Di amore, di guerra e di miti: seconda parte. Stampa
Aree tematiche - Dopo il diluvio: discorsi su letteratura e arti
Mercoledì 18 Febbraio 2015 10:14

di Franco Romanò

Nella seconda parte del saggio, riflettendo sulla vicende di Amore e Psiche, vengono evidenziati i modi diversi in cui la psicologia maschile e quella femminile si avvicinano all'amore. Al tempo stesso, si mette in evidenza come il mito sia più flessibile rispetto alle codificazioni patriarcali dei ruoli maschili e femminili.

In the second part of the essay, attesting to the story of Eros and Psyche, are focused the different psychological ways of approching love, by male and female subjects. Meanwhile, the essay shows how myhts are in general more flexible than the patriarchal codifications of sex roles between men and women.

In dem  zweitem Teil Werks,  man bestätiget, dass die Geschichte Amors und Psyches die verschiedene Weise sich nähen zum Liebe zwischen Männer und Frauen, erklärt ist. Außerdem, sind  Mithos mehr flexibel als die patriarchalischer Starrheit Männers und Frauens Rollen.

Amore e Psiche
Lasciamo per il momento l'opera principale di Apuleio e soffermiamoci sulla vicenda dei due giovani amanti.

Psiche è la terza figlia di un Re e di una Regina: le due sorelle maggiori sono già maritate. Lei, invece, non riesce a trovare uno sposo perché la sua bellezza incute timore e soggezione. La fama di questa giovane donna leggendaria si sparge ovunque e travalica i confini terrestri, giungendo alle orecchie di Venere, la quale se ne duole assai. La motivazione che la dea usa per nascondere la propria gelosia è molto intelligente: rimprovera agli umani la mancanza di senso del limite perché una mortale, non può competere in bellezza con una dea, tanto meno con la dea della bellezza!

Afrodite, allora, mostra la giovane donna al figlio Cupido e gli ordina di colpirla con le sue frecce, facendo in modo che s'innamori di un uomo abbietto e di infimo grado sociale.

Peraltro, la ragazza era già a conoscenza del suo destino, non proprio luminoso, poiché la famiglia, preoccupata dalla mancanza di corteggiatori della bellissima figlia, si era premurata di consultare l'oracolo, il cui responso era stato questo:

Sul picco alto di un monte, esponi, o re, la ragazza,

come si addice, abbigliata a nozze che danno la morte.

E non sperare in un genero nato da stirpe mortale,

ma attendi un mostro crudele, feroce e con volto di serpe,

il qual, volando per l'etra, ogni animale molesta,

e impiaga col ferro e con fuoco ogni creatura vivente.

Sin Giove lo teme, che pure ispira terrore agli dei

e i fiumi l'hanno in orrore e i regni oscuri d'Averno. (5)

 

Facile riconoscere in questo vaticinio un motivo che sarà ampiamente ripreso in molte favole e, in particolare, ne La Bella e la Bestia. Tuttavia, tale interpretazione è ingannevole e riduttiva perché, come tutte le sentenze degli oracoli, anche questa ha un doppio fondo e non è così univoca come appare. L'allusione alla morte della giovane donna può voler dire molte cose, l'accenno al mostro, come vedremo, può anche alludere a un giudizio di carattere morale e alcuni altri accenni (per esempio che si tratta di una bestia temuta persino da Giove), indicano che forse non si sta parlando proprio di un animale; le fiabe codificano i significati assai più dei miti, dove tutto è ancora fluttuante e magmatico e niente affatto univoco.

 

Psiche, piangente e compianta da tutti, accetta il suo destino con forza e rassegnazione e si avvia alla rupe.

Fermiamoci un momento perché, pur essendo ai primi passi di questa complessa e lunga narrazione, già ne sono successe di tutti i colori!

Colpisce, prima di tutto, la non precisa corrispondenza fra il dettato dell'oracolo e le intenzioni di Venere, ma ancor più disorienta lo stupefacente comportamento della dea. Ma come! Proprio lei, che dovrebbe conoscere tutte le sottigliezze della seduzione e le sue tentazioni, mostra Psiche a un giovane virgulto nel pieno delle sue tempeste ormonali e gli ordina di mandarla sposa a un uomo infimo e abbietto? Sembra incredibile e infatti lo è: ci manca qualche tassello della storia, oppure Venere incorre in quello che, modernamente, si definirebbe un lapsus? Difficile suggerire una risposta, forse si potranno azzardare ipotesi più avanti.

Il prosieguo è scontato. Non appena vede Psiche, che la madre stessa gli mostra, Cupido punge se stesso con la freccia che solitamente indirizza ad altri e s'innamora di lei.

Abbiamo lasciato la povera ragazza, desolata e sola, in cima alla rupe, dove accade qualcosa che lei non s'aspetta. Zefiro le solleva le vesti, le gonfia il grembo (il corsivo è mio), e la fa volare fino a un campo fiorito, dove atterra semi dormiente. La scena (6) è il preludio a ciò che accadrà subito dopo, ma già a questo punto scattano alcune interpretazioni fuorvianti e curiose. Se si leggono i compendi della favola (se ne trova più di uno), in molti casi si leggerà che Cupido la rapisce mentre lei è addormentata. È una palese falsificazione del testo, le cui ragioni verranno a poco a poco chiarite, perché costituiscono il primo passo verso la codificazione canonica di un cliché patriarcale. Anche i movimenti femministi hanno visto nel mito di Amore e Psiche la proposizione pura e semplice di questo, ma Carol Gilligan non concorda con la tesi maggioritaria e vede nella giovane Psiche proprio il contrario di una donna che accetta supinamente il proprio destino; del che sono totalmente d'accordo.

Lui non la rapisce affatto!, è Zefiro che la deposita molto vicino alla dimora in cui Cupido vive, per cui quando Psiche si sveglia, vede davanti a sé un palazzo bellissimo che assomiglia tanto a quello del principe di Cenerentola:

….Ma Zefiro, che spirava dolcemente con la sua brezza,... la porta giù per il pendio roccioso sino a una valle sottostante tutta fiorita....Psiche riposò nel soffice prato... dormì quel tanto che bastò a ristorarla e, quando si destò, aveva l'animo sereno. Ella vede un bosco fitto di alberi alti e forti, vede una sorgente dalle acque limpide come il cristallo; e proprio nel mezzo del bosco, là dove spiccia la fonte,vi è un palazzo dall'aspetto regale, costruito dall'arte di un dio, non dalla mano dell'uomo. (7)

In tutta la scena è facile riscontrare anche un motivo che si ritroverà ne La Bella addormentata nel bosco.

