La Chiesa cattolica come anomalia Stampa
Rubriche - Letture e spigolature
Mercoledì 08 Febbraio 2012 17:52

di Aldo Marchetti

1 Premessa

Nella redazione di Overleft si è aperta da tempo una discussione sulle anomalie del caso italiano. Ritengo quindi utile dare inizio a una serie di interventi su questo tema che del resto è stato sviluppato, in occasione dell'anniversario dell'Unità d'Italia, da studiosi di diverse discipline, talvolta con risultati di notevole interesse. Penso, ad esempio, ai lavori di Ginsborg (Salviamo l'Italia), Cassese (L'Italia una società senza stato?), De Luna (La repubblica del dolore).

Spesso le riflessioni si soffermano sul ritardo nella formazione dello stato unitario, la partecipazione marginale del popolo, lo squilibrio tra le regioni del paese. Anche lo sviluppo industriale sarebbe avvenuto in modo stentato,Roma, 11 febbraio 1929. trascinato più dallo stato che dai capitali privati e con una carenza cronica di capacità manageriali. La formazione di una società democratica matura e di un'identità nazionale, a loro volta sarebbero state impedite da una lunga storia di divisioni e particolarismi. In questa sede mi soffermo su un'anomalia indiscutibile: quella della presenza dello Stato del Vaticano nel territorio nazionale e dell'influenza della Chiesa sulla vita civile. In nessun altro paese al mondo trova dimora il centro di  potere di una religione universale che è anche uno stato in uno stato. Nessun'altra religione è organizzata come una monarchia assoluta con a capo un pontefice che concentra su di sé tutti i poteri religiosi e che è anche un capo di governo (va aggiunto, per inciso, che nessun'altra religione si presenta, nei momenti rituali, con lo sfarzo di un'antica corte orientale come quello di cui si ammanta il papa romano. Ricordiamo che la sedia gestatoria sormontata dal flabello, la cerimonia dell'incoronazione e il trono papale sono caduti in disuso solo con papa Luciani mentre l'imposizione della tiara, simbolo della concentrazione dei tre poteri, è stata abolita a partire dal pontificato di Paolo VI ma resta come emblema sulla bandiera vaticana). Queste pagine non trattano tuttavia del problema del rapporto tra Vaticano e Stato italiano ma si soffermano su un aspetto particolare della presenza cattolica: quello dell'indebolimento progressivo dello spirito religioso e del modo in cui la Chiesa reagisce a questo processo, riorganizzando da una parte i gruppi di laici ad essa legati e accentuando dall'altra i caratteri più tipicamente conservatori della propria dottrina. In effetti ci troviamo di fronte a un paradosso. Quanto meno la religione conta nella vita del popolo tanto più la Chiesa cerca di imporsi nella vita civile e politica e quanto più la Chiesa si allontana dalla società moderna tanto più si rinchiude in sé stessa affermando il carattere più retrivo e dogmatico della sua dottrina. Ciò che si cerca di fare in queste note è riflettere, in modo del tutto iniziale, su queste contraddizioni.

 

 

