Weblogic

Home
Dopo il diluvio: discorsi su letteratura e arti
Questa sezione si occupa di arti e di letteratura. Anche questo titolo contiene un’indicazione di massima che ovviamente trova una maggiore evidenza per il lettore, con la lettura dei saggi. Riteniamo che ci sia uno spartiacque nel secondo ‘900, un prima e un dopo e che tale ‘dopo’ sia contrassegnato dalla trasformazione della cultura in puro consumo, spettacolo e intrattenimento. Riprendiamo qui le analisi critiche che su questo fenomeno altri hanno già fatto, ponendoci anche un’esigenza di risposta e reazione a tale deriva.


Premesse per una ridefinizione della poesia epica PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Dopo il diluvio: discorsi su letteratura e arti
Sabato 28 Febbraio 2015 17:27

di Paolo Rabissi

E’ possibile parlare nel nostro paese di una poesia epica contemporanea diversa da quella tradizionale? Se sì, che caratteri ha? E se sì ha senso chiamarla ancora epica o ha più senso sforzarsi di definire diversamente l’insieme di quei caratteri?

Is it possible, in nowadays Italy, to speak of a contemporary epic poetry different from the traditional one? And if yes: which are its features? Is it still meaningful to call it epic, or is it better to try to define in a new way the whole of these features?

Heutzutage in Italien, ist es möglich des eines neues epik Gedicht, zu sprechen? Ob die Antwort ist positiv, welche Merkmale hat sie? Habt er Sinn, epik Gedicht begrenzen, sondern neue Worte zu suchen?

Nell'immaginario comune la poesia epica è legata ad avventure straordinarie, conquiste di vette spirituali o materiali tra eroi ed eroine, guerrieri e guerriere, miti e riti e magari magie, mostri e conquiste di altri mondi.

A dirla tutta sembrerebbe che dell'epica siano in grado di dare una versione moderna solo i fumetti, il cinema, la televisione e i giochi elettronici: che non è poco! C'è un’intera galassia epica conquistata dai media e dal commercio.

La parola è compromessa, come tante. Ma a noi qui interessa in particolare il versante della poesia italiana. Depurata dalle incrostazioni ideologiche e mercantili è possibile oggi parlare di una poesia epica senza scomodare da una parte Iliade e Odissea o Ariosto e Tasso e dall'altra Walt Disney?

C'è spazio, c'è traccia nella modernità di una poesia epico-lirica che senza rinunciare alla nostra amata poesia lirica abbia anche un legame stretto con la Storia del nostro recente passato e con le convulsioni del nostro presente, caotiche ma anche ricche di patrimoni?

E’ possibile parlare nel nostro paese di una poesia epica contemporanea diversa da quella tradizionale? Se sì, che caratteri ha? E se sì ha senso chiamarla ancora epica o ha più senso sforzarsi di definire diversamente l’insieme di quei caratteri?

Nel mondo in cui viviamo l’aggettivo epico a cosa rimanda? Verrebbe spontaneo dire anzitutto all’infanzia e all’adolescenza. Cosa c’è di più epico del mondo dell’infanzia e dell’adolescenza?

Ma possiamo andare oltre con qualche risposta. Leggo sulla Treccani: “Nel linguaggio della critica letteraria contemporanea l’aggettivo ‘epico’ si usa talora in contrapposizione a lirico, per indicare una poesia di carattere oggettivo e narrativo: i poeti post-ermetici tendono a dissolvere il lirismo assoluto in un tono epico (il corsivo è mio)”.