Psiche, sorpresa, si avvia verso la dimora sontuosa e vi entra, senza che alcuno ve la spinga. Sola e circondata di ori e di ogni ricchezza, dalle voci delle ancelle che sono al suo servizio, sembra non interrogarsi sul perché di tanta bellezza intorno a lei; la sua meraviglia appare tanto vera quanto inconsapevole, o innocente. Forse siamo più vicini di quanto si poteva supporre alla Bella addormentata nel bosco, anche se nella fattispecie il bosco incantato è un palazzo regale, dentro il quale Psiche si aggira, come se fosse ancora nelle spire di un sonno della coscienza, i cento anni di oblio della favola; ma è proprio soltanto così?

Tutta la scena può essere vista sotto un altro aspetto, senza negare gli elementi di ingenuità e impulsività adolescenziale della giovane donna. Psiche va incontro all'esperienza senza barriere preconcette, non ha più importanza per lei quanto sapeva in origine dall'oracolo, ma conta maggiormente ciò che accade. Tuttavia, il racconto è assai sottile da un punto di vista psicologico perché, man mano che si aggira nelle stanza, Psiche si chiede silenziosamente se quella, piuttosto che la casa di un mostro, non sia per caso la dimora del dio dell'Amore. Se lo era già chiesto nel momento iniziale, ma ancora più lo ribadisce in un breve passaggio successivo:

...Deve essere di certo un uomo raffinatissimo, o piuttosto un semidio o un dio, colui che con vera finezza d'artista ha infuso la vita selvaggia delle fiere in si gran copia d'argento....” (8)

L'accenno alla vita selvaggia delle fiere, si richiama al responso dell'oracolo, ma in lei comincia a farsi strada – seppure con tutte le oscillazioni dell'ambivalenza - un sentimento diverso. Inoltre, come le può venire in mente che sia la dimora di un semidio o addirittura di un dio, dal momento che la sentenza dell'oracolo dice apparentemente il contrario? Forse Psiche s'interroga, la sentenza dell'oracolo non si sedimenta in lei semplicemente come un dato dalla interpretazione scontata, ma diviene oggetto di ripensamento critico e infatti, vedremo meglio più avanti come il responso dell'oracolo fosse una ben camuffata descrizione di Cupido medesimo!

Di sala in sala, a notte, Psiche arriva in una camera da letto, dove la raggiunge Cupido, ma senza farsi riconoscere. Dovrebbe trattarsi del mostro cui è destinata, ma Psiche sembra dimenticarsene completamente, tanto da non averne paura: il suo sonno continua, oppure si è insinuato in lei qualcosa d'altro, una sensazione diversa? Quel nome - Cupido - che già era affiorato alle sue labbra in due momenti diversi, non è forse l'anticipazione inconscia di qualcosa? Non riconosciamo forse in questo un procedimento deduttivo basato sull'adesione empirica all'esperienza piuttosto che al pregiudizio?

Nel racconto, Psiche ha solo un attimo di timore per la propria verginità, ma poi va incontro al suo destino con naturalezza; del resto, se il responso dell’oracolo è quello che già sappiamo, a che serve opporsi al fato? Era il responso ad essere più complesso e dunque da interpretare diversamente da come appariva in superficie; cosa che, in modo incerto si fa, pur tuttavia, strada in lei.

L'intensità del rapporto erotico li travolge entrambi e si va avanti così per molte notti, finché Psiche rimane incinta, sebbene non se ne accorga immediatamente. Il tutto avviene nell'assenza di luce e questo viene di solito interpretato come semplice inconsapevolezza da parte di entrambi. I due, secondo una interpretazione un po' facile, agiscono inconsciamente la relazione, ma vedremo come già a questo punto della storia, i loro comportamenti si diversificano.

Durante le notti, Cupido, prima di allontanarsi da lei, ogni volta sul far dell'alba, le parla d'amore e la tratta come una regina, ma la sua costante preoccupazione è che Psiche cada preda di narrazioni ostili e maldicenze nei suoi confronti e teme, in modo particolare, le due sorelle di lei, tanto da intimare alla giovane amante di non incontrarle e, tanto meno, di parlare con loro. È un discorso strano, ma specialmente reticente e foriero di molti equivoci, come infatti accadrà. Esso, infatti, nasconde il vero punto nevralgico della questione. Cupido ha disubbidito alla madre e ne teme la punizione! La ragazza accoglie quei discorsi, prima con naturalezza, poi sempre più criticamente, perché non li comprende, ma tale incomprensione non aumenta in lei alcun timore. La paura subentrerà più tardi e le verrà instillata dall'esterno, come vedremo.

Psiche, in sostanza, continua a stare nella situazione che si è creata, senza volere a tutti i costi ottenere subito una risposta su ogni cosa che succede e che non comprende del tutto; tuttavia, non smette di ragionare, come vediamo e vedremo.

