggetto di godimento particolare del tutto soverchiato da quella «brama di arricchimento» che ha nel denaro il suo oggetto in assoluto. Per Hilferding l’attività del capitale si stempera in una liaison mutevole di tipo eterosessuale con il denaro; per Marx essa si svolge esclusivamente tra maschi, come passione tormentosa per la merce imperitura, od oggetto in assoluto, in cui la donna compare semplicemente come merce sostituibile e peritura. Hilferding metaforizza, ironizza, sorvola; s’illude e illude; dal centro del suo universo di merda il bambino Marx è costretto a dire, sul rapporto tra i sessi, la verità storica.

Infine. Sia in Marx che in Hilferding la crescita tumultuosa della domanda di oro in tutti i periodi di crisi e di panico segna il ritorno, la ricaduta «in condizioni barbariche». Ora, che cosa significa questo? Non si può certo pensare al ritorno a una mitica, felice «età dell’oro». Piuttosto c’è un ricominciamento reale, in cui nel lampo delle tragedie individuali, nella luce celeste in cui si costituisce il mondo delle merci (il denaro come «esistenza celeste delle merci»), si riaprono molte questioni che il successivo sviluppo del capitale ha in apparenza e del tutto dissolto in una omogenea «sostanza comune» (Ibid.,pp. 181 e 187). Sono precisamente questi aspetti «primitivi» di cui parla il testo di Marx.

Ma è qui, probabilmente, che si pone la massima distanza tra noi e lui. Per Marx, il superamento definitivo della crisi crescente del capitalismo si compie al più alto livello dello sviluppo del mercato mondiale, in un’ulteriore, irrevocabile distanziazione da quella primitività su cui si è costruito. Per Marx è insensato pensare che sia definitivo quel completo «svuotamento» che si osserva negli individui di un’epoca di estraneità e indifferenza reciproca. Altrettanto insensato è pensare di doversi rifare a una «pienezza» individuale che il capitalismo ha dissolto. Certo. Ma se quella «pienezza» è essa stessa non una premessa naturale, ma un nexus  rerum storico, se è conseguenza di uno sviluppo e non «originaria», come è apparso sempre più chiaro nelle ricerche successive a Marx, allora essa tenderà a riemergere nel momento della crisi del capitale e un mutamento socialista che si voglia realmente tale si troverà a dover necessariamente affrontare le questioni che il capitalismo ha sbrigato in modo selvaggio. Insieme al problema del denaro, esso si troverà a dover affrontare tutto ciò che col denaro si è creato e nello stesso tempo dissolto. Ed è allora probabile che gli esempi di ritorno alla vita di comunità ristretta, autoalimentantesi, che fioriscono in questi anni, e che sono di fatto un segno incerto ma di lunga durata della crisi del capitalismo, lascino posto a difficoltà, terrori e godimenti di ben altra portata. È qui che i più tremano e indietreggiano; è qui che probabilmente nasce con una delle sue radici più profonde la ricorrente tendenza al riformismo. Nel periodo di crisi, il capitalismo si squarcia e nel suo cunicolo d’oro lascia intravedere l’antica barbarie; la maggioranza arretra inorridita e accetta di marciare in avanti, qualunque sia il futuro, qualunque sia il volto della nuova barbarie che sta ora emergendo.

*****

Da ”Lotta continua”, 27 ottobre 1981, con il titolo Una proposta: non usare i termini “sinistra” e “destra” (il titolo qui dato è quello della ristampa in M. Cacciari e altri, Il concetto di sinistra, Bompiani, Milano 1982, pp. 21-24). Comunicazione presentata a un convegno sul concetto di sinistra (Roma, ottobre 1981).

Destra e sinistra: una coppia simbolica esaurita

Mi sia consentito di partire, per fissare i pochi punti del mio intervento, da un’osservazione storica a prima vista marginale, o tutt’al più laterale. Come certamente molti sanno, e come si legge nei testi di scienze politiche, la distinzione parlamentare tra destra e sinistra sembra risalire all’assemblea detta Costituente, durante la Rivoluzione francese: i rivoluzionari moderni sedevano alla destra del presidente, i rivoluzionari accesi alla sua sinistra. Rilevo questo particolare: i due lati erano e sono tuttora individuati rispetto al capo o centro dell’assemblea.

