di Franco Romanò
Dalle opere di Uwe Timm e Jürgen Schreiber, pur diverse fra di loro emerge tutta la complessità e la tragicità della storia tedesca ed europea del ‘900. Sullo sfondo della grande storia agiscono e muoiono personaggi estremi, degni di una tragedia greca.
In the books written by Uwe Timm and Jürgen Schreiber, although very different, rises the complexity and the tragedy of the German and european history of the Twentieth Century. On the background of the great history, border line characters act and die, as in an ancient greek tragedy.
Di Uwe Timm lessi L'amico e lo straniero, dedicato alla prima vittima degli scontri sociali degli anni '60 e '70 in Germania: lo studente universitario Benno Ohnesorg, ucciso dalla polizia durante una manifestazione a Berlino in occasione della visita dello scià di Persia Reza Pahlevi.Sono due libri assai diversi, ma accomunati dall'essere profondamente radicati nella storia tedesca. Il primo è un romanzo - Penombra - l'ultimo di Uwe Timm pubblicato in Italia da Mondadori. Il secondo è la biografia di Monika Ertl, ricostruita con pazienza certosina da Jürgen Schreiber, nel libro dal titolo La ragazza che vendicò Che Guevara. Storia di Monika Ertl, Nutrimenti editore.
Mi colpì la struttura ad affresco. La vita di Benno, spezzata dalla pistola di un agente, veniva ricostruita con le parole degli altri studenti alla Freie Universität e in questo modo la memoria di lui s'intrecciava alla storia di quegli anni.
Ancora di più, la storia ritorna prepotentemente in Penombra, la storia tedesca fino alla caduta del muro; ma per quello che la Germania è stata per l'Europa intera, nel bene e nel male, è evidente che riguarda tutti.
Lo spunto narrativo iniziale è tanto semplice quanto potentissimo. Il narratore, Timm stesso, visita un camposanto, accompagnato dalla guida, il Grigio. Il cimitero non è qualsiasi, ma Die Invaliden e cioè il luogo dove stanno sepolti la maggior parte degli eroi, delle eroine, ma anche dei dannati della storia tedesca. Fra l'altro, proprio nella sua area si svolsero gli ultimi combattimenti della Seconda Guerra Mondiale e dopo le distruzioni fu addirittura diviso dal Muro.
Generali di campo di Otto von Bismarck si alternano a capi della Gestapo come Heyndrich, colui che mise a punto tecnicamente la soluzione finale. Il narratore ha uno scopo primario nel visitare il cimitero: è attirato dalla storia di una donna assai particolare, vuole vederne la tomba per questo.
Il narratore e il Grigio, modernissime incarnazioni di Dante e Virgilio, s'incamminano fra i viali del camposanto e al loro passaggio i defunti cominciano a parlare, ma diversamente che nella commedia: non solo dialogano con i due visitatori, ma anche fra di loro e i due vivi a loro volta discutono, litigano, mugugnano. Prende così corpo una narrazione corale in chiaroscuro, la barriera
fra vivi e morti diventa a ogni riga più labile; il lettore non sempre capisce chi stia parlando a chi, ma è la commistione fra rinvenimento del frammento - la singola tomba con il suo ospite parlante - e il mosaico di storia che nasce dagli intrecci, a creare una tensione continua. Non solo la storia politica, ma ma anche quella sociale e del costume. La tomba che il narratore cerca la individuano subito, ma una voce li distrae con una battuta. Entra così in scena Miller, una sorta di Zelig che parla e poi s'interrompe in continuazione. Si tratta di un fantasista, diremmo oggi, anche se lui si riteneva attore: faceva pure l'imitazione di Hitler e Göring si divertiva moltissimo quando Miller imitava proprio lui. La sua è una figura intermedia fra il narratore e il Grigio, una specie di pettegolo che sa tutto di tutti o finge si sapere, con la sua arte trasformistica. La battuta di Miller ci riporta alla donna sulle cui tracce il narratore si è posto e inseguendo lei arriviamo in Giappone. Il fantasista s'intromette di nuovo, s'intuisce si era invaghito di quella donna, almeno nella fantasia e ne parla infatti in termini entusiastici:
Era coraggiosa... dotata di un eroismo soave, io l'ammiravo come nessun'altra donna... Per tre volte partì per continenti diversi....