2 La secolarizzazione della società italiana

Il processo di laicizzazione viene ammesso dalla Chiesa anche se alcuni esponenti della gerarchia affermano che in Italia è meno inquietante che altrove. Così, ad esempio, Benedetto XVI, da poco eletto papa, al Congresso ecclesiale di Verona del 2006, sostenne che nel nostro paese, rispetto al resto dell'Europa: “la fede rimane viva e radicata nel popolo “. Tutto è relativo, beninteso, tuttavia se guardiamo ad alcune ricerche recenti non mi sembra che l'ottimismo sia l'atteggiamento che più si addice ai rappresentanti del Vaticano. L'indagine multiscopo sulle famiglie italiane del 2009, promossa dall'Istat (su un campione di 20.000 famiglie), ha stabilito un confronto tra la frequenza alla messa domenicale nel 1993 e nel 2009. Mentre nel 1993 andava in chiesa almeno una volta alla settimana il 39,2 per cento della popolazione, nel 2009 questa percentuale si è abbassata al 32,5. Frequenta la chiesa, in genere, chi ha il titolo di studio più basso e in alcune regioni come la Campania, Puglia e Sicilia il numero dei fedeli è più elevato mentre cala in altre come la Toscana, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia. Inoltre, se prendiamo in esame i dati del Sesto rapporto sulla secolarizzazione (2010) edito dall'Osservatorio laico della “Cgil Nuovi diritti” e la fondazione “Critica liberale” notiamo che nel periodo che va dal 1991 al 2008 i divorzi sono aumentati da 23.000 a 54.000. Parallelamente sono più che raddoppiati i matrimoni civili: da 10.000 a 25.000. Se nel 1991 si sposava in chiesa l'82 per cento delle coppie ora queste sono scese al 63 per cento. Infine calano i battesimi al di sotto di un anno che si sono assestati al 71 per cento. E' vero che alcuni bambini vengono battezzati più tardi ma resta il fatto che nell'Italia, che viene dichiarata paese cattolico, il 20 per cento dei nati non viene battezzato. La separazione tra Chiesa e società, tuttavia, non si manifesta solo con la diffusione di comportamenti tipici di un mondo laico ma coinvolge anche il più ristretto popolo dei credenti. Un recente sondaggio ha mostrato un crescente distacco proprio da parte dei suoi fedeli. I credenti e praticanti che esprimono fiducia e confidenza nell'istituzione ecclesiastica sono passati dal 59,2 nel 2000 al 47,2 per cento nel 2010. Un dato ancor più significativo riguarda la fiducia nel papa dove si è passati da un 77,2 nel 2003, con Wojtyla, a un secco 46 per cento nel 2010 con Ratzinger. A tutto questo possiamo aggiungere che anche le donazioni dell'8 per mille sono in calo sia per il numero dei donatori che per  la cifra complessiva erogata.

Se le chiese si stanno svuotando e le pratiche religiose perdono importanza lo si deve anche alla diminuita presenza del prete nella società italiana. Secondo le ultime rilevazioni, nel 2006, i sacerdoti diocesani in Italia erano 33.409. Nel 1978, anno della morte di Montini e Luciani, erano 41.627 ovvero il 25 per cento in più. Secondo i dati della Conferenza italiana dei superiori maggiori (Cism) pubblicati nell'Annuarium statisticum, il calo dei sacerdoti religiosi è stato ancora più drastico: da 21.500 nel 1978 a circa 13.000 nel 2007. Il 40 per cento in meno. E a preoccupare il papa di Roma non è solo il calo dei sacerdoti ma anche la loro età anagrafica: nel 2003 l'età media del clero italiano era attorno ai 60 anni, con un 13 per cento di ultraottantenni, mentre solo il 19 per cento aveva meno di 40 anni.

Il crollo delle vocazioni del resto è un fenomeno che non riguarda solo il nostro paese. Secondo i dati dell'Annuario statistico della Chiesa curato dall'Agenzia Fides l'intero continente  europeo segna una diminuzione del numero dei sacerdoti (i sacerdoti religiosi in Europa sono diminuiti di 478 unità solo tra il 2005 e il 2006). Le vittime si contano in tutti gli ordini religiosi dai francescani, ai gesuiti, ai salesiani, ai domenicani. Un'altra ricerca condotta a metà anni Novanta ha accertato che tra il 1965 e il 1995 le vocazioni religiose sono diminuite pesantemente in sei tra i maggiori paesi del vecchio continente (-81% in Olanda, -54% in Gran Bretagna, -68% in Francia). Sulla dimensione globale, nello stesso periodo, i seminaristi sono aumentati solo in Asia e Africa  mentre sono diminuiti in America, Europa e Oceania. La Chiesa resiste insomma nel “Sud del mondo”, o meglio in una sua area, ma è in crisi da tutte le altre parti.