Non sarà allora azzardato supporre che in questa distribuzione spaziale abbia inconsapevolmente giocato un riferimento simbolico ben noto in tutto l’Occidente e singolarmente coerente sia nella tradizione greco-romana che in quella ebraico-cristiana. Alla destra del presidente: come alla destra del Signore stanno i santi e gli eletti; la destra, ossia il lato, secondo Eschilo, del braccio che brandisce la lancia; il lato maschile di Adamo, secondo i commenti rabbinici che vedevano nel primo uomo un androgino; il lato divino e diurno, secondo i teologi medievali; il lato dei buoni presagi, dell’abilità e del successo, secondo gli indovini romani. E la sinistra? Si può notare come i suoi principali predicati simbolici si dispongano fondamentalmente in opposizione a quelli della destra: la sinistra è il lato dei dannati e dell’inferno, di Satana e della notte; il lato femminile di Adamo; il lato dei cattivi presagi e degli insuccessi: sinister è passato a significare, in alcune lingue tra cui la nostra, l’incidente o la sciagura. È quest’“assonanza”, questo aparentamiento che Fidel Castro, pochi giorni fa, ha fatto notare a Enrico Berlinguer[1]. Ma non si tratta di assonanza, o di affinità etimologica; si tratta di correlazione simbolica – e il simbolico è molto più ampio del verbale, e per sbarazzarsene non basta dichiarare, come ha dichiarato Berlinguer, che la gente sa distinguere.

Se infatti la destra siede alla destra del Presidente-Signore, nella piena luce del successo virile e legittimo, a sinistra si dispongono gli altri, la massa confusa e tenebrosa di coloro che dicono di no, di coloro che sono votati allo scacco o che nel loro essere testimoniano, come una piaga, di una debolezza femminea. Nell’ambito di una società patriarcale, non mi par dubbio che la sinistra abbia assunto simbolicamente il posto della manchevolezza, quando non del Male che eternamente si oppone al Bene, del Male che eternamente dà l’assalto al cielo e ne viene ricacciato...

Si dirà che di questa collocazione simbolica non vi è traccia in alcuna delle definizioni che la sinistra politica ha dato o cercato di se stessa, comprese quelle che in questi giorni molti di noi stanno cercando. Ma se nessuno, a quel che so, ha evocato la coppia simbolica a cui ho accennato, è la storia stessa della sinistra da un centinaio d’anni che testimonia come essa ne abbia incarnato uno dei termini nel modo più intenso e radicale. Quando Marx circolava ancora sotto le bandiere rosse delle grandi sfilate, probabilmente pochi tra le centinaia di migliaia sapevano che oltre al Marx del Capitale c’era il Marx che aveva parlato del “comunismo dell’invidia” [2] e che cos’è l’invidia se non l’attacco maligno, anzi l’attacco del Maligno al Bene che lo sovrasta al punto da accecarlo? Pochi lo sapevano, ma nelle loro lotte quotidiane e persino nei loro più intimi pensieri essi erano nelle file del popolo di Satana o, se volete, dal lato della parte mancante.

Ciò che questo popolo si proponeva ci risulta chiaro: era la tramutazione in valori di quei disvalori che la simbolica della destra continuamente espelle da sé. La debolezza espulsa dalla forza doveva diventare solidarietà comune e giustizia; la fragilità femminile davanti alla virilità fallica doveva tramutarsi in delicatezza e finezza; l’oscurità rispetto al giorno doveva acquistare profondità così come, rispetto al centro, doveva prevalere l’eccentrico e al posto dell’uomo riuscito doveva comparire lo spostato, lo sbagliato, il nuovo protagonista di una inedita uguaglianza.

Che questo tentativo di rivincita nel simbolico si trovi oggi davanti a una situazione di grave scacco, risulta mi pare evidente a ciascuno di noi. Ed è appunto la situazione odierna che ce ne offre ripetute conferme. Nel campo politico in senso stretto, la polarità sinistra-destra è andata perdendo via via la sua forza di tensione ed è ormai adibita in prevalenza a operazioni di localizzazione spaziale, per così dire, di ripartizione e classificazione dell’esistente. Di sinistra è perciò quel che viene fatto o avviene nell’ambito di uno spazio politico occupato da forze di sinistra. Ciò che prevale insomma è un’attività nomenclatoria essenzialmente tautologica: sinistra è sinistra è sinistra...

Il depotenziamento della polarità sinistra-destra avviene dunque attraverso una sua prevalente spazializzazione e la perdita dell’incisività temporale. La sinistra rimedia, lavora nel presente, non è più in grado di operare in un orizzonte più ampio e lontano. E la sua spazialità è immobile, definita, coartata. Un indizio di questa situazione è facilmente leggibile nel terrore della mobilità che di fatto, a vari livelli, e con risultati indubbiamente notevoli, ha contraddistinto in Italia l’azione delle forze politiche di sinistra negli ultimi anni.