Lei è Marga von Etzdorf, fa parte di quella schiera di donne temerarie e leggendarie, protagoniste dell'emancipazione femminile a cavallo fra '800 e '900. Antropologhe, scrittrici viaggiatrici come Karen Blixen, esploratrici, scalatrici. Lei è un'aviatrice, fra le prime a sorvolare gli oceani e a saltare in aereo da un continente all'altro. Il volo è un altro dei temi che scorrono nelle vene del romanzo: quintessenza del futurismo, della potenza umana capace di divorare lo spazio. Marga fu la prima tedesca a sorvolare l'Atlantico e la sua fu una vita avventurosa e tormentata, sempre in bilico fra accettazione di sé e rifiuto. Anche come aviatrice la scambiavano spesso (ironia della sorte) per la rivale Amy Johnson, una pilota inglese temeraria quanto lei, che percorreva più o meno le stesse sue rotte, arrivando spesso per prima.
Insieme a Marga un altro protagonista è Christian von Dahlem, ex pilota di caccia della Prima Guerra Mondiale. Si conoscono in Giappone dove lei è atterrata dopo un volo rocambolesco. Lui è un diplomatico di alto rango, almeno formalmente, perché in realtà è un agente dei servizi segreti. Quando s'incontrano von Dahlen è appena tornato dalla Cina dopo una missione riservata; intanto, nella discussione si inserisce un altro.
Volava per la Germania dice la voce di un giovane. Non era forse l'epoca della grande umiliazione?.... Ma chi è che blatera così?
Maikovski. Non sta molto lontano dalla Erzdorf. La sua tomba l'hanno spianata.
Il giovane Maikovski era un membro delle SA e probabilmente per questo la sua tomba è stata spianata. Il suo ricordo, però, non è del tutto preciso perché quando arriva in Giappone per la prima volta Marga non vola per la Germania ma soltanto per sé.
Al suo arrivo non c'è posto in albergo e von Dahlem le offre di ospitarla nella sua stanza.
Inizia fra loro è uno strano rapporto. Dormono separati da una tenda, ma in realtà si raccontano per la notte intera le loro vite, ma specialmente parlano del volo e delle nubi.
...l'elica è l'invenzione geniale che insieme all'aereo e alle ali rende possibile l'impossibile.... Soggiogate la terra, dice la Bibbia. Nessun'altra attività lo dimostra quanto il volare. Il volo vale la vita.
Un discorso pieno di entusiasmo.
Sì, lei è un po' incline alla poesia e all'enfasi. Un discorso simile a quello di Pericle per gli ateniesi caduti.
Un discorso che tenne in una piccola località della Pomerania, dice il Grigio.
Lei è attratta da lui, ma non accade nulla: rifiuto da parte di von Dahlem, omosessualità non dichiarata da parte di entrambi o di uno solo dei due? Il dubbio non viene sciolto.
La vita che lui le racconta è intrisa di storia tedesca e di battaglie aeree memorabili con i caccia inglesi durante la Prima Guerra Mondiale. La grande storia entra in modo indiretto, come nel primo romanzo di Uwe Timm, tramite personaggi importanti, ma in qualche modo subalterni rispetto al grande potere che deve prendere le decisioni che contano. Insieme alla voce di Dahlen e a quella di lei si sentono quelle di altri che a udire il racconto s'inseriscono con la loro di testimonianza, li contraddicono, si accapigliano!
Da una tomba all'altra emerge un altro tema: il fascino che i tedeschi hanno per la cultura giapponese. È qualcosa che viene prima dell'alleanza bellica durante la seconda guerra mondiale, affonda in un sentimento comune difficile da decifrare.
