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Dibattito redazionale
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Martedì 11 Marzo 2014 09:14 |
Redazione
La redazione ha raccolto commenti e critiche all’articolo di Paolo Borzi sul film La grande bellezza. Perlopiù le critiche hanno messo sotto esame da una parte lo stile, considerato troppo faticoso, ampolloso e bizantino, dall’altra in merito ai contenuti la lettura dell’autore è risultata troppo ideologica.
A queste critiche lo stesso Borzi ci ha inviato una risposta che qui riportiamo.
A seguire pubblichiamo anche un intervento di Franco Romanò per la redazione e infine l’intervento di un esterno – Silvio Pacillo - che ci ha inviato una sua lettera di commento.
Paolo Borzi:
IDEOLOGISMI: quando qui si è parlato di scelte ideologiche, si intendevano le operazioni intellettuali adeguate al rango dell’opera sulla base della sua stessa auto presentazione, e non necessariamente alla tendenziosità politica delle stesse. Se il termine “commedia” è molto invalso nel cinema, e Sorrentino stesso lo usa per distanziarne il suo film, non altrettanto invalso è il termine “tragedia”. Eppure, persino quelli della Mondadori ancora sanno che se una cosa non è l’una (leggera, comica, semiseria o seria privata) è nella sostanza l’altra. Infatti scrivono nel loro dvd circa contenuto e personaggi: Dame dell’Alta Società; parvenu; politici; criminali d’alto bordo; giornalisti; attori; nobili decaduti; alti prelati; artisti e intellettuali veri o presunti (e con questo confutiamo chi ha notato che si voleva parlare solo degli ultimi, ma resta significativo che l’impressione sia stata quella). La Mondadori audiovisiva, nella sostanza, tiene il passo lungo che il regista auto proclama ma che nella sostanza non fa, celebrando uno scorcio di macchiette, timbrate queste sì di marchi partitici, nessuna delle quali sfiora un establishment preciso (se non gli agenti di Pittura e i nobili, guarda caso due categorie ormai autoteliche). Non sono gap colmabili infinocchiando con paroloni, bella musica e riprese panoramiche. Con ciò, se la definizione conclamata fosse stata “fantacommedia”, magari intitolata “La Terrazza di Jep”, per dirne una, parametri e giudizi sarebbero cambiati, come dovendo giudicare un passo di foxtrot in quanto tale, e non in quanto valzer inglese.
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Lunedì 03 Marzo 2014 00:00 |
Il dibattito redazionale che segue trae ispirazione da un articolo pubblicato da Nancy Fraser sul quotidiano inglese ‘The Guardian’ il 14 ottobre 2013, tradotto da Cristina Morini e pubblicato il 16 Ottobre 2013 sulla rivista on line ‘Quaderni di San Precario. Critica del diritto dell’economia della società’, a questo link
Adriana Perrotta:
Che il capitalismo si impossessi dei sogni di libertà e di emancipazione, sia di uomini che di donne, per distorcerli e piegarli ai propri interessi di sopravvivenza, è un fatto, consolidato sia dalla storia che dalla esperienza quotidiana di ciascuno/a di noi.
Ricordiamo l'insofferenza provata da molti/e di noi, negli anni ‘60, verso i nostri vecchi che lamentavano l'abbandono delle terre e il successo della fabbrica che attirava ragazze e ragazzi; obiettavamo allora che il lavoro in fabbrica, pur faticoso, permetteva margini di libertà e opportunità di socializzazione impossibili nel lavoro agricolo, e che in città, dove c’erano le fabbriche, gli/le operai/ie si affrancavano finalmente dal controllo e dalla censura esercitati dalla comunità e dalla chiesa nei confronti di comportamenti non conformi alla norma sociale, considerati pertanto trasgressivi.
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Venerdì 11 Gennaio 2013 08:27 |
In un articolo di Gabriele Lenzi, intitolato 'Desiderio maschile e patriarcato', l'autore mette a tema desiderio maschile e corpo della donna come oggetto del desiderio. L'articolo è stato letto da redattori e redattrici e quello che segue è il resoconto del dibattito sorto tra alcuni componenti.
In an article by Gabriele Lenzi, entitled 'Male desire and patriarchy', the writer fucuses on male desire and woman body as an object of desire. Such an article has been read by the members of the editorial staff. What follows is the report of the discussion risen among some of them.
In einem Artikel von Gabriele Lenzi, mit dem Titel 'Männliches Begehren und Patriarchat', stellt der Autor das männliche Begehren und den Körper der Frau als Objekt dieses Begehrens zum Thema. Der Artikel wurde von Redakteuren und Redakteurinnen gelesen und das was folgt, ist eine Zusammenfassung der Diskussion, die zwischen einigen Komponenten aufkam.