La definizione è interessante per molti aspetti. Anzitutto perché afferma, quasi senza tema di smentita, che i poeti post-ermetici hanno oramai dissolto il lirismo nel tono epico. Che è un’affermazione abbastanza singolare vista l’iper-produzione di poesia lirica o sedicente tale attuale. E però non si può dire che non risenta di un certo clima che si è venuto diffondendo, nell’ultimo decennio in particolare, col rinnovarsi di una volontà poematica più marcata che nel passato e soprattutto con una diffusa, ma non molto dichiarata, propensione a un verso più limpido e narrativo. La definizione, con quel recupero del ‘tono epico’, fa piuttosto venire in mente che esso vive dentro di noi come un sottofondo primigenio, che per una serie di motivi consideriamo legato all’infanzia del mondo, sia storicamente – vedi appunto l’epica antica e quella medievale fino ad Ariosto, Tasso ecc. – sia perché è forte oggi la critica alla produzione di miti (eroici e/o eroicomici): ma anche qui occorrerebbe considerare che la produzione di miti è una costante dell’umanità, oggi più che mai nella versione di merce mediatica. Ma, riprendendo il discorso, possiamo dire che di tutto ciò che viviamo possiamo dare una versione epica, a tutto possiamo dare un tono epico. A dimostrazione che anche all’epica del quotidiano siamo sensibili, non fosse che ci appare perlopiù troppo infantile, arretrata, semplicistica, troppo facile. Essa confina, nella nostra sensibilità di adulti, con la mitomania. Di qui la necessità di venire a patti smorzando quanto di retorico e ridondante il tono epico può portare con sé. Per questo un poeta di oggi è armato di tutto punto per evitare queste derive e sta attento, anche nella tensione lirica, a evitare toni epici, salvo magari cadere nell’eccesso opposto.

Leggi tutto...
 
Scritture antipatiche 4. La 'madre meccanica' di Dolores Prato PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Dopo il diluvio: discorsi su letteratura e arti
Venerdì 27 Febbraio 2015 00:00

di Adriana Perrotta Rabissi

'Giù la piazza non c'è nessuno' il romanzo di Dolores Prato è un percorso di conoscenza di sé e di riconoscimento di un'infanzia. Fu quello 'stridio di elementi materni' che la resero straniera all'intero mondo nominato nella confusione di tre lingue diverse.

'Nobody is in the square', Dolores Prato novel, is a quest inside the self and of  recognition in an infanthood.  It was the screeech of motherly elements that made her a stranger in a world puzzled in three different language.

'Niemand war in dem Platz'. Dolores Pratos Roman ist einen Initiationsritus. Die Protagonistin erkennt seine Kinderheit, wann die Quietschen von mütterlischer Elemente in einem Fremder  haben Inhen verwandelt. Die Welt war für sie eine Durcheinander in drei Sprachen gesprochen.



Infanzia, lingua materna e lingue straniere sono gli assi portanti del romanzo autobiografico di Dolores Prato Giù la piazza non c’è nessuno; le oltre settecento pagine del racconto costituiscono un percorso di conoscenza di sé e di riconoscimento di persone, ambienti, oggetti e paesaggi frequentati da bambina, un viaggio in un territorio ricco di insidie, di esperienze dolorose, di ricordi incerti, compiuto attraverso le tre lingue conosciute nell’infanzia in conflitto dentro di lei, perché obbligate a sostituire l’unica lingua che avrebbe dovuto accompagnare la crescita della piccola Dolores, la lingua della madre, mancatale fin dalla nascita per l’abbandono materno.

Le tre lingue sono il dialetto di Treja, conosciuto quando aveva già cinque anni, la lingua della ‘cultura’, insegnatale a scuola e la lingua parlata in casa degli zii, che differisce alquanto da quella parlata dagli altri abitanti di Treia per questioni di cultura e di classe sociale. Nulla viene detto del periodo tra la nascita e i cinque anni, nessuna lingua e quindi nessun ricordo.

Il titolo del libro è tratto da una filastrocca con cui la intratteneva la tata, è un’opera singolare, pubblicata quando l’autrice era quasi novantenne, ma ridotta a un terzo dell’originale per ragioni di fruibilità dalla curatrice per le edizioni Einaudi, una scrittrice sensibile e attenta come Natalia Ginzburg.

Dolores rifiutò la mutilazione del suo romanzo, protestò e si affrettò a redigere un nuovo dattiloscritto, corredato di un’Appendice autobiografica, che dichiarò fermamente essere l’unico autorizzato.

Fu pubblicato nella sua integrità solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1983.