Infine, come è ovvio che sia, è la tragedia della Shoah, il nazismo con tutto il suo carico di orrori e lutti, a percorrere come un fiume carsico il romanzo intero. Sfilano tutti i personaggi più importanti della tragedia, non sempre colti nel loro lato peggiore, ma senza alcuna condiscendenza: Heyndrich che non aveva alcun senso dell'ironia, Göring il ciccione pericoloso e potente che sapeva ridere di sé.
È sempre Miller a parlare di loro e così riusciamo a capire qualcosa di più su di lui, che nell'entourage nazista ci bazzicava eccome anche se è sempre difficile distinguere fra racconto e millanteria. Lo trattavano per quello che era: un giullare, gli chiedevano di intrattenerli con i suoi numeri. Lui, come tutti gli untuosi che bazzicano il sotto potere, li odia e li disprezza, ma non poteva fare a meno di loro.
IL FRAMMENTO E LA SINFONIA
La narrazione non segue la cronologia degli eventi, ma li mescola, salta temporalmente dalla Germania Guglielmina alla DDR: dipende dalla tomba del momento, ma tutto finisce per intrecciarsi in modo sottile, nulla è lasciato al caso. Marga, l'eroina della prima parte del '900, ritorna nella seconda parte del secolo come una Sfinge. Infatti, dice il Grigio:
Dopo l'unificazione, il Muro venne abbattuto, ma ora, ai piedi di Marga von Etzdorf, ne hanno ricostruito un pezzo. Blocchi di cemento armato, dipinti di grigio, a una distanza di neanche tre metri, e lei per così dire guarda questo pezzo di muro.
Le due parti spezzate e dolenti della storia tedesca si specchiano in questa descrizione sobria ma densissima di significati.
Penombra è un romanzo polifonico e strutturalmente lo si può paragonare a un poema sinfonico. Al prologo segue la proposizione dei temi, che vengono annunciati per intero nelle prime 80 pagine del libro: successivamente essi vengono ripresi e dunque svolti, con variazioni e cambi di ritmo anche se il tono di fondo è dolente, mai retorico: solo quando ricostruisce certe atmosfere militari, specialmente durante la Prima Guerra Mondiale, il linguaggio si fa più aspro e amaro: quando, per esempio, descrive il riposo dei guerrieri fra bordelli e feste surreali, alcol e altro.
Non mancano siparietti comici e grotteschi: la morte di un Generale di fanteria, per esempio, aiutante di campo dell'Imperatore.
Fu un enorme scandalo nel 1908. Il Generale morto nel guardaroba di Sua Altezza la Principessa di Fürstenberg!
Storie sordide si alternano ad atrocità, a eroismi piccoli e grandi e poi di nuovo Marga e Dahlem a inseguirsi fra un contenente e l'altro senza che nulla accada fra di loro. Il loro amore è sublimato in una frase che lei ripete sempre: il volo vale la vita.
Se è proprio così Marga la perderà nel modo peggiore.
Sono tre gli incidenti nei quali si è imbattuta, uscendone sempre illesa sul piano fisico o quasi: l'ultimo, però, le costa l'ostracismo dell'ambiente. Nessuno vuole più darle un aereo, quando in precedenza erano un po' corsi tutti a offrirgliene uno: da un generale giapponese che prova nei suoi confronti una venerazione capace di superare qualsiasi prova, alle grandi fabbriche del settore che vedono in lei un'ottima donna immagine per sponsorizzare (si direbbe oggi), i propri velivoli.
Il tempo passa e, fra un incidente e l'altro, Marga, poco prima del 1933, viene contattata dai nazisti, che in lei vedono una grande risorsa.
Finora hai volato per te stessa ….. ora volerai per la Germania, per la riscossa del nostro popolo.
Lei aderisce, ma fino a che punto? Non si sa. Certo che loro, i nazisti, ne sono convinti. Pare che Hitler, ormai assediato nel bunker nel 1945, abbia persino detto:
Se I tedeschi fossero stati tutti come Marga i russi non sarebbero arrivati a Berlino.