La richiesta di Cupido, peraltro, è assurda. Costretto ad allontanarsi non appena si fa giorno, per non farsi riconoscere, ma senza dirle la vera ragione della sua scomparsa, la lascia del tutto sola e, infatti, la ragazza comprende presto di essere in realtà in una prigione dorata, senza poter condividere con l'amato la quotidianità, ma persino senza vedere le ancelle che la servono come una regina, dal momento che sono invisibili anch'esse: perché, oltre a questa privazione, dovrebbe sopportare di non vedere neppure le sorelle? Lo fa notare a Cupido, che cede dopo molte insistenze. Potrà vederle, ma a una condizione:

“Non ti lasciar persuadere con tuo danno dalle tue sorelle a cercar di sapere come è fatto tuo marito! Sarebbe un'empia curiosità questa! Precipiteresti dall'altezza in cui ti ha posta la fortuna nell'afflizione più nera e saresti privata per sempre dei miei abbracci!” (9)

Il parlare in terza persona non è causale: sembra che Cupido possa accettare la relazione con lei solo facendo finta di essere un altro. A parte questo, è ancora una volta il suo discorso ad essere strano, a cominciare dall'improvviso cedimento, seppure dopo le molte insistenze di lei, interpretate naturalmente come un esempio di petulanza femminile, quando invece il ragionamento di Psiche è del tutto logico. Se è così importante che lei non veda le sorelle, la via maestra sarebbe quella di dirle il motivo, ma è proprio ciò che lui non vuole e non può fare, perché in realtà esse sono solo il paravento dietro il quale ha rimosso le sue paure. Perciò, la reticenza si ritorce contro Cupido: mancando una motivazione vera a quel divieto, si ritrova senza argomenti di fronte all'insistenza di lei. È un secondo aspetto, ben più importante del primo, che ci fa però capire la natura profonda del suo comportamento. Come può sapere, Cupido, che le sorelle chiederanno a Psiche proprio quello che immagina e cioè di vedere come lui è fatto? Lei, infatti, fino a quel momento, non gli ha mai chiesto di farsi vedere! Cupido, in effetti, non lo sa ma lo immagina, perché quello è il suo tallone d'Achille: la dipendenza da sua madre. La mancanza di trasparenza, però, sarà fatale anche per lui, perché il suo ragionare minaccioso e macchinoso, il richiamo all'empietà per il solo fatto di volerlo vedere (questione che fino a quel momento lei non aveva neppure posto come condizione per continuare la loro relazione), diventeranno il grimaldello con cui le sorelle faranno breccia, per instillarle una paura del tutto sconosciuta fino a quel momento.

Psiche, felice di potere finalmente incontrare le due congiunte, non pone domande di fronte a tali e tante stranezze, ma promette entusiasticamente e con le parole più ovvie del linguaggio amoroso, che mai e poi mai farà qualcosa contro di lui. Proprio tale scelta linguistica, tuttavia, rivela che la diffidenza è già entrata nel suo animo: promettere di non fare nulla contro di lui è ben diverso dal promettere di non volerlo vedere! Ma Cupido non se ne accorge!

Psiche invita le due donne a recarsi in cima alla rupe dove zefiro le porterà fino a lei.

Quando le sorelle scoprono che vive in un palazzo sontuoso, rimangono interdette, ma non sanno bene che fare. Cominciano allora a porle delle domande ed è a quel punto che Psiche si spaventa delle promesse fatte a Cupido e compie la scelta più sbagliata: racconta loro un sacco di frottole. Il marito viene magnificato con descrizioni tanto precise quanto false: la menzogna, che fino a quel momento, era estranea al suo comportamento, compare per la prima volta. Le sorelle abbozzano e chiedono di tornare una seconda volta.

Le domande che le fanno sono più o meno le stesse, ma più mirate: Psiche, sempre più in difficoltà e non abituata a mentire, fornisce del marito una descrizione bellissima, ma diversa in più punti dalla precedente; ma ancor più, le sorelle si rendono conto del rigonfiamento del suo ventre. Tornando a casa, capiscono che Psiche mentendo, ha voluto sviarle e da questo deducono che quello che porta in grembo non può che essere il figlio di un dio. Livide di rabbia, meditano la vendetta: convincerla a uccidere il marito.

Fermiamo anche a questo punto. Il comportamento delle due sorelle, a differenza di quelle di Cenerentola, sembra del tutto irrazionale e presenta pure dei lati oscuri: come fanno a essere certe che Psiche porta in grembo il figlio di un dio? Soltanto perché lei ha loro mentito? Il salto logico è un po' troppo grande: potrebbe avere incontrato un principe munifico. Perché proprio un dio? Cosa pensano, poi, di ottenere con l'uccisione di Cupido, visto che non potranno più prendere il posto di Psiche accanto a lui?

Quando ritornano, per cominciare a tessere la loro tela usano un solo argomento, ma del tutto logico: si limitano a ricordare alla sorella la sentenza dell'oracolo! Così, le insinuano il dubbio che quello accanto a lei nel letto, la notte, non sia un uomo, ma il mostro dalla testa di serpe cui era stata predestinata e che si libererà di lei non appena il figlio sarà nato; del resto l'accenno alla empietà, fatto da Cupido, sembra fatto apposta per assecondare il suo sospetto. Questo passaggio è assai complesso: come mai a Psiche non è venuto in mente prima? Per quale motivo sono necessarie le parole delle due sorelle per ricordarsi della sentenza dell'oracolo, di cui lei è ben consapevole? Inseguendo le molte contraddizioni del racconto sul piano razionale, è difficile dare una risposta, ma se le interpretiamo da un punto di vista psicologico, molte di esse si dileguano. La ragazza, come abbiamo visto, aveva accettato con rassegnazione e forza d'animo il suo destino, ma la sua psicologia la porta ad andare incontro all'esperienza, da quel momento in poi, con un atteggiamento di adesione empirica a ciò che accade. La linea interpretativa canonica riporta il suo atteggiamento a una forma di sonno della coscienza, oppure a una certa superficialità adolescenziale (Psiche è una ragazzina, in fin dei conti!): è l'interpretazione immortalata nella fiaba della Bella addormentata nel bosco, cui si aggiunge nel caso specifico, la critica alla curiosità femminile, che spingerà Psiche a voler vedere il marito, senza che a nessuno degli interpreti più canonici venga mai il dubbio che non sia del tutto normale sdraiarsi con qualcuno nel letto senza sapere chi sia! Se è per questo, avrebbe dovuto porsi prima tale interrogativo e se non lo ha fatto, è perché, istintivamente, crede di più alla sua intuizione che non alle razionalizzazioni complicate di una razionalità astratta. Il nome di Cupido non si era già affacciato per ben due volte alle sue labbra prima di incontrarlo? Inconsciamente, Psiche sa già che si tratta di lui, anche prima di vederlo ed è per questo - in definitiva - che giace insieme a lui nello stesso letto! Forse, dunque, il suo modo di agire è più complesso e lo vedremo proprio nel primo momento cruciale della storia.

