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Jaques Attali, Karl Marx ovvero lo spirito del mondo, Fazi Editore, 2006 PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Con Marx e oltre il marxismo
Venerdì 11 Novembre 2011 00:00

di Aldo Marchetti

Attali non è un marxista e non lo è mai stato. Ha trovato tuttavia nella lettura dei testi di Marx un'utile guida nelle sue ricerche sull'economia del tempo presente. Il ritratto che ha disegnato dell'autore de Il Capitale quindi non haJaques Attali, Karl Marx ovvero lo spirito del mondo, Fazi Editore, 2006 nulla di apologetico e mette in evidenza le lacune, i difetti e le contraddizioni del pensiero marxista. Ciò nonostante la figura del filosofo di Trevisi emerge in tutta la sua grandezza come uno dei massimi pensatori della modernità. Quello forse che con maggiore chiarezza ha saputo analizzare il sistema capitalista in tutti i suoi risvolti compreso quello della tendenza alla globalizzazione. E' proprio la globalizzazione, questo il messaggio di fondo del libro di Attali, a rendere nuovamente attuale il suo sterminato lavoro.

Jaques Attali nell'introduzione del suo libro precisa: “Non sono mai stato e non sono marxista in nessuna accezione della parola”. Quello con l'autore del Capitale è stato per lui un incontro tardivo dovuto a uno scambio di lettere con Louis Althusser. Da allora tuttavia non ha più potuto abbandonare la lettura del filosofo di Treviri, affascinato dalla forza della sua dialettica, dalla potenza del ragionamento e dalla lucidità dell'analisi. Per lui Marx rappresenta:

“il punto d'incontro di tutto ciò che costituisce l'uomo occidentale moderno. Eredita dall'ebraismo l'idea che la povertà sia intollerabile e che la vita abbia valore solo se permette di migliorare le sorti dell'umanità. Eredita dal cristianesimo il sogno di un avvenire liberatorio nel quale gli uomini si ameranno vicendevolmente. Eredita dal Rinascimento l'ambizione di pensare il mondo razionalmente. Eredita dalla Prussia la certezza che la filosofia è la prima delle scienze e che lo Stato è il cuore minaccioso di ogni potere. Eredita dalla Francia la convinzione che la rivoluzione sia la condizione dell'emancipazione dei popoli. Eredita dall'Inghilterra la passione per la democrazia, per l'empirismo e l'economia politica. Per finire eredita dall'Europa la passione per l'universale e per la libertà” (p.8).

Dalla lettura del libro di Attali faccio emergere solo alcune suggestioni senza un ordine apparente. Hanno lo scopo di sollecitare, non diciamo un dibattito, che sarebbe troppo, ma almeno una chiacchierata.

1 - Se ci viene chiesto quale fu il mestiere di Marx la risposta è semplice: fu per tutta la vita  un giornalista. Forse è stato uno dei migliori opinionisti del suo tempo a giudicare dalle offerte che gli venivano fatte dalle più diverse testate e dalla notorietà che ebbe in Europa e fuori. Fu, bisogna ricordarlo, il corrispondente da Londra del New York Daily Tribune che, con le sue duecentomila copie, era il giornale più venduto al mondo. Certamente ha espresso al meglio le caratteristiche di una professione che, se non era proprio agli esordi, stava vivendo un periodo di svolta con la diffusione dei giornali a stampa (si pensi che solo a Parigi durante la rivoluzione del 1948 venivano stampati 200 quotidiani), dei pamphlet politici, della narrativa popolare, del romanzo; all'interno di un processo di alfabetizzazione che cominciava a coinvolgere strati sociali prima d'allora esclusi. Un'ottima base culturale derivante dagli studi umanistici, filosofici e di diritto, una formidabile capacità di documentarsi su ogni aspetto della vita sociale, culturale, politica  non solo dell'Europa del tempo ma del mondo intero, una conoscenza sistematica delle fonti d'informazione accessibili in quel periodo e fortunatamente concentrate nella British Library, una costante dimestichezza con i classici della letteratura (ogni giorno almeno una pagina di Shakespeare) che spesso gli offrirono le immagini e le parole per i più riusciti proclami politici. A tutto questo si aggiunga la capacità di sintetizzare in poche parole intricati ragionamenti e di forgiare slogan destinati a rimanere vivi per secoli nella fantasia di milioni di uomini (“Proletari di tutto il mondo unitevi”, “Uno spettro si aggira per l'Europa”, “La religione è l'oppio dei popoli”, “I grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa” ). Non era capace del resto di far altro che il giornalista. E' stato spesso criticato perché, ridotto in miseria e con l'intera famiglia alla fame, non si è cercato un altro lavoro. Una volta, una volta sola, ha tentato ma pare sia rimasto contento di non averlo trovato. Già, sembra facile. Ma provate voi a mettervi di punto in bianco a praticare un mestiere nuovo, del tutto diverso da quello che avete sempre fatto.