Alle rimostranze rivoltele dal direttore dell’Espresso, che l’accusa di mostrare troppo rancore nei confronti di Ginzburg, risponde nel 1980:

"Alla Ginzburg sono sempre stata, lo sono e continuerò ad esserlo, gratissima. […] Lei ha sempre amato questo libro, con quelle manomissioni voleva renderlo più accessibile. Io salto i verbi come se qualcuno mi corresse dietro; i miei passaggi sono ponti levatoi mai abbassati; lei riduceva più intellegibile il mio modo di scrivere; ma io preferivo tenermi i miei difetti. Avevamo ragione tutte e due". (1)

Divenne subito un caso letterario, soprattutto in considerazione dell’età avanzata dell’autrice, il che oscurò, come osservò allora acutamente Lalla Romano, il valore artistico dell’opera.

Non era il suo primo romanzo, Prato, insegnante di liceo, studiosa di Dante e Leopardi, aveva passato la vita a collaborare a periodici culturali e a scrivere racconti e romanzi, dopo essere stata allontanata dall’insegnamento dalle leggi razziali, ma questo è senz’altro la sua opera più importante.

La scrittura è marcata da scelte lessicali anomale, molti sono i neologismi formati da intrecci di parole tratte dalle sue tre lingue.

Nel racconto abbondano elenchi di piante, fiori, animali, descritti con puntiglio catalogatorio, liste di oggetti di uso quotidiano, nonché descrizioni di paesaggi e di persone, adulte e bambine/i, tutti elementi collegati a episodi particolari della sua vita di bambina, parole che attivano i ricordi, momenti di improvvisa illuminazione, di paura, di gioia, di sofferenza, di speranza, di illusione e delusione.

L’affastellarsi di parole- immagini serve a Prato per evocare e rappresentarsi la propria infanzia, segnata irrimediabilmente dal marchio dell’abbandono materno.

Chi legge è coinvolto/a nella ricerca dell’autrice, che tiene a bada in questo modo il pericolo di smarrimento soggettivo indotto dal sentimento di inappartenenza e di mal-aimé provocato dall’esclusione dalla famiglia di origine, osserva l’autrice nell’Appendice:

“Non mi fu dimostrato amore, non imparai a dimostrarlo. Ho diffidato dell’amore dopo, perché non lo ebbi allora”. (2)

Leggi tutto...
 
Di amore, di guerra e di miti: seconda parte. PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Dopo il diluvio: discorsi su letteratura e arti
Mercoledì 18 Febbraio 2015 10:14

di Franco Romanò

Nella seconda parte del saggio, riflettendo sulla vicende di Amore e Psiche, vengono evidenziati i modi diversi in cui la psicologia maschile e quella femminile si avvicinano all'amore. Al tempo stesso, si mette in evidenza come il mito sia più flessibile rispetto alle codificazioni patriarcali dei ruoli maschili e femminili.

In the second part of the essay, attesting to the story of Eros and Psyche, are focused the different psychological ways of approching love, by male and female subjects. Meanwhile, the essay shows how myhts are in general more flexible than the patriarchal codifications of sex roles between men and women.

In dem  zweitem Teil Werks,  man bestätiget, dass die Geschichte Amors und Psyches die verschiedene Weise sich nähen zum Liebe zwischen Männer und Frauen, erklärt ist. Außerdem, sind  Mithos mehr flexibel als die patriarchalischer Starrheit Männers und Frauens Rollen.

Amore e Psiche
Lasciamo per il momento l'opera principale di Apuleio e soffermiamoci sulla vicenda dei due giovani amanti.

Psiche è la terza figlia di un Re e di una Regina: le due sorelle maggiori sono già maritate. Lei, invece, non riesce a trovare uno sposo perché la sua bellezza incute timore e soggezione. La fama di questa giovane donna leggendaria si sparge ovunque e travalica i confini terrestri, giungendo alle orecchie di Venere, la quale se ne duole assai. La motivazione che la dea usa per nascondere la propria gelosia è molto intelligente: rimprovera agli umani la mancanza di senso del limite perché una mortale, non può competere in bellezza con una dea, tanto meno con la dea della bellezza!

Afrodite, allora, mostra la giovane donna al figlio Cupido e gli ordina di colpirla con le sue frecce, facendo in modo che s'innamori di un uomo abbietto e di infimo grado sociale.

Peraltro, la ragazza era già a conoscenza del suo destino, non proprio luminoso, poiché la famiglia, preoccupata dalla mancanza di corteggiatori della bellissima figlia, si era premurata di consultare l'oracolo, il cui responso era stato questo:

Sul picco alto di un monte, esponi, o re, la ragazza,

come si addice, abbigliata a nozze che danno la morte.

