Un articolo e un film sulle contraddizioni delle ONG Stampa
Editoriali e dibattiti - Dibattito redazionale
Lunedì 08 Febbraio 2016 14:50

della redazione

A partire da un articolo di Arundhati Roy e Jamal Juma, che qui proponiamo e dal film di Fermando Leòn de Aranoa Perfect day, una riflessione della redazione di Ol su ruolo e contraddizioni delle ONG.

Starting from an article written by  Arundhati Roy e Jamal Juma, here enclosed, and from the film A perfect day by Lèon de Aranoa, what follows is the debate inside OL staff about role and nowadays contradictions of NGOs. 

 

A cosa servono certe ONG di Arundhati Roy e Jamal Juma (1)

…Come il FMI ha imposto l’Aggiustamento Strutturale, e ha sottoposto a torsioni i governi, costringendoli a tagli della spesa pubblica per sanità, istruzione, assistenza all’infanzia, sviluppo, le ONG sono entrate in azione.

La Privatizzazione del Tutto ha comportato anche l’ONGanizzazione del Tutto.

Alla scomparsa dei posti di lavoro e dei mezzi di sussistenza, le ONG sono diventate una fonte importante di occupazione, anche per coloro che sono consapevoli di ciò che in realtà rappresentano. E certamente, non tutte le ONG sono cattive.

Fra i milioni di ONG, alcune conducono un lavoro notevole, radicale e sarebbe un travisamento addossare a tutte le ONG gli stessi difetti.

Tuttavia, le ONG finanziate dalle imprese o dalle Fondazioni costituiscono il mezzo con cui la finanza mondiale coopta i movimenti di resistenza, letteralmente come gli azionisti acquisiscono quote delle compagnie, per cercare di assumerne il controllo dall’interno. Si innestano come nodi sul sistema nervoso centrale, i percorsi lungo i quali scorre la finanza globale.Le ONG funzionano come trasmettitori, ricevitori, ammortizzatori, mettono sull’avviso ad ogni impulso sociale, attente a non infastidire i governi dei paesi che le ospitano. (La Fondazione Ford richiede alle organizzazioni che finanzia di firmare un impegno in tal senso). Inavvertitamente (e talvolta avvertitamene, di proposito), servono da postazioni di ascolto, con le loro relazioni e i loro convegni e con le altre attività missionarie, che alimentano di informazioni un sistema sempre più aggressivo di sorveglianza di Stati sempre più repressivi. Più agitata è una zona, maggiore è il numero di ONG in essa presenti.regia di Fernando Léon de Aranoa

Maliziosamente, quando il governo o settori della Stampa delle Corporation desiderano condurre una campagna diffamatoria contro un autentico movimento popolare, come il Narmada Bachao Andolan (movimento che resiste alla costruzione della diga di Narmada e che inoltre lavora per l’ambiente e i diritti umani, N.d.T.), o contro il movimento di protesta contro il reattore nucleare di Koodankulam, questi movimenti vengono accusati di essere ONG che ricevono finanziamenti dall’esterno.

Il governo e la stampa sanno molto bene che il mandato della maggior parte delle ONG, in particolare di quelle ben finanziate, è quello di promuovere il progetto della globalizzazione delle multinazionali, non quello di contrastarlo.

Armate con i loro miliardi, queste ONG hanno esondato nel mondo, trasformando rivoluzionari potenziali in attivisti stipendiati, in artisti, intellettuali e registi foraggiati di soldi, gradualmente attirandoli lontano dal confronto radicale, avviandoli nella direzione del multi-culturalismo, dello sviluppo sociale e di genere – della narrazione retorica espressa nel linguaggio delle politiche identitarie e dei diritti umani.

La trasformazione dell’idea di giustizia nell’industria dei diritti umani è stato un “golpe” concettuale in cui le ONG e le Fondazioni hanno svolto un ruolo cruciale. Il focus attentivo sui diritti umani consente un’analisi tutta concentrata sulle atrocità, in cui viene impedita la visione di un panorama più vasto e le considerazioni su tutte le parti in conflitto, per esempio, sui Maoisti e il governo indiano, o sull’esercito israeliano e Hamas, ed entrambi i contendenti possono essere stigmatizzati come Violatori dei Diritti Umani.

Gli espropri di terre da parte delle società minerarie, o la storia dell’annessione della terra dei Palestinesi da parte dello Stato di Israele, diventano allora solo note a piè di pagina con ben poca evidenza nella narrazione in merito.

Questo non vuol dire che i diritti umani non abbiano importanza. Sono importanti, ma non sono un prisma abbastanza idoneo attraverso il quale visualizzare o lontanamente capire le grandi ingiustizie del mondo in cui viviamo

…E una delle ragioni per cui la società civile è così debole, e fino a pochi anni fa invece era il contrario, i palestinesi erano l’avanguardia degli attivisti arabi, è che sono arrivate le nostre ONG a rafforzarla.