Marx si è identificato con la scrittura e con il mestiere dello scrivere. In questo assomigliò a Balzac che non a caso fu il suo romanziere prediletto. Come lui, scrisse in modo quasi compulsivo, tallonato dalla miseria e sotto l'assillo dei debiti. In un certo senso la vita di Marx si avvicinò molto a quella dello scrittore francese e del personaggio centrale delle Illusioni perdute: il giornalista preso nei meccanismi feroci del mondo della carta stampata tra le ambizioni, gli odi, le competizioni, le invidie, le risse non solo verbali, l'esposizione costante all'altalena del successo e dell'insuccesso. Nella sua vita tuttavia non ci fu nulla di mondano o di frivolo. Tranne brevi periodi di benessere visse in uno stato di acuta povertà e spesso di autentica miseria, in modo non dissimile da quello degli operai di fabbrica di quel periodo. Inoltre non fu risparmiato dalle peggiori sofferenze: la morte dei figli più cari, l'incomprensione dei suoi famigliari, una salute assai malferma, aggravata  da frequenti periodi di depressione.

2 - Le riflessioni di Marx ebbero un respiro mondiale: seguì attentamente le vicende legate alla guerra civile americana, si interessò delle rivolte dei popoli dell'India contro il colonialismo inglese, provò grande interesse per l'evoluzione dei movimenti popolari in Russia anche se si dimostrò sempre molto cauto circa il potenziale rivoluzionario di questo paese (In tarda età si mise a studiare il russo). L'Asia lo interessò profondamente ed è a lui che dobbiamo alcuni delle riflessioni più acute sul dispotismo asiatico. E' tuttavia è assai curioso notare come la vastità del suo pensiero contrasti con le dimensioni  ridotte dello spazio entro il quale fisicamente si mosse, l'esiguità del numero dei suoi seguaci (almeno all'inizio), la vicinanza relativa tra le persone e la loro reciproca conoscenza. A considerare l'Europa di allora, attraverso le pagine del libro di Attali sembra di essere nella piazza di un grande villaggio. Marx si mosse tra Treviri (che è a soli 15 km dal confine con il Lussemburgo), Colonia, Parigi, Bruxelles, Londra. Nei ristretti gruppi di rivoluzionari, anarchici, riformisti, che vagavano per l'Europa inseguiti dalla polizie dei diversi paesi, tutti si conoscevano personalmente,  si mantenevano in contatto epistolare, erano ospiti a turno l'uno dell'altro. Marx, Bakunin, Lassalle, Proudhon, Ledru-Rollin, Mazzini, Herzen, Blanc, Kossuth ecc. La costituzione delle grandi organizzazioni sindacali e politiche legate al movimento operaio fu preceduta insomma dalla vita molecolare di piccoli gruppi in perenne movimento tra le diverse città europee a seconda delle ondate di repressione che si abbattevano ora nell'uno ora nell'altro paese. Nel luglio del 1845 quando Marx da Bruxelles accompagnò Engels a Londra, vi incontrò un gruppo di rifugiati tedeschi, si trattava di non più di qualche decina di persone, che mantenevano però una fitta rete di corrispondenza con altri fuoriusciti dispersi in tutto il continente. L'anno dopo Marx ed Engels, sull'esperienza dei gruppi londinesi, decisero di costituire un gruppo denominato “Comitato di corrispondenza comunista” : vi aderirono quattordici persone. Nel 1947 venne fondata una nuova organizzazione:” l'Associazione degli operai tedeschi”, poi “Lega dei comunisti”, e a un banchetto in celebrazione della fratellanza universale del mondo del lavoro a cui fu presente lo stesso Marx parteciparono 120 convitati: polacchi, tedeschi, svizzeri, francesi, un italiano e un russo. Quando alcuni anni dopo Marx decise di sciogliere la Lega la sua consistenza numerica era tale che nessuno quasi se ne accorse. La ristrettezza dei numeri era poi quella dell'ambiente in cui le forze antagoniste si confrontavano quasi in un corpo a corpo ravvicinato. Nel 1850, mentre Marx, uno dei rivoluzionari più ricercati dalle polizie di mezza Europa, viveva rifugiato a Londra, suo cognato Ferdinand von Westphalen, frattellastro della moglie, divenne ministro dell'interno del governo reazionario prussiano. La prossimità con i suoi persecutori restò un dato ricorrente della sua vita: ospitò in buona fede a casa sua a Londra un poliziotto prussiano di nome Stieber infiltrato nei gruppi comunisti che stillò una dettagliata relazione sulle sue giornate e sul suo stile di vita e che più tardi diventò il ministro dell'interno del governo di Bismarck.