Sotto ogni aspetto la Chiesa cattolica romana può dunque ritenersi in una fase storica di recessione di fronte a un diffuso processo di secolarizzazione e alla concorrenza aspra di altre religioni o sette religiose molto attive ovunque ma soprattutto in America del Nord, America Latina e nei paesi del ex blocco sovietico. Un altro fenomeno che la sta minacciando è il sincretismo religioso, la tendenza cioè alla creazione di nuove religioni, di profetismi parareligiosi e movimenti carismatici che traggono ispirazione allo stesso tempo da diverse religioni già esistenti o mescolano pensiero religioso e magico. Si tratta di  esperienze molto diffuse soprattutto in Asia e nell'Africa sub-sahariana. Con tutto ciò in Italia la Chiesa cattolica dimostra una presenza attiva e un'influenza politica che non sono diminuite e che appaiono, per alcuni versi, più forti che nei decenni scorsi. Ciò è dovuto in buona parte alla scomparsa dei partiti laici. In passato i partiti comunista, socialista, radicale, repubblicano e liberale potevano vantare salde radici laiche se non atee (in alcuni casi come quello del partito radicale si aggiungeva una certa dose di militanza anticlericale). Possiamo ricordare che Loris Fortuna, quando nel 1970 propose il progetto di legge per la legalizzazione del divorzio, era un deputato socialista. Il progetto lo presentò assieme al deputato liberale Baslini ottenendo l'appoggio del Pci, Pli, Partito radicale e delle altre formazioni della sinistra. Oggi questi partiti non esistono più così come non esiste il partito antagonista cioè la Dc. I cattolici sono presenti per diaspora in tutti i partiti e lo stesso Pd per la sua composizione interna pensa a tutto tranne che a venire a contesa con Santa Romana Chiesa. I problemi etici come quelli della contraccezione, del testamento biologico, delle coppie di fatto, del matrimonio degli omosessuali, casomai creano imbarazzanti divisioni all'interno di ogni partito e la presenza di un'area laica la si avverte solo per le attività di pochi gruppi, per una certa reviviscenza di iniziative editoriali (il movimento per lo sbattezzo, la casa editrice “Kaos” o la rivista “L'ateo” sono solo alcuni esempi) e per le prese di posizione di singoli personaggi (Ciampi, Scalfari, Bocca, sino a che è vissuto, tanto per fare qualche nome).

 

3 La presenza organizzata: dall'esercito di leva all'esercito di professione

Ma la Chiesa non trae forza solo dalla debolezza dei potenziali avversari ma anche da un profondo cambiamento nella militanza cattolica. Sinteticamente possiamo dire che si è passati dal modello dell'Azione cattolica a quello di Comunione e liberazione. L' Ac (attentamente studiata a suo tempo da Gramsci) è stata, lungo tutta la sua storia, un movimento di difesa della religione contro le “pretese” del modernismo, del liberalismo e del comunismo, considerati come pericolosi concorrenti sul piano del controllo sociale. Il vecchio inno di Ac, cantato nelle chiese ancora all'inizio degli anni '60, suonava nelle sue conclusioni: “Bianco padre che da Roma/ ci sei meta luce e guida/ in ciascun di noi confida/ su noi tutti puoi contar/ Siam gli arditi della Fede/ siam gli araldi della croce/ a un tuo cenno, a una tua voce/ un esercito all'altar”. Già un esercito! Ma bisogna aggiungere che si trattava di esercitò di leva, cioè di massa, che come tale ha svolto un ruolo rilevante di diga (cioè di tutela dei valori “autenticamente cristiani”) durante il periodo fascista e negli anni della guerra fredda ma che di fronte ai profondi cambiamenti successivi ha perso mordente e credibilità. L'Azione cattolica nei primi decenni del dopoguerra vedeva aumentare ogni anno le adesioni e nel 1964 raggiunse il numero imponente di 3 milioni e mezzo di iscritti, ma da quel momento cominciò anche la sua rapida decadenza che la portò dieci anni dopo, nel 1974, a registrare solo 600.000 tessere. Alcuni fanno dipendere questo declino dall' “improvvida” apertura della Chiesa verso il mondo esterno, manifestata dal Concilio vaticano II, ma è assai ragionevole pensare che tutto il clima culturale e politico di quel periodo abbia contribuito al tramonto di una organizzazione che aveva ormai concluso la sua parabola storica. Del resto anche la ben più agguerrita Gioventù studentesca di don Giussani subì pesanti contraccolpi dallo spostamento a sinistra che in quegli anni coinvolse l'intera società. A differenza di Ac don Giussani capì che i tempi erano cambiati, che bisognava ripartire da criteri del tutto diversi e si ispirò, per la creazione di Cl, alle sette religiose del Nord America, all'Opus Dei e, in una certa misura, almeno agli inizi, alle modalità operative dei gruppi della sinistra extraparlamentare. Bisognava partire dalla convinzione che i cattolici erano ormai minoranza in una società in buona parte laicizzata (Giussani era solito ripetere: “La casa sta bruciando”) e che i valori cristiani andavano promossi non già con  il solo esempio ma con un apostolato militante e aggressivo. In un mondo minacciato dall'ateismo la pura testimonianza del vangelo non bastava, era necessario occupare tutti i posti di potere nelle scuole, nella sanità, nelle imprese, nei sindacati e nei partiti. I valori in cui si credeva venivano certo proposti ma quando non erano accolti andavano possibilmente imposti. Così avvenne che una grande organizzazione a carattere prevalentemente difensivo, e ormai troppo permeabile agli influssi della cultura circostante, passò il testimone a una formazione chiusa, settaria, fondata su due pilastri di eguale portanza: quello della disciplina interna a carattere totalitario e quello della massima spinta all'occupazione degli spazi di potere politico ed economico. In modo molto schematico, e restando all'interno della metafora militare, si è passati da un esercito di leva (utile alla difesa del territorio) a un esercito di professione (di dimensioni ridotte ma capace di operare in un teatro dove viene richiesta la presenza offensiva di personale specializzato).