Leggenda o meno, lei finisce prima della tragedia finale, in modo più prosaico. Commette quello che sembra essere il solo errore veramente imperdonabile per un pilota: atterrare col vento a favore. È questo che le costa lo sfascio del suo ultimo velivolo. Si salva, ma qualcosa dentro di lei si rompe, oppure si era già rotto di fronte al rifiuto di Dahlem di una relazione con lei, o a fronte della responsabilità troppo grande di cui i nazisti vogliono caricarla per la sua giovane età. Si spara nella toilette dell'albergo dove viene ricoverata dopo l'incidente e siamo proprio nel 1933, quando Marga ha 25 anni.
La versione ufficiale della sua morte non convince tutti, però; ci sono strane incongruenze nei rapporti di polizia. Nei resoconti giornalistici insieme alla pistola con cui si sarebbe uccisa compare una misteriosa mitraglietta. Bisogna considerare che l'incidente era avvenuto a Beirut, controllata dai francesi, che autorizzavano i voli sul territorio libanese solo a condizione che a bordo non ci fossero armi.
Contrabbando d'armi?
Sì, aveva con sé persino un listino prezzi. Munizioni. Istruzioni per l'uso.
E Dahlem c'entrava qualcosa?
Dahlem era parecchio abbottonato riguardo alle sue imprese eroiche,.... agli amori e anche ai suoi affari, intervenne Miller, non si sapeva mai bene cosa stesse facendo.
Il mistero a questo punto si complica, forse fra le cause del suicidio ci sta pure l'essersi sentita usata da quell'uomo che non la voleva, per qualche traffico illecito; ma è sempre Miller, il giullare, a raccontare tutto questo: si può credergli? Però non c'è più tempo per le speculazioni.
Con la morte di lei si chiude anche il giro negli Invaliden che con lei era iniziato e si torna alla realtà. Il Grigio si rivolge al narratore:
Il volo vale la vita?
Forse.
Io penso di no.
Chi lo sa.
Potrebbe essere andata così dice il Grigio. Si è fatto tardi. Adesso bisogna che lei vada. Orario invernale. Tra poco si chiude il cancello.
UNA RAGAZZA TEDESCA
Monika Ertl, figlia di Hans e di Aurelia Frey, nasce a Monaco nel 1937. Nel 1953 la famiglia emigra in Bolivia e si stabilisce a La Paz per un breve periodo: con Monika ci sono le sorelle Heidi e Beatrix, detta Trixi. La madre e le tre figlie piccole verranno abbandonate dal padre nella foresta boliviana, dove l'uomo ha acquistato una tenuta agricola dal nome sinistro e profetico: la Dolorida.
Per comprendere qualcosa di più di questo inizio della storia, sarà bene abbandonare Monika, sedicenne quando la famiglia emigra, per tornare al padre. Chi è questo signore? Una figura assai complessa, un uomo d'ombra, mimetico e carismatico, brutale, ma non in modo appariscente. Al grande pubblico, specialmente tedesco, è noto come scalatore, esploratore e documentarista.
Hans Ertl, nato nel 1908 e morto novantaduenne nel 2000, esordisce come tecnico cinematografico: è l'operatore prediletto di Leni Riefensthal, la celebre regista del Terzo Reich. Con lei, l'uomo gira documentari e film di propaganda. Alla fine della guerra se la cava, subisce un processo, ma infondo lui è un nazista 'normale', non ha commesso crimini. Sono altre le ragioni che lo portano a scegliere la Bolivia. Nella nuova Germania non si riconosce, in crisi d'identità e con quel passato (seppure lui non ebbe mai in tasca la tessera del partito nazionalsocialista), si sentiva del tutto sradicato. Quanto alla natura estrema che lui ama, essa è ormai lontana dall'Europa; è il culto della vita avventurosa a spingerlo nella foresta boliviana e a questo sacrifica tutto, figlie e moglie.
Il passaggio da La Paz è fondamentale per capire l'evoluzione di Monika: la ragazza ha seguito buoni studi, sia in patria sia lì. Nella capitale boliviana gli Ertl vengono accolti nella comunità tedesca, dove nessuno chiede chi sia l'altro che incontra. Un personaggio misterioso avrà una parte importante nella vita della famiglia: Klaus Altman, un nome come Bianchi o Rossi per intenderci. Lei, ancora giovanetta, lo chiama lo zio Klaus e Schreiber non ci dice subito di chi si tratta.