(Tra parentesi il numero così ridotto di militanti rivoluzionari, poveri in canna, sradicati e raminghi, fa venire alla mente per contrasto le cifre paurose della repressione di quegli anni. Per stroncare la rivolta parigina del 1848 Cavaignac farà cinquemila morti e arresterà undicimila persone. Venti anni dopo nella Comune di Parigi saranno massacrate trentamila persone e altra trentamila verranno giustiziate o deportate)

E' evidente che questa sensazione di ristrettezza dei numeri e degli spazi entro i quali si sviluppò l' avventura di Marx e dei primi gruppi rivoluzionari deve essere considerata come del tutto relativa. E' una sensazione che possiamo provare solo oggi mentre allora agli occhi dei protagonisti tutto doveva apparire più grande. Ma ciò che è importante è appunto la dilatazione enorme che il fenomeno del lavoro operaio ha subito in poco più di un secolo e mezzo. Oggi le dimensioni della questione operaia sono quelle stesse del mondo attuale. Mi pare si possa dire che solo Marx allora riuscì a prevedere che il sistema capitalista si sarebbe evoluto sino a coprire l'intera faccia della terra: “Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi” (p.92)

3 - L'interpretazione del pensiero di Marx che si ricava dalla lettura del libro di Attali è quella di un sistema aperto, critico, non ancora concluso e non privo di contraddizioni. Marx è stato il critico più feroce del sistema capitalistico industriale ma non nascose la sua ammirazione per la classe borghese. Secondo Attali ( non possiamo escludere un briciolo di ironia) anzi egli ha scritto: “le più belle pagine mai pubblicate in onore della borghesia” (p.91). Vediamone una presa dal Manifesto: “La borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l'insieme dei rapporti sociali...L'incessante scuotimento di tutte le condizioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca borghese da tutte le precedenti. Tutte le stabili e arruginite condizioni di vita con il loro seguito di opinioni e credenze rese venerabili dall'età si dissolvono e le nuove invecchiano prima ancora di aver potuto fare le ossa” (p.91). Marx forse non disprezzò la borghesia (forse possiamo dire che non la disprezzò tanto quanto noi abbiamo disprezzato la piccola borghesia) e non ha nemmeno chiuso gli occhi di fronte alle novità portate dall'industrialismo. Si è anzi spesso entusiasmato di fronte alle grandi invenzioni del suo periodo. Nel 1843 visitò l'Esposizione industriale di Parigi e restò affascinato dall'illuminazione elettrica di place de la Concorde allestita per l'occasione; nel 1844 venne conquistato dalla notizia della sperimentazione della prima linea telegrafica tra Washington e Baltimora, in ogni occasione manifestò un entusiasmo quasi infantile per i treni e per i battelli a vapore.