E non sperare in un genero nato da stirpe mortale,

ma attendi un mostro crudele, feroce e con volto di serpe,

il qual, volando per l'etra, ogni animale molesta,

e impiaga col ferro e con fuoco ogni creatura vivente.

Sin Giove lo teme, che pure ispira terrore agli dei

e i fiumi l'hanno in orrore e i regni oscuri d'Averno. (5)

Leggi tutto...
 
Di amore, di guerra, di miti. PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Dopo il diluvio: discorsi su letteratura e arti
Mercoledì 24 Settembre 2014 14:31

di Franco Romanò

La concezione dell'amore in Occidente nasce dal mito di Tristano e Isotta oppure da quello di Amore e Psiche?

The western conception of love was born from the myth of Tristano e Isotta or from the myth of Eros and Psiche?

Amor und Psiche oder Tristano und Isolde? Welchen von beiden Mythos sehr wichtig ist für die Weste conzeption von  Liebe?

Il testo qui pubblicato è l'introduzione a un lavoro più ampio che in origine avrebbe dovuto essere un libro. Le difficoltà editoriali attuali mi hanno scoraggiato dal tentare quella strada, ma alla scelta definitiva sono arrivato anche per una considerazione di tipo diverso. Ho cominciato a scrivere di questi argomenti sull'onda dei dibattiti che abbiamo fatto spesso in redazione, in particolare quando ci siamo occupati di Patriarcato. Mi è parso evidente, da un certo momento in poi, che Overleft sia la collocazione naturale di questo mancato libro e l'ho proposto alla redazione. Questa è dunque la prima parte, altre ne seguiranno.

Nel 1938, un filosofo e scrittore svizzero cosmopolita, cominciò a scrivere un libro che sarebbe stato editato nel 1939, un testo che certamente il suo autore covava da tempo, ma che sembra venire alla luce nel momento più anacronistico. L’Europa è già sconvolta e lo sarà ancora di più in pochi mesi. Ebbene, in uno scenario come quello, Denis de Rougemont pubblica L’amore e l’Occidente!

Lo scrittore cristiano protestante, peraltro, non era affatto un pensatore avulso dalle problematiche del presente: anzi, condivideva tutte le angosce del momento. Egli, infatti, conosceva bene l'Europa, aveva lavorato a Parigi e a Francoforte, vedeva le cose da vicino e ne coglieva tutta la tragicità; ancor più, era convinto che il totalitarismo nazista sarebbe dilagato senza tener conto dei confini, dunque avrebbe potuto benissimo non rispettare la neutralità elvetica. De Rougemont partecipò con diverse iniziative editoriali alla lotta antifascista, fino alla costituzione del gruppo del Gottardo, con l’intento di contrastare i fascismi in tutta Europa e, quando il governo elvetico cominciò a temere per la sua sicurezza personale, gli consigliò un temporaneo esilio negli Usa.

L’amore e l’occidente sembra del tutto fuori posto, eppure sarà un libro decisivo, anzi, imprescindibile per chi voglia - anche oggi - dedicare la propria attenzione al tema in oggetto, ma anche per comprendere quale nesso, secondo il suo autore, esisteva fra gli avvenimenti in corso quando lo scrisse e il sentimento amoroso, che appare ad essi il più lontano.

Il testo dell’autore elvetico è una storia della concezione dell'amore, come si è venuta formando nei secoli, nella porzione di mondo che definiamo convenzionalmente occidentale (anche se i riferimenti agli Usa sono limitati alla produzione cinematografica e a poco altro) e potrebbe sembrare, a prima vista, solo l’ultimo di una serie di libri che, a partire da Il tramonto dell’Occidente di Spengler (1910), per passare da altre riflessioni sulla decadenza dello spirito europeo (provenienti sia dalla cultura di destra, sia di sinistra – Ernst Jünger e Antonio Gramsci, tanto per citare due nomi celebri), sembra trovare nella seconda e definitiva tragedia di una nuova guerra, il suo compimento.