Monika cresce in fretta e nel chiuso della comunità di La Paz comincia a interrogarsi sulla storia tedesca, sui personaggi che circondano il padre, sulle frequentazioni altolocate di questi esuli che intrattengono rapporti con uomini di governo e militari: persino Hugo Banzer, il dittatore boliviano, è di casa dagli Ertl. Lo zio Klaus è un collaboratore dei servizi di sicurezza e ne ha ben donde dal momento che è davvero uno che se ne intende! Dietro la bonomia dello zio di famiglia si nasconde niente meno che Klaus Barbie, il boia di Lione e Hans, il padre di Monika, lo sa, ma si guarda bene dal dirlo.
La figlia, però, comincia a porre interrogativi ai quali lui risponde distrattamente: per il resto è una giovane donna bellissima, adorata dalla comunità tedesca, di cui finirà persino per sposare un giovane rampollo nel 1958, senza dire nulla al padre e questo sarà per l'uomo motivo di una prima solenne arrabbiatura: il marito però si chiama Hans, come il genitore....
L'inizio della loro storia è tutto un equivoco, sottolineato da una frase folgorante pronunciata da Monika quando lui le chiede la mano:
“Veramente avrei preferito essere la tua amante piuttosto che tua moglie!”
Il loro matrimonio ha qualcosa di surreale e sarebbe davvero difficile immaginare un uomo più sbagliato di lui accanto a una donna inquieta e dalla personalità prorompente come quella di Monika.
Quando si sposa, infatti, la ragazza ha già fatto un tirocinio che farebbe invidiare qualsiasi maschio avventuroso.
Insieme alle figlie Heidi (16 anni) e Monika (17), Hans Ertl organizza una spedizione nella jungla alla conquista del Cerro Paititi, una montagna di 3150 metri, praticamente inesplorata. La notizia verrà amplificata dai servizi di Der Spiegel, anche perché l'impresa è sponsorizzata dalle più importanti industrie tedesche. Fu una spedizione memorabile e che fece scalpore (il peso del bagaglio era di quattro tonnellate). Le parti s'invertono. Lui, Hans, è il regista, le figlie, ma in particolare Monika, è l'operatrice che filma i momenti salienti: nelle sue pagine di diario la figlia parlerà di marce forzate di 14 ore di seguito, ma si soffermerà anche sulla natura con osservazioni acutissime. Hans parlerà entusiasticamente di questa avventura e quando tornano dirà orgoglioso della figlia:
“Monika sa sparare come un maschio.”
Non era la prima volta che il padre si esprimeva nei confronti di lei in questo modo. Lui, infatti, avrebbe preferito avere anche un figlio e invece gli erano capitate solo figlie e così aveva deciso che, almeno una di loro, maschio dovesse diventarlo per decreto paterno e la scelta era caduta sulla prediletta.
Regis Debrè, tuttavia, ribadirà in un'intervista lo stesso concetto:
Sapeva essere mascolina più di un vero macho... Non aveva mai paura...
Anche lei non è da meno nel costruire l'immagine di se stessa: sappiamo dai suoi diari che catturava i pirahna e li friggeva in padella, che iguana di oltre un metro finivano in pentola insieme a tartarughe d'acqua catturate con l'arpione. Filma con mano ferma animali feroci e serpenti. Anni dopo, nella guerriglia, avrebbe messo a dura prova gli uomini che combattevano con lei, usando il tabacco da fiuto per prevenire le malattie della jungla e aumentare la propria resistenza.
La parentesi da esploratrice non interrompe il suo cammino di indipendenza e con quel tirocinio alle spalle, può affrontare qualsiasi sfida.