I primi internazionali sono stati una svolta. Erano quasi tutti specialisti di diritti umani, e hanno tradotto in termini giuridici l’occupazione, impostando il ricorso all’Onu, al tribunale dell’Aja. Le convenzioni di Ginevra sono diventate la nostra nuova arma. Una delle più efficaci, dice Jamal Juma, il coordinatore delle iniziative contro il Muro. Ma poi sono arrivate Ong di altro tipo: quelle di aiuto allo sviluppo. E un po’ alla volta, si sono trasformate in una forma di welfare dice. Oggi le Ong, qui, sono centinaia. Nessuno sa più neppure il numero preciso. E la maggioranza si dedica a progetti inutili, il cui solo obiettivo è offrire uno stipendio ai palestinesi. E tenerli buoni. Anche perché i direttori di progetto sono stranieri: i palestinesi sono chiamati semplicemente ad attuare progetti pensati altrove. Il risultato è stato lo sfibramento della società civile. E soprattutto, il passaggio dalla politica alla tecnica. Quando l’esercito confisca una strada, si ha subito una Ong pronta a costruirne una alternativa. Ma l’obiettivo, dice Jamal Juma, dovrebbe essere combattere l’occupazione, non aiutarci a conviverci…

Adriana

Sulla capacità del sistema capitalistico di impossessarsi dei contenuti espressi da istanze di libertà, giustizia e solidarietà, riformulandoli a proprio beneficio e riproponendoli per  incrementare il profitto e/o addomesticare conflitti, non c’è molto da dire; il capitalismo, vecchio o nuovo è infatti il sistema economico sociale più adattabile a situazioni anche molto diverse tra loro.

Questa è una delle ragioni della sua presa sul cuore e sulle menti di uomini e donne in tutto il mondo.

Una coincidenza di tempi mi ha portato a leggere un articolo di Arundhati Roy e Jamal Juma [1], che qui proponiamo, e ad assistere alla proiezione del film di Fermando Leòn de Aranoa  Perfect day, che mette in scena la giornata di quattro volontari di una ONG durante la guerra dei Balcani.

Due uomini e due donne che malgrado la buona volontà non riescono a risolvere neanche un piccolo problema di un villaggio per vari motivi ma prima di tutto per l’ottusa consegna burocratica di attenersi a leggi e regolamenti, formulati dalle Direzioni delle Istituzioni di riferimento, lontane dai luoghi reali della guerra. Gli abitanti del villaggio riusciranno da soli a risolvere il problema, con l’aiuto di un evento meteorologico, all’insegna dunque della perfetta inutilità dell’intervento esterno pur dotato di mezzi e persone.

Non si può certo ridurre la questione degli aiuti umanitari a un episodio come quello descritto nel film, ma appunto, mettendolo a confronto con le parole di Roy e Juma e con l’esperienza personale di uno di noi, della quale diamo conto, ci coglie un senso di smarrimento di fronte alla distorsione, rispetto ai propositi iniziali, che a quanto pare si verifica in molte ONG.

Già si conosceva il fatto che la maggior parte dei finanziamenti pubblici o privati ottenuti era impiegata a tenere in piedi la struttura, e che di essa ben poco ricadeva sulle popolazioni che si andava a “aiutare”; il panorama evocato da Roy e Juma denuncia un aspetto ancora più inquietante, perché mette in luce una strategia consapevolmente mirata al controllo sociale, per evitare e contenere possibili momenti di lotta e conflitto.

Franco

La lettura dell'articolo di Arundhaty Roy mi spinge ad alcune considerazioni, che prescindono tuttavia dal film che non ho visto.

Un po' di storia. Ho avuto l'avventura di assistere personalmente alla nascita di quello che sarebbe diventato il movimento no global. Metto in fila alcune tappe con la cronologia.

Primavera 1994 Il cerchio dei popoli a Madrid. Fu il primo momento, che esplose di colpo e fu il primo sussulto di un agglomerato di associazioni e movimenti che reagivano alla deriva neo liberista e agli anni di silenzio seguiti alla caduta del Muro di Berlino e la fine dell'Urss. Le ONG erano la componente maggioritaria da un punto di vista numerico, ma era forte anche la presenza di movimenti di liberazione più tradizionali provenienti dal sud del mondo. Fui sorpreso dalla ricchezza di iniziative, dall'evidente ingenuità di alcune proposte, della demagogia di altre (abolire il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale erano i due slogan del convegno) ma mi colpì la quantità di uomini e donne impegnate al di fuori dei recinti tradizionali della sinistra e di cui poco o nulla si sapeva, compresi i rappresentanti del movimento zapatista messicano, insorto il primo gennaio del 1994; non presenti fisicamente per ragioni di sicurezza ma rappresentati da alcune associazioni spagnole. Fu una settimana entusiasmante. Nello stesso periodo o subito dopo ci fu anche un confronto pubblico fra FMI e Vandana Shiva, che fu devastante per i rappresentanti del Fondo. Ho il sospetto che il cambio di atteggiamento cominciò da lì. Le istituzioni internazionali non accettarono più alcun confronto pubblico e iniziò la strategia di cooptazione e rottura del fronte, peraltro assai eterogeneo e facile da catturare in alcune sue componenti da parte delle sirene che cominciarono a suonare subito.