Il libro è anche questo, ma non si può fare a meno di notare la sua eccentricità e ancor più la sua novità, perché quella di de Rougemont è un’analisi che intreccia filosofia e storia, mito, poesia, narrativa e antropologia. Oggi tale trasversalità e interazione fra discipline e saperi diversi è ovvia, ma non lo era affatto allora e anche per questo fu un testo accolto con molte polemiche. Ambivalente nei confronti della psicoanalisi, L’amore e l’occidente è un affresco plastico e imponente, un’indagine, tratteggiata da un uomo che cerca una verità difficile da trovare nel momento più grave della storia europea del secolo scorso ed è, come afferma Armanda Guiducci nella sua bellissima introduzione, un libro tragico 1 perché la tesi di fondo dell'autore è che un mito di morte e una pulsione di morte (termine che forse non farebbe del tutto piacere a de Rougemont) sono alla base della concezione occidentale dell’amore.

Leggi tutto...
 
Scritture antipatiche 3. La “luce di infanzia e di fiaba” di Cristina Campo PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Dopo il diluvio: discorsi su letteratura e arti
Mercoledì 24 Settembre 2014 13:59

di Adriana Perrotta Rabissi

Continua l'indagine sul perché certe scritture di valore, molto apprezzate da una ristretta cerchia di estimatori e estimatrici, siano perlopiù trascurate dalla comunità dei critici e delle critiche e ignorate da lettori e lettrici. Perché in qualche modo risultano antipatiche alla lettura. Questa volta tocca a Cristina Campo.

With the following essai, the author continues the report on some literary writings that, in spite of the high consideration that many critics attribute to them, are not universally appreciated because the style is not considered reader friendly. In this essay, Cristina Campo is on the stage.

Die Verfasserin forsetz die Analyse von anderes literarisches Werkes, das viele Kritiken super alten. Dagegen, das Publikum oft Würdigst nicht diese Werke weil sie mit einem schwierigem still geschrieben sind.


La scrittura di Cristina Campo (Vittoria Guerrini, 1923-1977) è una scrittura perfetta, per l’eleganza dello stile, la sobrietà, la complessità dell’argomentazione e dei temi, celata da un’apparente semplicità; proprio nella scrittura Campo

cerca la perfezione, eppure la vicenda della sua fortuna presso ctitici/che e lettori/trici la assegnano di diritto al campo che definisco delle  “scritture antipatiche”, nel senso che sono poco frequentate dalla comunità dei lettori e delle lettrici, trascurate da quella dei critici, anche se riconosciute come scritture di valore.

Molte le ragioni del disamore diffuso nei suoi confronti, a cominciare dalle sue scelte di vita: l’adesione giovanile al fascismo, mai rinnegata o messa sotto critica, la tensione antimodernista e antilluminista, l’avversione nei confronti dell’industria culturale, il contrasto esplicito nei confronti dell’egemonia intellettuale del suo tempo, protesa ad un realismo costruttivo, la deriva verso un misticismo che la porterà a rifiutare le aperture del Concilio vaticano II verso la modernizzazione della chiesa e della liturgia.  Negli ultimi anni della sua vita, tormentata dalla malattia, si schiererà con i lefèbvriani in difesa della tradizione liturgica, e frequenterà  -anche se saltuariamente- ambienti reazionari.

Infine, ma non meno importante, la strumentalizzazione della destra, che ne fa una bandiera, mentre, se è vero che durante la sua vita non si dissocia mai dai suoi entusiasmi giovanili verso Mussolini e il fascismo, neppure si schiera mai politicamente, almeno pubblicamente, inoltre assume lo pseudonimo di Campo, con il quale è conosciuta –lei, che nei suoi scritti usò numerosi pseudonimi-, in riferimento ai campi di concentramento, che in tal modo vuole ricordare.

Credo però che, a parte questi dati della vita, sia stata la visionarietà della scrittura, concentrata sul mistero della vita, del sacro, della morte, in un’epoca “post-diluviale”, come lei stessa definisce la sua contemporaneità, a alienarle non poche simpatie, anche da parte di chi non poteva non apprezzare la sua sensibilità poetica e la forma particolare di scrittura, diamantina.

 

Afferma nel suo scritto Il flauto e il tappeto:

Leggi tutto...
 
<< Inizio < Prec. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Succ. > Fine >>

Pagina 5 di 10

Creative Commons