Monika ha già capito che dal padre saprà poco o nulla della storia tedesca, ne discute con le sorelle ma specialmente ne viene a capo da sola, comincia a sospettare della comunità di La Paz, matura in lei la convinzione di dover riscattare la vergogna nazista. Il ritiro alla Dolorida, la tenuta nel mezzo della selva, l'allontana da La Paz ma le permette anche di prendere contatto con l'esistenza miserabile dei contadini boliviani; la loro miseria la spinge a collaborare all'insaputa di tutta la famiglia (a parte la sorella Trixi), con associazioni cattoliche umanitarie. Presto si rende però conto che non basta tutto questo, l'oppressione e le ingiustizie sono troppo grandi.
Ancora incerta sul da farsi, su di lei si abbatte nell'ottobre del 1967 l'evento storico che determinerà da quel momento in poi la sua vita.
La cattura e l'assassinio di Che Guevara avviene nel villaggio di la Higuera; bisogna considerare che, in linea d'aria e tenuto conto del fatto che la tenuta della Dolorida ha un'estensione vastissima, è come se fosse avvenuto alle porte di casa.
Monika sceglie la guerriglia, ma tutto questo avviene ancora nel suo intimo, sebbene cominci a muovere i primi passi concreti in quella direzione. Nel 1969 è pronta per il grande salto e proprio in quell'anno avviene l'ultimo colloquio drammatico con il padre: lei cerca addirittura di convincerlo a creare un campo di addestramento all'interno della Dolorida. Hans, che aveva proiettato sulla figlia prediletta il suo immaginario distorto e umbratile, scopre improvvisamente di non conoscere la figlia: la rivelazione lo annienta, di fronte a lei la sua temerarietà scompare. Non possono capirsi, eppure nella scelta di lei di cercare di portarlo dalla sua parte, c'era come un richiamo estremo rivolto a quel padre che non si era mai occupato delle figlie se non per trascinarle dentro la propria vita, senza minimamente preoccuparsi della loro e di quella della moglie, precocemente morta di cancro mentre lui era lontano in Germania. Lui, un autistico dei sentimenti, risponde nel modo peggiore e cioè cerca di convincerla razionalmente che la guerriglia boliviana non può vincere: ci vuole altro per domare una furia come Monika! Infine, quando si rende conto di non avere alcuna influenza residua su di lei, si mette addirittura a dare consigli su come farla la guerriglia! Indica la strada della ricerca di mercato e dell'inchiesta, prima di muoversi!
Sono consigli molto tedeschi, osserva Schreiber ironicamente, poi Hans si spinge anche oltre:
Negli slum dovete andare se davvero volete combinare qualcosa di buono!
Il paradosso è che la guerriglia lo farà davvero! Da quando l'ELN aveva abbandonato la giungla dopo l'uccisione del Che e si era radicata nelle città i rapporti di forza erano cambiati e la guerriglia poteva contare anche su appoggi all'interno dell'esercito.
Monika decide di scomparire. Schreiber descrive questo passaggio decisivo della sua vita abbandonando un po' lo stile del documentarista, irretito lui stesso (ed è difficile non esserlo anche da parte di chi legge), dalla personalità di questa donna lontana dall'ordinario:
Nessuno la portò a vincere i suoi timori: fu lei stessa a imporselo. Fece più strada del padre, percorrendo a piedi seicento chilometri... Di qui Monika cominciò la ricerca a tentoni e poi la battaglia per la propria indipendenza. Non rincorreva più il tesoro degli inca, ma il senso della vita... aveva preso dal padre acume e coraggio, in una sovrabbondanza tale che aveva indotto già lui all'errata conclusione di ritenersi invulnerabile. A modo suo anche Monika fu strappata dall'alveo dell'ordinario, proprio come era accaduto al regista scalatore prima di lei...
Raggiunge così l'ELN e cambia il proprio nome: d'ora in poi non sarà più Monika Ertl, ma Imilla, che nella lingua indigena significa semplicemente ragazza indiana. Diventa la compagna di Inti Peredo.