Nei decenni '70 e '80  tra Ac e Cl la competizione e la polemica sono state aspre e continue. Ma alla fine la vecchia Azione cattolica ha visto confermata in modo irreversibile la sua decadenza. Negli anni '90 si è trasformata da “associazione privata di fedeli” in “associazione pubblica di fedeli” (secondo norme di diritto canonico poco accessibili all'uomo comune) accettando di ricevere finanziamenti ecclesiastici ma rinunciando allo stesso tempo all'autonomia che la contraddistingueva. Alla fine, nel 2004, anche le dispute tra le due maggiori organizzazioni furono messe a tacere con la famosa riconciliazione di Loreto. In quell'occasione venne anche ribadito per ambedue il principio dell'obbedienza alla gerarchia romana.

Su Comunione e liberazione esistono ormai studi e riflessioni approfonditi (Molto interessante è il libro di Ferruccio Pinotti, La Lobby di Dio, Chiare Lettere, 2010) e spesso è stato messo in rilievo il suo carattere fondamentalista, la sua volontà di conquista, il suo spirito settario, lo stile capzioso e invadente dell'attività di proselitismo. Attraverso la pratica sistematica e disinvolta delle raccomandazioni e del mutuo sostegno tra i suoi membri Cl ha fatto proprio e ha dilatato  in forma inusitata il clientelismo cioè uno dei mali storici della società italiana e un modus operandi che contrasta con ogni principio di giustizia sociale e di efficienza. La sua forza tuttavia non consiste nel numero che non è particolarmente elevato (Si stima che in Italia gli aderenti a Cl non superino i 100.000, mentre è presente in 70 paesi con altri 50.000 affiliati circa) ma nella compattezza dell'organizzazione e nella capacità di penetrazione nei più diversi spazi sociali. Non avrebbe  l'importanza che ha se non avesse fatto nascere da una sua costola la Compagnia delle opere fondata  ufficialmente nel 1986, presente in Italia con circa 34.000 imprese e diffusa in altri 17 paesi. Secondo lo statuto la Compagnia: “E' un'associazione imprenditoriale di rilevanza nazionale e non lucrativa” ma subito dopo si aggiunge che è nata: “per una migliore valorizzazione delle risorse umane ed economiche, nell'ambito di ogni attività esercitata sotto forma di impresa, sia profit che non profit”. E' stata più volte messa in evidenza la contraddizione tra la finalità non lucrativa e l'esercizio di attività imprenditoriali profit, ma incongruenze come questa non tolgono certo il sonno ai dinamici imprenditori della Compagnia. Dinamici e anche spregiudicati come sappiamo dalle numerose avventure giudiziarie in cui la Compagnia è stata coinvolta: dall'inchiesta del procuratore di Catanzaro De Magistris, che prefigura una vera e propria tangentopoli del Sud con al centro la Compagnia delle opere, all'affaire Oil for Food che ha sfiorato il governatore della Lombardia Formigoni, sino ai corsi di formazione fantasma di Padova, ecc.