Se usciamo dall’ambito della politica in senso stretto, ci accorgiamo come lo scacco nel simbolico si manifesti essenzialmente come un regime di sdoppiamento nei rapporti sociali, interpersonali e, di sicuro, anche intrapersonali: mentre in profondo si fa avanti la simbolica tradizionale della destra, in superficie prevale un luogo comune di sinistra, talmente esteso da ricoprire settori tradizionalmente estranei se non ostili alla problematica della sinistra.

Potrei moltiplicare gli esempi, ma per non superare i limiti di un intervento concludo in tre punti, che mi sembrano essenziali:

1. Come operazione preliminare di ogni compito intellettuale significativo, propongo il non uso, esplicito e implicito, della polarità sinistra-destra. Attenzione! Non ne propongo l’abolizione, sarebbe assurdo, trattandosi appunto di una polarità nel simbolico. Ne propongo il non uso, perché ciò che si è svolto nell’ambito della sinistra si è disegnato quasi per intero dentro un negativo, un disvalore complessivo disegnato dalla destra e, entro questi limiti, si è concluso con uno scacco. L’impiego attuale è puramente locativo, detemporalizzato e quindi profondamente paralizzante.

2. In via del tutto provvisoria, propongo l’uso implicito e il privilegio, in ogni valutazione intellettuale, di qualcosa che si potrebbe chiamare creatività-generatività, contrapposta a non creatività e non generatività. Sarà facile notare come il valore simbolico della creatività-generatività sia fondamentalmente estraneo alla coppia sinistra-destra, che è dominata dall’elemento della potenza virile e dalle varie opposizioni a essa. La creatività-generatività esorbita da quest’ambito e si pone come criterio valutativo di esso. Inoltre, e soprattutto, essa costituisce uno spostamento nel campo simbolico: parlo di spostamento, e non intendo una creazione velleitaria di uno o pochi individui, perché questa coppia simbolica è già o è già stata attiva in masse storiche recenti.

3. Per una riflessione intellettuale e non, propongo di esaminare la necessità tragica, in cui si è finora trovata gran parte della specie, di ricorrere a una serie di polarità in forte tensione, di dicotomie simboliche che, variando di sostanza e figura, hanno sempre svolto un ruolo fondamentale nella storia. Basterà pensare alla dicotomia fedele - infedele, credente - non credente nell’ambito religioso; oppure alla dicotomia razza eletta - razza reietta nel successo della propaganda hitleriana. Ed è caratteristico di queste polarità il loro spostarsi spesso, con sempre maggior intensità e crudezza, ad ambiti via via più ristretti e selezionati. Ci basti qui pensare alle scissioni che hanno successivamente segmentato tutto l’ambito della sinistra politica. Ma tale tipo di polarizzazione non risparmia nessun campo culturale se è vero, come sosteneva Freud, che si potrebbero avere guerre in nome della scienza [3]. Vi è qui un ambito di ricerche che può estendersi dalla scissione detta schizoparanoide nel bambino che succhia il latte, secondo le ipotesi di Melanie Klein, fino al manicheismo adulto, sicuro di sé e in apparenza correttamente razionale.

 

Note

1 L’episodio è così ricordato da Sandro Veronesi, L’ arma del ridicolo per battere il terrorista, in “Corriere della Sera”, 16 marzo 2005: “Viene in mente la lezione che Fidel Castro impartì a Berlinguer in una sua remota visita a Cuba, riguardo all’handicap linguistico che in Italia, e solo in Italia, accompagnava le forze progressiste: in tutti gli altri paesi, spiegò il Líder Maximo, vige una netta distinzione tra il termine “sinistra” intesa come la mano del diavolo (sinistra, sinistre, sinister) e la parola che invece identifica la parte politica più vicina al popolo (izquierda, gauche, left). In Italia no. È per questo, disse Castro a Berlinguer, che non vincete le elezioni: perché il vostro nome fa paura. Cambiatelo, e vincerete”.

2 Cfr. K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, 3, Proprietà privata e comunismo, a cura di N. Bobbio, Biblioteca di Repubblica, Roma 2006, p. 86.

3 S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), in Opere, ed. Boringhieri, Torino 1977, vol. 9, p. 288.

 

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