Si comprende invece meglio, in questo passaggio, quale sia la funzione delle due sorelle, ben diversa da quella che svolgono nella favola di Cenerentola, dalla quale ci siamo forse troppo lasciati distrarre e dove esse rappresentano uno scenario più noto e canonizzato: tre donne che si contendono i favori di un uomo, e per giunta con una nota che si richiama alle differenze di classe. Cenerentola è, prima che figlia (forse illegittima), una serva, mentre le sue due sorelle sono le predilette dai genitori. Nella favola è evidente la mano di un aggiustamento che codifica e irrigidisce tutti i ruoli. Del resto sappiamo bene che gli autori di fiabe, a cominciare dai Grimm (per non parlare di Perrault), hanno smussato i passaggi più bruschi e crudeli della tradizione orale, risolvendo i nodi più spigolosi con accorgimenti che sono diventati canonici e codificati in quelle strutture così bene evidenziate dal Propp.

Nel mito di Amore e Psiche, invece, tutto è molto più fluido, lo sguardo patriarcale non ha ancora quella saldezza di codificazione che avverrà successivamente anche se in Apuleio se ne intravedono tracce, in qualche caso grottesche come vedremo, ma sempre coesistenti con altri motivi. Per esempio, le due primogenite, sorelle di Psiche, svolgono un ruolo molto maschile da un lato e neutro, dall'altro. Esse sono le mere contenitrici delle paure inconsce che Cupido proietta in loro, mentre, dall’altro lato, svolgono la funzione che nella favola de La Bella addormentata nel bosco, sarà compiuta del principe e cioè risvegliano Psiche dal sonno; ma non lo fanno rispetto alla logica di lei, della scoperta dell'esperienza per come essa si dà, ma secondo una facoltà calcolante, il cui scopo recondito non è la conoscenza e neppure la scoperta dell'eros, ma la vendetta. Il mito, in questo caso, spariglia davvero le carte, confondendo tutti i parametri. Due figure femminili che risvegliano Psiche invece del canonico principe, la razionalità dell'argomentazione che sostituisce l'altrettanto canonico bacio, uno scenario sorprendente e tutto da capire!

Ne La Bella addormentata nel bosco, il passaggio allo sguardo maschile è compiuto e non vi è più alcuna contraddizione. Le fanciulle in stato di latenza possono essere risvegliate all'eros solo dal bacio di un uomo principe: da lì a immaginare un reticenza femminile che chiede di essere forzata il passo è breve! Ma il mito non dice questo: a ben vedere ci sono labili tracce di quella che sarà l'interpretazione canonica, anche perché le parti sono del tutto rovesciate e lo saranno ancora di più nel momento chiave della vicenda!

Psiche, non appena tornata alla coscienza negativa che le due sorelle hanno risvegliato in lei per i loro scopi, si dimentica delle promesse fatte al marito, ma specialmente rinuncia alla propria capacità intuitiva, lasciandosi così fuorviare. Armata di un rasoio e di un lume a olio, attende che lui si addormenti dopo aver fatto l'amore, accende il lampada e si appresta a mozzargli il capo, con tutte le valenze simboliche e reali che questo sottintende. Quando lo vede, però, rimane incantata: resasi conto dell'errore commesso pensa in un primo tempo di mettersi il rasoio nel seno, per auto punirsi, ma l'arma le sfugge di mano e cade a terra. Lei indugia con il lume acceso, finché non accade l'irreparabile: una goccia d'olio bollente ustiona la spalla di Cupido che si risveglia bruscamente e la vede. Nell'asimmetria dei loro sguardi, si consuma la tragedia del distacco: lui fugge, lei cerca di aggrapparsi alla sua gamba, ma cade. Lui si allontana e al riparo di un cipresso le dice quello che avrebbe dovuto rivelarle molto prima:

“Proprio io o troppo ingenua Psiche, ho trascurato gli ordini di mia madre Venere.”

Dopo averle detto cosa la dea aveva ordinato egli prosegue:

“Ho peccato di leggerezza, lo so; il famoso arciere si è da se stesso colpito, con il suo stesso arco. E ti ho fatto mia sposa perché tu credessi che io fossi una belva e ti sentissi in dovere di tagliarmi il capo! Eppure esso reca questi occhi che ti adorano! Erano questi i pericoli di cui spesso ti consigliavo di guardarti, questi i miei benevoli avvertimenti...” (10)

Qui si conclude la prima parte della vicenda dei due amanti, ma non ci si può esimere dal commentare subito questo discorso di Cupido, nel quale sono condensati tutti i suoi atti mancati e le sue contraddizioni. La verità a lungo e malamente celata (ho disubbidito a mia madre) esce fuori di colpo e nel momento più sbagliato, detto come se fosse un rimprovero alla povera Psiche piuttosto che a se stesso! Tuttavia, la confessione che segue è ancora più interessante perché rivela come anche lui, al di là della sua incapacità di gestire la situazione, si trovi al centro di una trama di cui è vittima e non solo colpevole! Il riconoscimento della leggerezza compiuta è tuttavia importante, ma quello che segue sembra una completa assurdità: Ti ho fatto mia sposa perché tu credessi che io fossi una belva e mi tagliassi il capo. Dunque Cupido sapeva della sentenza dell'oracolo e ha voluto contrastarla in qualche modo e ora rovescia la frittata? Oppure qualcosa di più complesso è in gioco? Sul piano razionale il discorso di Cupido non sta in piedi, ma non mi stancherò di ripetere che non è questo il modo di scandagliare e interrogare un mito: dietro l'irrazionalità bisogna sempre domandarsi quale sia il motivo psicologico che ne è la causa. L'oracolo parlava di una belva e ora Cupido descrive se stesso nel medesimo modo, non perché egli conosca la sentenza oracolare, ma perché emerge in lui per la prima volta la consapevolezza della propria scelleratezza morale. Del resto, Cupido non può ignorare i giudizi che corrono su di lui e la parola belva non sta a indicare solo l'animale letterale, ma l'animale amorale che è in lui. Venere stessa parla del figlio come di un individuo senza scrupoli, addirittura uno scellerato: naturalmente si può dire che la predica viene da un pulpito niente affatto esemplare, dal momento che nel caso specifico è lei stessa che lo ha usato per infliggere una punizione a Psiche. Se la sentenza oracolare era una descrizione camuffata di Cupido stesso, egli è al corrente di quello che gli altri dei dicono di lui. Giove stesso lo teme perché le sue frecce, lanciate a casaccio, senza nessuno scrupolo o regola, hanno messo più di una volta il re dell'Olimpo in situazioni quanto meno imbarazzanti! Insomma, Cupido non è ben visto neppure dagli dei, è una specie di mina vagante che fa paura a tutti: una belva dal punto di vista morale, come afferma la sentenza dell'oracolo. Tuttavia, nel momento in cui perde Psiche, ecco che anche in lui si fa strada un barlume di coscienza morale; oppure, di coscienza del limite, che si traduce in coscienza infelice. Nel momento in cui l'arciere irresponsabile, che si divertiva alle spalle di coloro che colpiva, perde il proprio oggetto d'amore, sente su di sé per la prima volta il dolore dell'ustione amorosa, ben più forte di quelle poche gocce di olio bollente che gli sono cadute sulla spalla! Infatti, alla illogicità della prima affermazione ne segue subito un'altra che rivela ancor più la sua ambivalenza:

Eppure esso reca questi occhi che ti adorano! Erano questi i pericoli di cui spesso ti consigliavo di guardarti, questi i miei benevoli avvertimenti...”

La sua testa, incline alla scelleratezza se si pensa alle sue azioni, è anche la sede degli occhi che adorano Psiche! Cupido perde la sua sicurezza ma non è in grado di uscire dal suo circolo vizioso, come è evidente nella conclusione del suo discorso, che rigetta su Psiche la colpa.

Lontano dagli occhi lontano dal cuore?

Facciamo un passo indietro e torniamo alla scena madre del mito: il momento in cui Cupido si risveglia perché ustionato dall'olio bollente della lampada. Essa è stata dipinta, interpretata, fatta oggetto di studi e appassionate discussioni nei secoli; ma quello che avviene poco prima del momento topico è ancora più importante, ma rimosso! Fra tutti i dipinti e le sculture che hanno come oggetto il mito, non ve n'è alcuno (forse non posso dire di averli esaminati tutti ma moltissimi sì) che rappresenti ciò che accade prima e che nel testo letterario c'è!

Abbiamo lasciato Psiche che lo ha appena visto, ma che non sa ancora, razionalmente, chi sia lui (inconsciamente lo sa già), il rasoio è caduto a terra, lei continua a guardarlo, la bellezza di lui la irretisce, ma passato il primo momento, la ragazza non si limita a questo. È curiosa di lui, ma nel senso del tutto positivo del termine: si accorge che i suoi capelli profumano di ambrosia, poi vede la sua faretra, si interroga su cosa sia e finalmente capisce, anche razionalmente, che colui che afferma di essere suo marito è proprio Cupido. La scena dura a lungo! Il testo di Apuleio, tradisce in questo passaggio una visione del femminile che diventerà canonica. Psiche che diventa improvvisamente audace, contravvenendo dunque il precetto scontato della sua appartenenza al sesso debole, solo nel momento in cui afferra il rasoio. Lei vede le frecce: già le frecce! Le prende, le guarda e:

“Psiche, curiosa com'è, non è mai sazia di maneggiare questi oggetti. E mentre ammira le armi dello sposo, toglie dalla faretra una freccia e con il dito pollice va provando la punta; senonché, col premere troppo il dito che ancora tremava, si punse profondamente, sicché alcune goccioline del suo roseo sangue stillarono sull'epidermide. Così Psiche, ignara, spontaneamente cadde nella rete di Amore.” (11)

Il testo di Apuleio diviene in questo passaggio contraddittorio e ambivalente, l'insistenza sulla curiosità, prima, poi la dissimulazione sottile ma non troppo della scena in cui Psiche si punge: il linguaggio cerca di accreditare in qualche modo, ma non con la forza di una codificazione già avvenuta, che Psiche si punge per caso e perché la mano le trema.

L'interpretazione canonica di questo passaggio è nota ed è disseminata in più favole e in momenti diversi dello sviluppo della personalità femminile: dalla dea maligna che induce la giovane a pungersi con l'arcolaio, nel colore rosso (che richiama il sangue mestruale, oppure la perdita della verginità), che compare nei momenti topici dei processi di iniziazione femminili, oppure simbolicamente rappresentano in oggetti emblematici (il cappuccio rosso), ecc. La codificazione di questa complessa simbologia è nota: le fanciulle in stato di latenza perdono la verginità per caso e il caso ha sempre un volto e una presenza maschili, più o meno edulcorati nell'espletamento della loro funzione: il bacio è certamente poetico e soft, ma conoscendo gli aggiustamenti letterari e le manipolazioni cui le fiabe sono state sottoposte, è anche evidente che il bacio stesso potrebbe essere la metafora di qualcosa d'altro, sebbene sia innegabile come la riproposizione di questa interpretazione in alcune opere moderne e anche nella riflessione di Jung e Hillman, per arrivare a un noto film di Pedro Almodovar (Parla con lei), vada intesa in modo allegorico e distanziato rispetto alla volgarità implicita della sua traduzione nel senso comune maschile.

Quella che ho definito interpretazione canonica, così come verrà codificata in modo definitivo nelle fiabe che traggono ispirazione dal mito di Amore e Psiche, non regge alla filologia del mito stesso. Anzi, proprio l'analisi filologica fa emergere aspetti addirittura grotteschi e ridicoli nonché contraddittori rispetto alle interpretazioni suddette. Torniamo a ripercorrere tutta la scena dall'inizio: possiamo dividerla idealmente in tre fasi successive.

La prima.