Scrive Gabriele Lenzi su zeroviolenzadonne il 31 gennaio 2012:
"Viviamo circondati da una continua proposta mediatica di modelli di desiderio maschile, in cui sono mostrati sia soggetti che desiderano sia oggetti da desiderare (un presentatore dice a una valletta di voltarsi in modo che lui e il pubblico possano vederle il sedere). Lorella Zanardo e collaboratori, a partire dal progetto Il corpo delle donne, hanno denunciato l’incessante rappresentazione mediatica italiana di un modello relazionale che prevede per la donna il ruolo di giocattolo erotico da baraccone, oggetto a un tempo di desiderio e di sopruso, e che stabilisce per l’uomo il ruolocomplementare di chi ha il desiderio, e il potere, di ottenere/mantenere quella posizione della donna. Questa propaganda, con una forza educatrice negativa che nei fatti è troppo spesso sottovalutata, impone un modello di realizzazione femminile tutto appiattito su quell’immaginario, ma ha altrettanta presa sul pubblico maschile, a cui quei messaggi, tutti improntati sull’opposizione uomini-donne, si rivolgono con la forza persuasiva del dominio e del desiderio. Per il maschio eterosessuale tutto ciò riguarda, oltre alla sua ideologia e ai rapporti in genere con il femminile, l’erotismo e la sfera affettiva."
Il dibattito nato da questo articolo si è poi arricchito della discussione sopra un'immagine pubblicitaria, quella della show girl Belen Rodriguez che reclamizza una marca di intimo e anche su alcuni articoli dello stesso tenore apparsi su ‘zeviolenzadonne’ e ‘un altro genere di comunicazione’.
Franco:
Partirò da me, come il pensiero femminista invita a fare. È vero che si parla pochissimo fra uomini della propria sessualità: se penso a me, non posso che confermare e se penso ai miei amici più cari e intimi insieme a me, negli anni a partire dall'adolescenza fino a oggi, non ricordo confidenze da parte loro e neppure da parte mia, quindi penso che l'affermazione contenuta nel documento, assai interessante, sia ragionevolmente da estendere a una maggioranza del genere maschile o almeno a un buon numero. Ricordo confidenze anche intime sulle difficoltà della relazione con una donna, ricordo anche qualche richiesta di consiglio (anche da parte mia), oppure di confronto sulle relazioni che avevamo, ma raramente si arrivava a toccare il punto specifico della sessualità e del desiderio maschile e, dei rari ricordi che ho, mi rimane la sensazione di un rapido sorvolo, oppure di un discorso che era chiaramente il riflesso quasi pavloviano rispetto alle elaborazioni del movimento femminista. Mi è capitato, invece di parlarne con la mia partner e anche con amiche, con maggiore naturalezza. Tuttavia, una volta detto ciò, credo che l'intervento manchi di una prospettiva storica, nel senso che un discorso pubblico e di massa sulla sessualità e il desiderio di entrambi i generi, ha poco più di cent'anni di vita se lo si fa risalire alla psicanalisi e non più di cinquanta se lo si riferisce ai tre eventi che ne hanno determinato lo sviluppo e il corso: la nascita dei movimenti degli anni '60 (rivoluzione sessuale), i movimenti femministi e omosessuali.
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Martedì 06 Novembre 2012 08:41 |
Riflessioni della redazione sulla mostra tenuta al Palazzo reale di Milano, col titolo Anni settanta addio (senza punto interrogativo!) e conclusasi ai primi di settembre del 2012.
A cura della redazione.
Paolo:
Comincio dal titolo: perché addio? Tanto più che le presentazioni scritte fanno di quegli anni un laboratorio tutto da spiegare. Anni settanta dunque non addio, c'è troppa roba là dentro ancora da metabolizzare e la mostra stessa, tutto sommato, ne dà conto. Mancano però molte cose: la scuola, gli studenti, l'università ma poi anche le tecnologie nuove che affascinavano (improvvisamente si parla poi dell'informatica e sembra come che i marziani siano scesi tra noi). Però che sberla! Io sono rimasto anche un po' schiacciato, a un certo punto io e Adriana ci siamo detti: ma noi dove eravamo mentre succedevano tutte queste cose?Presi molto di più dalle relazioni politiche, seguivamo meno i fermenti artistici tranne quelli di cui ci portavano l'eco i nostri studenti e qualche collega. E tuttavia c'è da meditare sul fatto che le sparatorie, l'autonomia operaia, la violenza di massa non viene storicizzata: qui nella mostra tutto ciò accade e basta, dell'autoritarismo nelle fabbriche e a scuola, della repressione delle lotte operaie, contadine e studentesche con tutti i morti dagli anni sessanta in avanti niente. Però il materiale sulle forme espressive per informarsi e discutere c'è ed è abbondante.
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Venerdì 13 Luglio 2012 00:00 |
a cura della redazione
L'insofferenza verso la situazione sociale sempre più precaria di milioni di uomini e donne non più solo migranti, cresce di giorno in giorno e si esprime in modi diversi e cangianti: alcuni in forme più stabili e altri estemporanei. Tutti questi movimenti e aggregazioni a livello continentale esprimono una sfiducia pressoché totale nei confronti delle forme della politica e delle rappresentanze storiche e questo è al tempo stesso appassionante per lo scenario nuovo che può aprire e allarmante perché dal fondo di questa deriva ritornano alla superficie anche forze oscure alcune delle quali si richiamano esplicitamente al nazismo. In Italia ALBA è l'aggregazione recente più vistosa e per questo abbiamo deciso di dedicare il dibattito redazionale a una riflessione politica che parte dal manifesto dei promotori, che può essere letto qui.
Tuttavia ALBA non vuole essere per noi né un pretesto strumentale e neppure il solo riferimento del dibattito, ma solo un'occasione di ampia riflessione che si rivolge a diversi interlocutori e interlocutrici e prima di tutti ai lettori e alle lettrici di Overleft sui temi di una nuova soggettività politica, capace di appassionare e incidere.
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