Dobbiamo pensare, tenendo conto di questi atteggiamenti di Marx, che egli non era pregiudizialmente contrario ad ogni manifestazione del nuovo sistema industriale e che la rivoluzione che auspicava doveva essere un superamento dei rapporti sociali caratteristici dell'industrialismo in modo che l'intera società, e soprattutto la classe che ne era esclusa, potesse godere dei benefici prodotti. Il modo attraverso cui arrivare a questa nuova società, secondo la visione di Attali, è stato uno dei punti più controversi della teoria marxiana. In più occasioni Marx  si fece paladino di alcuni aspetti essenziali della democrazia liberale: di fronte alla censura imperante in Prussia e in Francia e contro i tentativi spesso andati a segno di chiudere riviste e giornali di sinistra si battè sempre perché fosse salvaguardata  la libertà di stampa. Di fronte ai numerosi processi a cui furono sottoposti amici e conoscenti affermò sempre la necessità della indipendenza della magistratura. Prima del 1948 pensava che uno strumento di progresso per tutta la società potesse scaturire dalla alleanza tra borghesia e proletariato. Dopo le vicende del '48 francese abbandonò del tutto questa idea e avversò sempre con forza la politica di compromesso  seguita dai sindacati inglesi e dalla socialdemocrazia di Lassalle. Tuttavia fu sempre piuttosto cauto circa i tentativi insurrezionali del suo tempo. Capì in anticipo che la Comune di Parigi era destinata al fallimento anche se una volta scoppiata la rivolta non esitò a schierarsi dalla sua parte. A volte sembrò del tutto favorevole a che il sistema socialista fosse raggiunto per via parlamentare senza mai precisare che cosa sarebbe successo dopo: ovvero se le forse operaie al governo avrebbero continuato ad indire elezioni democratiche oppure no. Più volte sostenne la necessità di instaurare una dittatura del proletariato anche se forse la pensava come una necessità transitoria in vista del completamento di una società retta su un modello comunista. Del resto un modello di società comunista non venne mai prefigurato da Marx che forse in questo modo volle distanziarsi dai tanti libelli utopistici che a tal proposito circolavano già da tanto tempo in Europa. Per altri versi sembra di poter dire che il comunismo per lui non fu mai una società ideale dai contorni stabiliti ma un movimento perpetuo verso la libertà individuale e collettiva: “Il comunismo per noi non è uno  stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente” (p.79). E' anche evidente in alcuni passi di Marx come il comunismo non possa rappresentare un'esperienza limitata a questo o a quel paese: “Il comunismo è possibile empiricamente solo come azione pronta e simultanea dei popoli dominanti, ciò che presuppone lo sviluppo universale della forza produttiva e le relazioni mondiali che esso comunismo implica. Il proletariato può dunque esistere soltanto sul piano della storia universale, così come il comunismo che è la sua azione non può affatto esistere se non come esistenza storica universale” (p.80).

Attali dedica l'ultima parte del suo libro per documentare in dettaglio le modalità attraverso le quali i testi di Marx vennero deformati, amputati, piegati agli interessi storici di alcuni partiti e di alcuni personaggi. Una filosofia viva, ricca fertile ma non del tutto conclusa (Lo stesso Marx conservò sempre alcuni dubbi, per fare un esempio, sulla validità scientifica della teoria del valore da lui elaborata) poco alla volta, sotto la spinta degli interessi politici, si trasformò dapprima  in una dottrina e poi in una religione. E' curioso che tante persone si siano definite marxiste (marxiste ortodosse, marxiste convinte) senza riflettere che lo stesso Marx ha detto di non essere marxista. Hanno preso molto seriamente ogni frase di Marx, hanno soppesato ogni sua parola, tranne quelle che più di tutte dovevano servire per capirlo a fondo.

Il problema è ora questo. E' possibile accostarsi ancora al pensiero di Marx senza tener conto delle esperienze storiche del socialismo realizzato? La prima risposta che viene in mente è no. La seconda risposta che possiamo dare si trasforma in una nuova domanda: quale distanza si può porre tra il pensiero di Marx e il modo in cui è stato usato nelle esperienze storiche di socialismo realizzato? Chi ancora leggerà Marx darà, in modo più o meno consapevole, una risposta a questa domanda. Questa è del resto la nuova sfida che ci viene posta dal sorriso enigmatico del filosofo di Treviri.

 

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