Psiche accende la lampada e vede il contrario di ciò che le due sorelle avevano instillato in lei. L'emozione e anche il senso di colpa la travolgono per un istante, in cui pensa di auto punirsi per avere pensato male del marito, fino a coltivare un rapido pensiero di suicidio (mettersi il pugnale nel seno, simbolicamente significa colpirsi al cuore). L'ipotesi del suicidio tornerà anche successivamente e sarà uno dei cavalli di battaglia dell'interpretazione romantica del mito stesso. Questa prima fase viene superata e inizia la seconda. Non è più soltanto la sua bellezza che l'attira, ma il suo mondo: lo vuole conoscere e il suo sguardo si indirizza a quello che nella stanza appartiene a lui. La paura è del tutto scomparsa, Psiche ritorna in sé, esce dalla razionalità negativa che le sorelle avevano indotto in lei (e quando ne diverrà del tutto consapevole sarà giustamente crudele con loro), ritorna a quell'atteggiamento di andare incontro in modo positivo all'esperienza che era già apparsa, seppure avvolta in tutte le ingenuità e gli errori dell'età adolescenziale. È in questa fase che si dimentica della lampada e della goccia che finirà per cadere sulla spalla di lui, ma perché mai avrebbe dovuto preoccuparsene? Quella di essere visto è un'ansia di Cupido, non è la sua e nel momento di grande emozione che possiamo supporre sia in lei, perché mai avrebbe dovuto pensare a quello? Lei ritorna a seguire la sua logica, che è quella della scoperta. Se mai, dovrebbe interrogarsi sul perché il suo destino è così diverso da quello che appare superficialmente dalla sentenza dell’oracolo, ma Psiche, in questo momento, non immagina che oltre alla superficiale interpretazione di quel parere (che peraltro lei aveva già in parte abbandonato), ci sono i sentimenti di una dea (superiori per forza a quelli di una sentenza oracolare), a guidare tutto il gioco.

La terza fase è imbozzolata nella seconda e corrisponde a un vero processo di presa di coscienza, questa volta positiva e non indotta da alcuno: è lei a rendersene conto passo dopo passo. Prima il profumo di ambrosia dei capelli, poi la vista della faretra. A quel punto comprende: quello che dorme nel letto è proprio Cupido, il dio dell'amore! Quando vede la faretra e le frecce, lei sa benissimo a cosa servono e se anche non lo sapesse, chi tenta più volte con il dito la punta di una freccia, non si può sostenere che si sia punto per caso! Quello che la narrazione cerca di nascondere senza riuscirci del tutto, è che i due percorsi sono autonomi e lei, nel momento in cui si punge, compie una scelta che non è affatto indotta da Cupido, ma è una decisione sua: tanto è vero che nella situazione specifica il bello addormentato, mentre tutto ciò avviene, è proprio lui!

Si potrebbe obiettare: ma non facevano l'amore da tempo, visto che lei è addirittura incinta? Sì, ma è in questo momento che lei sceglie di innamorarsi, così come aveva fatto lui, ma con tutta l'avventatezza che abbiamo visto e la successiva incapacità di reggere la situazione che lui stesso aveva creato.

Torniamo però alle arti grafiche Perché nessuno ha sentito il bisogno di dipingere il momento in cui Psiche si punge? Penso che, in questo caso, sia all'opera una vera e propria rimozione. La scena non viene notata perché disturba la codificazione patriarcale: Psiche scegli di innamorarsi e non c'è alcun bisogno di una mediazione maschile perché questo avvenga; tanto, che lui - come abbiamo visto – è dormiente. Solo espellendo dal racconto questo passaggio si può ricostruire una versione del mito che lo irrigidisce!

Torniamo, dopo questo passaggio, a quella che è considerata la scena madre per eccellenza. Cosa accade? Emozionata dall'avere scoperto l'amore, Psiche si distrae e le sfugge che una goccia sta per cadere sulla spalla del marito, ustionandolo; certo, è un risveglio più brusco di quello della Bella addormentata! Ciò che avviene subito dopo è già stato detto, ma siamo sicuri che Cupido fugge per l'ustione? Superficialmente è così, a un secondo livello più profondo, egli scappa perché lo aveva detto chiaramente a Psiche (“non devi cercare di vedermi, altrimenti mi perdi”) e glielo ribadisce nel passaggio citato in precedenza; ma in termini moderni, questo si chiama razionalizzazione, oppure mettere le mani avanti. E se il vero motivo della sua fuga fosse un altro? Il lume non permette solo a Psiche di vedere lui, ma anche a Cupido di vedere lei! E se realtà quello che Cupido non riesce a reggere, fosse proprio il vederla? L’obiezione che in realtà l’aveva già vista, non regge, dal momento che era stata Venere a mostrargli la giovane donna: dunque, da un punto di vista psicologico, Cupido l’aveva guardata con gli occhi della madre piuttosto che con i suoi!

Pittori e scultori sono stati più bravi dei poeti nel rappresentare questo momento, perché si sono interrogati proprio sullo sguardo. Quasi tutti coloro che hanno scelto la storia di Amore e Psiche come soggetto, dipingono questa scena madre (Jacques Louis David, Appiani, Orazio Gentileschi, Luca Giordano, Raffaello Sanzio, Lorenzo Lotto, Peter Paul Rubens e altri ancora), oppure rappresentano i due amanti nel momento innocente della loro unione inconscia. Soltanto David dipinge anche Psiche abbandonata.

Canova li scolpisce in due versioni diverse, entrambe assai interessanti. Nella prima, li rappresenta alati, trionfanti e presi da un intenso erotismo; nella seconda, sono invece preadolescenti e innocenti. Rimuovendo qualsiasi accenno all'unione sessuale e trasformandoli in un archetipo dell'amore platonico, Canova scolpisce la scissione della modernità, seppure avvolta in una mirabile compostezza neoclassica.

Cosa accomuna molte delle opere che ritraggono la scena madre? L'impossibilità di vedersi. Le teste dei due amanti, infatti, sono sempre poste in modo asimmetrico, così da non potere incrociare lo sguardo dell'altro. La rappresentazione più perfetta di questa asimmetria la troviamo nel dipinto neoclassico di François Gérard. I volti dei due sono sereni, quelli di Psiche – dolcissimi – sono rivolti al volto di lui, ma chiusi come se stesse dormendo. Cupido, ritratto di profilo, ha uno sguardo assorto e leggermente incantato. È una rappresentazione, quella di Gérard, senza alcuna inquietudine, la compostezza neoclassica, nel suo dipinto, serve a rimuovere il dramma incipiente che colpirà presto i due giovani amanti.