Cl è l'organizzazione cattolica che più fa parlare di sé ma, come abbiamo detto, la sua è più una forza dovuta al modello di militanza che al numero. Altre associazioni che fanno meno notizia sono assai più numerose. L' Acli conta circa 900.000 iscritti ma le sue file erano assai più folte nei decenni scorsi mentre ha visto un notevole calo di adesioni più o meno nello stesso periodo dell'Azione cattolica; il movimento dei focolarinì vanta 580.000 affiliati; quello dei neocatecumenali 250.000. Altri movimenti sono di dimensioni più ridotte ma di forte presenza in alcune aree del paese come la Comunità di S. Egidio, l' Agesci, la stessa Opus Dei, nata in Spagna ma presente anche in Italia e in altri settanta paesi.

In definitiva, se consideriamo le organizzazioni cattoliche nel loro insieme, non si può dire che raccolgano più adesioni degli anni '50 e '60. Hanno vissuto in passato  la stessa crisi di tutte le organizzazioni sociali di massa a carattere ideologico-politico ma sono riuscite a sopravvivere e, almeno in parte, a rinnovarsi. Tuttavia le minoranze attive nelle parrocchie e nelle diocesi sono attualmente le uniche rimaste e sono ormai prive di concorrenza data la fine delle organizzazioni politiche laiche giovanili come la Fgci o l'Ugi e l'esaurirsi della spinta laica dei tradizionali partiti politici.

 

4 Alcune osservazioni sulle tendenze attuali nella Chiesa di Roma

E' evidente a tutti come negli anni recenti la Chiesa di Roma si sia sempre più orientata verso  il recupero della tradizione, l'affermazione del primato di Roma, la critica e il rifiuto dei valori della modernità e come, con l'elezione di Ratzinger al soglio pontificio, questo processo abbia subito una vistosa accelerazione. Può essere utile quindi ricordare alcune tappe di un tragitto che senza dubbio vedrà ulteriori sviluppi in futuro..

La riconciliazione con il vescovo scismatico Lefebre è stata una delle prime preoccupazioni del neoeletto Benedetto XVI. A dire il vero l'impresa era già stata messa sui binari giusti grazie alla mediazione del cardinale Castrillon Hoyos che non mancò di rilevare come il vescovo dissidente, pur sbagliando nel suo rifiuto del concilio, manifestava istanze di fedeltà alla tradizione che erano ampiamente condivisibili. Le opinioni del cardinale coincidevano del tutto con quelle di Ratzinger che appena diventato papa si affrettò a revocare la scomunica a Lefebre e ai quattro vescovi da lui consacrati comminata dal suo predecessore Giovanni Paolo II. Il fatto importante è che l'accordo di pace con il vescovo francese è avvenuto nell'ammissione dell'importanza delle posizioni da egli espresse e quindi nel contesto del ridimensionamento dei valori espressi dal concilio. Di fronte al vero problema dell'eclissi del sacro nel mondo contemporaneo la piena riconciliazione con la Fraternità  lefebriana equivale al recupero da parte di tutta la Chiesa della tradizione secolare che era stata da sempre difesa dal vescovo scismatico. Al prelato francese e ai suoi seguaci vengono benevolmente concessi i benefici della buona fede e il riconoscimento di un'alta spiritualità. Viceversa non ci sono nessuna comprensione e nessun apprezzamento verso quei teologi della liberazione latino americani la cui pericolosità il papa continuò a denunciare, ancora nel dicembre del 2009, ai vescovi brasiliani giunti a Roma per la visita ad limina poiché: “Le sue conseguenze fatte di ribellione dissenso, offesa, anarchia, hanno creato nelle vostre comunità diocesane, grande sofferenza”. Da quel momento l'opera di sostituzione dei vescovi sudamericani vicini alla teologia della liberazione, o sospetti tali, con vescovi conservatori ed obbedienti avrà un carattere determinato e sistematico.