Nel frattempo stanno accadendo tre cose importanti: la guerriglia si rafforza a La Paz e uccide i componenti del commando che aveva catturato Che Guevara: tutti tranne uno, che segnerà definitivamente la vita di Monika. Infine, in Europa, è scoppiata una ribellione che dilaga nell'intero continente. Imilla torna clandestinamente in Germania, è già una militante riconosciuta e apprezzata della guerriglia boliviana, inviata nel continente europeo per cercare alleanze lontano dalla sua patria di elezione. Lei, però, ha pure un obiettivo tutto suo: vuole capire se i suoi coetanei studenti universitari fanno sul serio oppure no. Le sembra di sì, anche se l'incontro con uno di loro – Reinhart, che fra l'altro è il fratello del marito - la deluderà, mentre lui ne sarà segnato per la vita. Incerto se cercare di dissuaderla o seguirla, l'uomo non farà né una cosa né l'altra e anni dopo ripeterà sconsolato: “Ebbi paura.”
Ad Amburgo, Imilla entra in contatto con la Comune Babeuf sita in Schlüterstrasse, dove si parla molto di lotta armata.
Mentre lei è lontana cade in combattimento Inti Peredo e accanto al suo cadavere compare trionfante un uomo che lei aveva già imparato a conoscere: Roberto Quintanilla Pereira, detto Totò, capo dei servizi di sicurezza boliviani. È l'uomo che aveva coordinato la cattura del Che, che ne aveva a mozzato le braccia e che si era fatto fotografare accanto al cadavere. Le sue imprese non finivano qui: Quintanilla aveva catturato anche Regis Debrè. Un boia sadico, addestrato da Klaus Barbie, ma anche narcisista. La scena si ripete: Totò, incurante della propria sicurezza e pur sapendo che tutti gli altri del commando sono già stati uccisi dalla guerriglia, si fa fotografare anche accanto al cadavere di Peredo. Per Imilla è troppo: dopo il Che anche Inti, il suo uomo. Si propone come attentatrice di Quintanilla, che è stato da tempo condannato a morte dall'ELN boliviano.
Nel frattempo, però, anche il governo è preoccupato del protagonismo di Totò Quintanilla e decide che la sua onorata carriera di torturatore può terminare con una promozione, naturalmente il più lontano possibile dalla Bolivia: dove? Ad Amburgo come console onorario! Come nella tragedia di Edipo, quanto più si pensa di allontanarsi dal pericolo, tanto più si cade nelle sue braccia; ma nessuno può immaginare in quel momento che una giovane donna tedesca è stata incaricata di portare a termine l'uccisione del commando che catturò il Che! Il padre, infatti, ha taciuto, Monika è semplicemente scomparsa, Imilla non è un nome noto alla polizia e ai servizi di sicurezza, Hans non ha rivelato alle autorità boliviane il contenuto dell'ultimo colloquio con la figlia: cominceranno a sospettare di lei molto dopo, quando s'accorgeranno che alla Dolorida c'è un campo di addestramento della guerriglia perché Imilla, contravvenendo al divieto paterno, ce lo ha organizzato davvero a sua insaputa! Sarà quando gli agenti dei servizi di sicurezza si presenteranno a casa Ertl chiedendo spiegazioni che Hans cadrà dalle nuvole. Il sospetto su di lei è però ancora generico, tanto che le autorità boliviane le indicano una via d'uscita: si consegni e avrà salva la vita. Tutto inutile, nessuno tranne Trixi - forse - sa dove lei si trovi, ma alla sorella minore nessuno chiede di recapitare la proposta delle autorità boliviane a Monika. L'avrebbe rifiutata di certo se a farla fosse stato il padre, ma se fosse stata lei, la sorella con cui non ha mai rotto i rapporti? Forse l'esito sarebbe stato identico ma ciò che colpisce in questa storia è che da un certo momento in poi, tutti sembrano andare incontro al loro destino con una rassegnazione da antica tragedia greca.
Hans, così deciso e avventuroso, si arrenderà alla fine della figlia prediletta come un agnello sacrificale: intratterrà rapporti con la dittatura boliviana persino dopo l'uccisione di lei. Trixi e Heidi glielo rimprovereranno sempre, così come di non avere neppure chiesto dove fosse sepolta Monika; ma Hans Ertl è un autistico dei sentimenti!, da sempre. Peraltro, quando le due sorelle chiederanno al governo tedesco di attivarsi per ritrovare la salma di Monika, le autorità opporranno un rifiuto netto.