Filologicamente e filosoficamente, pittori e scultori hanno rappresentato in modo realistico, quello che per gli antichi era un tabù, come ho già scritto: fra umani e divini non ci si poteva vedere, perché vietato! Noi, però, siamo noi e ci sentiamo autorizzati a un'altra interpretazione possibile: certamente povera rispetto alla ricchezza inesauribile del mito originario, visto che da migliaia di anni siamo ancora qui a parlarne e a scriverne! Ci è congeniale, ma ci autorizza anche l'ambivalenza del mito, con le sue incongruenze, a proporla; nel caso specifico, anche perché l'incombenza del fato medesimo non è più così funesta e inesorabile come è - per esempio - nella tragedia di Edipo. Del resto, la storia di Amore e Psiche, nella forma scritta con cui noi possiamo leggerla, è pur sempre una narrazione del secondo secolo dopo Cristo, molta acqua era passata sotto i ponti e se mai è esistita una versione orale antichissima, nella forma originaria non ci è dato di conoscerla.

Soltanto un artista s'avvicina a quella che a me sembra la vera tragedia (per noi viventi del ventesimo e ventunesimo secolo) che si consuma in Amore e Psiche e cioè l'incapacità di vedere l'altra o l'altro che ci sta davanti senza indebite proiezioni.

Il pittore è Edward Munch. Egli compie una mossa semplicissima, ma geniale: li mette l'uno di fronte all'altra. I due continuano a non vedersi ma, proprio la scelta frontale, cambia la prospettiva: non siamo più in presenza del fato, ma di qualcosa d'altro, che noi sentiamo più vicino. I due corpi nudi, di cui però vediamo solo il busto e la testa, in piedi e non sdraiati su un'alcova come sempre avviene in altri dipinti, con quel tratto così caratteristico del grande pittore scandinavo, a pennellate forti e decise ma anche irregolari, tanto che da lontano il quadro potrebbe essere scambiato per un mosaico antico ritrovato a Pompei o Ercolano, hanno perso la monumentalità neoclassica: sono fermi, ma non sono più statue. Lo sfondo è buio, la luce viene da fuori, ma è lontana, gli occhi di Psiche sono dolenti, quasi presaghi dell'irreparabile, quelli di lui non li vediamo perché è ritratto di spalle e con la testa leggermente reclinata in avanti. Il quadro di Munch anticipa la psicanalisi e l'annuncia, ma essa era già comparsa, imbozzolata nella visione romantica, che ha visto nel mito di Amore e Psiche la rappresentazione inesorabilmente scissa di due pulsioni che non possono coniugarsi. L'amour-passion (mi rifaccio alla definizione che ne dà proprio De Rougemont) è simbiotico e fusionale e richiede che entrambi non vedano come è fatto l'altro o l'altra: nel momento in cui questo accade perdono tutto. Al lato opposto, vi è il puro desiderio (amour de lonh sempre secondo il pensatore svizzero) che si contamina e si perde nel momento stesso in cui si realizza. È l'aporia che porta alla morte: o platonici, o divoranti e divorati e se si rimane dentro questo cappio non vi è scampo. Come uscirne?

Torniamo alla narrazione. Cupido ha appena abbandonato il letto nuziale e fugge. Torna, ovviamente, da sua madre, immaginando di esserne punito per averle disubbidito e dunque senza capire niente, ancora una volta, della situazione. Quando verrà a sapere cosa è successo, è su Psiche che Venere indirizzerà la sua furia! Questa interpretazione canonica, codificata in modo definitivo nella favola di Biancaneve, è tutta centrata sull'invidia e sulla perdita di appeal rispetto allo sguardo maschile: la più bella del reame è un'altra e da qui la mela avvelenata e tutto il resto.

Venere fa cercare Psiche e la costringe a tutta una serie di prove assurde, cui la povera ragazza si sottopone nella speranza di essere perdonata e di potersi ricongiungere con l'amato. Ovviamente, le prove vengono tutte superate, ma sembrano non bastare mai! Cupido, peraltro, del tutto incapace di contrastare la furia materna, lascia fare. Egli viene continuamente rimproverato da Venere, che lo tratta come un bamboccio, ma anche questo non lo smuove: l'unico dato positivo, è che sembra avere del tutto perso la propria baldanza e almeno non combina altri guai, in attesa di guarire dall'ustione.

È a questo punto che l'intero Olimpo si mobilita per cercare una soluzione ragionevole. Le prime a muoversi sono Giunone e Cerere, che cercano di far ragionare Venere con argomentazioni del tutto logiche:

“Qual peccato, signora, ha mai compiuto tuo figlio, per opporti con tanta ostinazione ai suoi piaceri?...”

Spostando l'attenzione da Psiche a Cupido, la costringono a prendere in considerazione la sua responsabiità, ma nel prosieguo, ancor più decisamente la mettono di fronte alle sue:

“Giungi fino al punto da bramare la rovina di colei che egli ama?... Non lo sai che è maschio e giovane per giunta, o davvero ti sei dimenticata l'età che ha?... Forse perchè porta bene i suoi anni, credi che esso sia sempre un ragazzino?...

Infine il colpo forse decisivo:

“Ma tu sei madre e anche donna di senno, e dunque continuerai sempre a inquisire... gli svaghi di tuo figlio? E gli apporrai a colpa.... i piaceri che sono tuoi?” (12)

Mettendola di fronte alle proprie contraddizioni, la riportano alla ragionevolezza, ma specialmente - con queste parole - si ingraziano anche Cupido, che era pur sempre quella mina vagante, cui un po' tutti avrebbero voluto mettere le briglie.

Chi pone fine al minuetto sarà Giove.

Facile vedere in questo il principio maschile che sa governare il caos del femminile indifferenziato, ma il mito non dice questo, è assai più sfumato e poi Giove è in definitiva un monarca costituzionale, non conta poi tanto, dal momento che le frecce di un adolescente qualsiasi, irresponsabile come Cupido, possono colpire lui stesso! Il Pantheon greco lascia a ciascuno la propria area di influenza, il che non esclude naturalmente che si creino situazioni difficilmente governabili, come in questo caso.