Al riconoscimento delle posizioni anticonciliari del vescovo Lefebre corrisponde poi in Benedetto XVI un costante richiamo alla Chiesa di sempre con il suo bimillenario insegnamento che altro non è se non l'affermazione dell'indiscussa immutabilità delle sue posizioni e del  suo magistero. In lui come osserva più volte Giovanni Miccoli nel suo recente libro La Chiesa  dell'anticoncilio (Editori Laterza, 2011) si manifesta un: “convinto rifiuto di prendere realmente la storia come ambito su cui misurare i percorsi, le acquisizioni e le deformazioni del messaggio di cui si rivendica il possesso, una impossibilità quasi di accettare l'idea di una storicità della verità e dei percorsi di conquiste e di approfondimento della verità”. Secondo le stesse parole del papa  bisogna anzi andare contro l'indeterminatezza e la mutabilità proprie delle ipotesi storiche. Se la campagna contro il relativismo è uno degli aspetti più marcati del magistero di Ratzinger questa va intesa quindi come il diniego del dispiegarsi storico dei fenomeni culturali e religiosi e come l'affermazione della separazione della Chiesa cattolica dalla storia. Questo atteggiamento mentale assume dimensioni inquietanti quando inaugurando il 13 maggio 2007 la V conferenza generale dell'episcopato latino-americano Ratzinger si riferisce con queste parole all'accettazione della fede cristiana da parte degli abitanti di quei paesi: “per essi ha significato conoscere e accogliere Cristo, il Dio sconosciuto che i loro antenati senza saperlo cercavano nelle loro ricche tradizioni religiose”. Per l'attuale pontefice, in altre parole, l'annuncio di Gesù e del suo Vangelo non ha comportato in alcun modo la distruzione delle culture precolombiane e l'imposizione sanguinosa di una cultura straniera. Un'impresa d'inaudita violenza  della quale la religione cattolica è stata non solo un utile strumento ma la ragione conclamata si trasforma nelle parole di Ratzinger in un pacifico e amorevole incontro. Si scivola beatamente (Ai roghi dei manoscritti Maya, organizzati dall'Inquisizione in Messico, presto si associarono quelli dei capi Indios che non si piegavano alla conversione religiosa) su tutti i crimini commessi in Sud America all'ombra della croce. Come afferma Miccoli: “La manomissione e la mutilazione della storia diventano strumento apologetico di auto affermazione ma eludono questioni essenziali che proprio la storia non può non porre al presente” ( Miccoli p. 325).

E' proprio dalla negazione della storia che prende avvio nella concezione di Ratzinger il ridimensionamento del significato del Concilio vaticano II che proprio alla storia aveva aperto uno spiraglio. L'attenzione ai segni dei tempi, che era stata posta al centro della riflessione di tutto il concilio, era infatti il riconoscimento della mutevolezza e della pluralità dei fenomeni sociali e culturali con i quali la Chiesa si proponeva di misurarsi. Papa Ratzinger non può certo rinnegare il concilio anzi ripete spesso che la Chiesa deve restarne fedele, ciò che può fare  invece è storcerne il messaggio e promuovere una interpretazione che ne faccia dimenticare gli aspetti più innovativi. In una sua lettera ai vescovi, successiva alla revoca della scomunica di Lefebre, come ci ricorda Miccoli, egli ha voluto affermare, contro le tesi della discontinuità e della novità del messaggio del concilio, la tesi che “Il concilio porta in sé l'intera storia dottrinale della Chiesa e che non bisogna forzarlo. Credo sia difficile- aggiunge Miccoli- non parlare al riguardo di semplificazioni e di forzature, espressione di quella sovrana noncuranza per la storia che costituisce un aspetto caratteristico del magistero di Benedetto XVI”  (Miccoli p. 352).