La realidad

Due anni dopo, 1996, gli stessi protagonisti di Madrid si ritrovarono in Chiapas al Primo incontro intercontinentale contro il Neoliberismo e per l'Umanità proposto dall'EZLN, con una novità e cioè la presenza massiccia delle organizzazione gay-lesbiche (allora la sigla LGBT non era ancora stata proposta.) L'entusiasmo fu il medesimo e credo di poter dire che in quel consesso si raggiunse il punto più alto di quel movimento. La proposta degli zapatisti, infatti, aveva colto di sorpresa tutti. Trasformando un episodio in fondo locale e marginale in una proposta mondiale, l'EZLN mise il governo messicano in una posizione imbarazzante. Da un lato la presidenza di Zedillo avrebbe voluto stroncare il convegno, ma l'invito a non farlo e a lasciar fare venne da molto in alto e da molto lontano; in caso contrario mai e poi mai avremmo potuto raggiungere in migliaia le zone zapatiste e tornare a casa tranquillamente. La politica aveva vinto sulla repressione; ma già l'anno dopo, di nuovo a Madrid e poi in Andalusia, le cose erano cambiate.

Nel movimento emergevano sensibilità diverse fra le componenti occidentali e quelle del sud del mondo, le sirene riformiste di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, cominciavano a fare breccia. L'eterogenità delle presenze si trasformava rapidamente in una incapacità di decidere qualsiasi cosa che non fosse talmente generica da non essere in grado di produrre alcuna prassi significativa. La scelta di continuare indicendo forum macro regionali (sostanzialmente corrispondenti ai continenti) fu tuttavia una scelta saggia e infatti produsse in America Latina degli effetti che portarono anche alle presidenze come quelle di Lula, Morales Chavez, poi Cristina Kirchener Pepe Mujica. In Europa le cose si trascinarono stancamente fino a Genova, che segnò una definitiva rottura del fronte con l'abbandono di gran parte dell'associazionismo cattolico che era stato  uno dei pilastri del movimento.

assemblea chaipaneca

Le ONG furono le prime ad essere catturate dalle sirene delle grandi istituzioni finanziarie, ma molte cambiarono natura per problemi più complessi che non erano stati messi bene a fuoco da subito. Quando un'organizzazione qualsiasi supera una certa soglia di grandezza, le spese di manutenzione dell'apparato (per quanto piccolo sia), diventano presto superiori alla quantità di risorse erogate per gli scopi istituzionali: è a quel punto che scattano i finanziamenti interessati, le sponsorizzazioni e tutto il resto.

Detto ciò e condividendo in pieno l'analisi di Roy, non dimentico di essere europeo e italiano e so benissimo che da noi qualsiasi prassi che non sia immediatamente rapportabile al recinto tradizionale della cosiddetta sinistra radicale e del marxismo novecentesco, è giudicata con sarcasmo a prescindere e che questo sport continua tuttora producendo analisi sempre più sofisticate che ricordano talvolta le sottigliezze della teologia medioevale, senza produrre alcuna prassi. Questo per ribadire che anche le ong hanno avuto un ruolo positivo e, quelle che hanno resistito alle sirene e hanno avuto il pregio e le capacità di auto modificarsi, questo ruolo lo svolgono ancora. Per tornare a un successo del passato, furono le ong e in particolare la rete Lilliput a imporre alla Nestlè un codice di comportamento diverso sulla distribuzione del latte artificiale in Africa: nessun movimento di sinistra era riuscito a fare altrettanto.

Del resto, sappiamo pure bene o dovremmo saperlo, che non c'è prassi o teoria radicale che il turbo capitalismo non sia in grado di trasformare in merce: a meno di credere che la maglietta con l'effige di Che Guevara, sia meno merce del logo di una ONG accanto a qualche agenzia del Fondo Monetario. Il problema è sempre uno: come superare il divario fra il protagonismo sociale diffuso e spesso virtuoso e l'assenza di politica.

Paolo

Ad analizzare tutto ciò sul piano macro lo smarrimento di cui parla Adriana si stempera perché finisci col doverti arrendere di fronte ai poteri forti che tutto assorbono e asserviscono. A scendere invece sul piano locale  e personale devi fare anche i conti con la delusione: compagni e compagne impegnati/e nelle ONG hanno dovuto infine rendersi conto che la loro iniziativa individuale e volontaria nata da buoni sentimenti era in realtà strumentale ad aggiustamenti di tiro dei poteri forti.

Note:

Arundhati Roy e Jamal Juma, A cosa servono certe ONG, pubblicato nel sito di Sinistrainrete,