Giove invita tutti ad assumersi le proprie responsabilità e nel farlo, tuttavia, non si comporta come un dittatore che ordina, ma come un coordinatore che piano piano fa emergere le contraddizioni di cui tutti i protagonisti sono vittime, aiutato dal buon senso di Cerere e Giunone. È una logica contrattualistica quella che ispira il comportamento di Giove, ma non sanzionatoria. La distruttività dell'eros e la sua ingovernabilità sono dati per scontati; ma come contenere e governare, allora, l'ingovernabile? Non con una normativa a priori.

Nel caso del Pantheon classico, l'ingovernabile può essere ricondotto in qualche modo alla ragionevolezza solo facendo emergere la necessità del limite condiviso. Alla fine e solo alla fine, Giove compie l'unico atto che si colloca fuori dalla contrattazione e che solo lui può compiere: elevare Psiche al rango di divinità, per permettere il matrimonio con Cupido, dal momento che umani e divini non possono sposarsi.

Il mito però non si conclude come nelle favole, con il classico e vissero felici e contenti, ma in modo ben più sottile. Veniamo infatti informati che i due sposi avranno una figlia e che il suo nome sarà... Voluttà!

Tutto ricomincia dunque daccapo, ma questo non significa che si sia perso del tempo. L'eros non può essere normato, si può soltanto far valere una logica di contrattazione intelligente, ma che vale ogni volta nel caso specifico, come in una sorta di diritto consuetudinario piuttosto che scritto: una strada ben diversa da quella che prenderà il cristianesimo, anche se il messaggio non verbale di Gesù di Nazareth, come vedremo sulla scorta delle analisi acutissime di Ida Magli, lasci intendere altro.

L’eros non si può normare una volta per tutte: è questo che spaventa da sempre ogni potere religioso e politico; ma la domanda che ci si può porre è anche un'altra. Perché mai non può essere normato? Non so se esiste una risposta possibile e neppure se ne esiste una sola. Personalmente ne ho trovata una in una canzone brasiliana molto nota e che è pure diventata la colonna sonora di un film, tratto da un romanzo altrettanto noto: Doña Flor e i suoi due mariti. La canzone s’intitola Ah che sarà che sarà e non posso fare a meno di ricordarla nella interpretazione magistrale di Fiorella Mannoia, tanto magistrale che sono gli stessi autori Chico Buarque de Hollanda e Edson do Nascimento e riconoscerlo. Il testo recita così:

Ah che sarà, che sarà,/che vanno sospirando nelle alcove,/che vanno sussurrando in versi e strofe,/che vanno combinando in fondo al buio,/che gira nelle teste e nelle parole/e accende candele nelle processioni/che va parlando forte nei portoni/e grida nei mercati che con certezza/sta nella natura, nella bellezza/quel che non ha ragione e mai ce l'avrà./quel che non ha rimedio e mai ce l'avrà/ quel che non ha misura/ Ah che sarà che sarà che vive nell'idea di questi amanti/che cantano i poeti più deliranti/che giurano i profeti ubriacati/che sta sul cammino dei mutilati e nella fantasia degli infelici/che sta nel dai e dai delle meretrici/ nel piano derelitto dei banditi/che sarà, che sarà quel che non ha decenza e mai ce l'avrà/ quel che non ha censura né mai ce l'avrà, quel che non ha ragione/ Ah che sarà,che sarà, che tutti i loro avvisi non potranno evitare/ che tutte le risate andranno a sfidare/e tutte le campane andranno a cantare/che tutti gli inni insieme a consacrare e tutti i figli insieme a purificare e i nostri destini ad incontrare/,persino il padre eterno da così lontano, guardando quell'inferno dovrà benedire/quel che non ha governo né mai ce l'avrà/ quel che non ha vergogna e mai ce l'avrà, quel che non ha giudizio.

Ah che sarà che sarà, quel che non ha governo e mai ce l'avrà, quel che non ha vergogna e mai ce l'avrà quel che non ha giudizio./

Di che cosa si parla in questa canzone, bellissima ma anche misteriosa; il titolo stesso Ah! che sarà che sarà è interrogativo implicito e viene continuamente rilanciato. Naturalmente un testo complesso, sia pure di una canzone, come in questo caso (ma parliamo di canzone d'autore), si presta a molte interpretazioni: quella che scelgo la riassumo nella parola dismisura, un'eccedenza ingovernabile: vita che deborda e che non ha regola perché, come recita il testo, non ha giudizio. C'è persino in tutto questo qualcosa di osceno, parola che leghiamo troppo al sesso, mentre sta a significare proprio ciò che si mostra nella sua nudità e non se ne vergogna. La dismisura di cui si parla qui, però, non è la mancanza del limite – la hybris greca - che è un delirio di onnipotenza del tutto razionale perché trova la sua origine nel logos e nella volontà di potenza: no! Il caos rappresentato in questa canzone è il semplice e naturale debordare della vita stessa in tutte le sue forme – dalla santità al meretricio - come un fiume in piena che travolge tutti gli argini. L'eros appartiene senz'altro a questa categoria, ma nella canzone la dismisura si ammanta anche di leggerezza. Forse soltanto in Brasile poteva essere scritto un testo come questo, che sapesse essere al tempo stesso tragico e leggero, osceno nel mostrare tutto della vita e al tempo stesso così devoto!

Note

(5) Lucio Apuleio, Le Metamorfosi, o l'asino d'oro, introduzione di Reinhold Merkelbach, testo latino a fronte, biblioteca universale Rizzoli, Milano, 1977, pag. 275.

(6) In questa scena vi è una condensazione assai bella e forte di elementi. Il vento che ingravida è un motivo antichissimo ed evoca quello che effettivamente accadrà.

(7) Lucio Apuleio, Le metamorfosi, o l'asino d'oro, introduzione di Reinhold Merkelbach testi latino a fronte, traduzione di Claudio Annaratone, classici della BUR, Rizzoli Milano 1987, pag. 278-81

(8) Op. cit. pag. 281.

(9) Op cit. pag. 289

(10) Op cit. pag. 315

(11) Op. cit. pag. 313

(12) Op. cit.pp. 329-30