Un terzo aspetto caratteristico del pontificato di Ratzinger, oltre al ripiegamento verso la tradizione e l'opposizione alla storia, è rappresentato dalla centralità della figura del papa e del dovere di obbedienza che ogni membro della gerarchie e ogni fedele sono tenuti a dimostrargli. Solo nella assoluta obbedienza al pontefice infatti si ha la garanzia della piena ortodossia della dottrina cattolica contro le deviazioni e gli errori cui la comunità dei credenti si espone nel suo rapporto con il mondo profano. Del resto, nel ribadire con una certa frequenza questi concetti, Ratzinger non fa altro che proseguire su una linea dottrinale che aveva sempre promosso quando rivestiva la carica di prefetto per la Congregazione per la dottrina della fede, come si ricava da una sua Notificazione del 1998 in cui affermava che: “la potestà del papa nella Chiesa non è solo suprema piena e universale, ma anche immediata su tutti sia pastori che altri fedeli, e tutti nella Chiesa, pastori e fedeli, devono obbedienza al successore di Pietro”. Si tratta come si vede di un'ulteriore chiusura di spazi, quelli, appena abbozzati dal concilio, verso una maggiore collegialità e un coinvolgimento dei laici nella riflessione teologica e nell'elaborazione della dottrina della Chiesa. Ci si potrebbe chiedere a questo punto a quale papa bisogna obbedire se due di questi, succedutisi al soglio di Pietro, esprimono opinioni diverse, per esempio sul rapporto tra Chiesa e storia. Se fossimo fedeli dovremmo credere in ciò che dice Giovanni XXIII o in ciò che afferma Benedetto XVI? Ma la risposta la conosciamo. Solo Ratzinger, illuminato dallo Spirito, ha la potestà di interpretare ciò che è stato affermato da Roncalli illuminato dallo Spirito. In una Chiesa che sta fuori dalla storia non esisteranno mai differenze di opinione ma sempre un'inalienabile continuità di pensiero.

Da queste posizioni non può scaturire nulla innovativo nemmeno nel rapporto tra Chiesa e mondo laico. La chiusura del mondo cattolico nel guscio della conservazione rende alquanto difficile l'incontro tra Chiesa ufficiale e, poniamo, un laico che, mosso semplicemente da curiosità, volesse prestare attenzione a ciò che oggi la religione dice. In questo contesto il dialogo infatti assume connotati del tutto peculiari che sono stati spiegati  molto bene dal vescovo di Trieste Giancarlo Crepaldi in un recente libro intitolato “Il cattolico in politica”. ( Ed. Cantagalli, 2010) Afferma il prelato, che passa per essere uno dei massimi esperti di dottrina sociale della Chiesa: “E' possibile e necessario quindi un nuovo incontro tra cristiani e laici, a patto che la laicità accetti di essere liberata dalla Fede cristiana dalla pesantezza del relativismo” (Crepaldi p. 20). In altre parole il dialogo è possibile a condizione che uno dei due interlocutori accetti a priori le posizioni dell'altro. Si scorge in questa sconcertante affermazione, come in tutto il libro di Crepaldi, la paura da cui è stata colta la Chiesa nei decenni scorsi, un periodo in cui ritiene veramente di aver corso il rischio di venire snaturata e corrotta dal mondo profano. Questa paura è ancora presente e spiega molti degli attuali atteggiamenti della gerarchia cattolica. Non sappiamo se le opinioni di Crepaldi siano condivise dall'intera compagine gerarchica ma la prefazione al libro per firma del cardinale Bagnasco non lascia molta speranza.

 

5 Conclusioni

Riduzione dell'influenza nel mondo contemporaneo, rifugio nella tradizione, desiderio di rivalsa e difesa delle prerogative del pontificato sono aspetti della vita della Chiesa compresenti e che si richiamano a vicenda. La Chiesa reagisce al suo indebolimento accentuando la volontà di conquista e affilando allo stesso tempo gli strumenti apologetici. A volte in questo duplice movimento manifesta una certa dose di arroganza. Come quando chiede che nella Costituzione europea vengano affermate le radici cristiane dell'Europa. Per una Chiesa romana che ha condannato tutto ciò che la cultura europea ha prodotto dalla fine del Medio evo a oggi (dalla scienza all'illuminismo, dall'evoluzionismo al liberalismo, dal modernismo al marxismo, dalla democrazia all'emancipazione femminile e degli omosessuali) si tratta di una bella prova non sappiamo se di coraggio o di improntitudine. Forse sarebbe bene ricordare alla Chiesa che ha perduto e continua a perdere seguito, che le sue pretese di egemonia religiosa e morale hanno sempre meno spazio e che la spirale nella quale si sta avviluppando di maggiore chiusura di fronte alla continua emorragia di consensi non giova a lei, a chi crede e, in definitiva, anche a chi non crede.