Sono i servizi segreti cubani a scoprire che Totò Quintanilla è console ad Amburgo e da quel momento il suo destino è segnato. Peraltro, l'uomo è talmente strafottente che non ha neppure una scorta, crede che sia sufficiente l'immunità diplomatica; ma è solo la punta dell'iceberg della sua avventatezza, come vedremo!
La mattina del primo di aprile del 1971 Imilla entra nella sede del consolato sito nella Heilwigstrasse al 125 con un travestimento e un passaporto australiano: ha un appuntamento con il console per ottenere un visto per la Bolivia. C'è un imprevisto però: quella mattina Totò arriva in ufficio con la moglie, peraltro il loro appartamento è proprio lì a fianco dell'ufficio, ma di solito lui è solo. Imilla non si perde d'animo, gli spara mentre la consorte è fuori dalla stanza, ma i colpi la fanno tornare. Fra le due donne vi è una violenta colluttazione, Imilla perde la pistola ma riesce a fuggire, anzi a dileguarsi letteralmente e sarà per anni un vero e proprio rompicapo quello della sua scomparsa.
Chi mette gli inquirenti sulla pista giusta per capire dove sia finita è il console della repubblica dominicana, che ha la sua sede contigua a quella del consolato boliviano; ma la sua testimonianza non viene presa in considerazione, forse perché suggerisce indirettamente una risposta troppo semplice. Anche la pistola non suggerisce nulla agli inquirenti: una volta accertato che si tratta di una calibro 38, un po' anomala per un attentato, viene depositata negli uffici della polizia di Amburgo e tutti se ne dimenticano. Il profano si sorprenderà di questo, ma quando i responsabili della polizia saranno chiamati a giustificare il loro operato daranno una risposta di assoluto buon senso. Sapendo per esperienza che le armi usate in un attentato sono state rubate e hanno tutte il numero di matricola abraso, è del tutto inutile occuparsi di esse: ciò che occorre fare, se mai, è indagare dove siano avvenuti recentemente dei furti di armi e cercare di seguire il percorso compiuto dalla pistola. Gli inquirenti lo fanno ma non trovano nulla: per la seconda volta la riposta è troppo semplice e non viene in mente a nessuno.
Soltanto un mese dopo, un poliziotto incaricato di fare un po' di ordine nei reperti rinvenuti sul luogo dell'attentato, riprenderà in mano l'arma e salterà letteralmente sulla sedia: ha un regolare numero di matricola, è una pistola legale! Infatti è stata acquistata in un'armeria di Gardone Val Trompia, sul lago di Garda e appartiene a Giangiacomo Feltrinelli. Dall'editore italiano, però, non è così facile risalire a Monika Ertl e infatti l'inchiesta sull'uccisione di Quintanilla si conclude con un atto di accusa contro ignoti e un mandato di cattura internazionale nei confronti di Feltrinelli per responsabilità oggettiva. Solo dopo la scoperta che alla Dolorida qualcuno ha organizzato un campo di addestramento per la guerriglia si comincia a sospettare che sia proprio lei l'attentatrice, poi si scoprono i suoi spostamenti insieme a Feltrinelli che, non essendo ancora accusato di nulla, gira tranquillamente con i propri documenti. Si viene così a sapere che hanno dormito a Zurigo in due alberghi vicini pochi giorni prima dell'attentato. Probabilmente è proprio Feltrinelli ad accompagnarla con la propria auto in Germania ed è lui stesso a consegnarle l'arma. La certezza, tuttavia, la si avrà solo decenni più tardi quando queste circostanze saranno sostanzialmente confermate da Chato Peredo e da Carlo Feltrinelli.
Quanto alla scomparsa di Monika, il mistero non è stato chiarito, ma Schreiber, avvalendosi di alcune testimonianze, seppur reticenti per il timore di trascinare in processi persone i cui reati eventuali non sono ancora prescritti, ci fa capire tra le righe come siano andate le cose.
Per comprenderlo bisogna tornare alla testimonianza, non presa in considerazione, del console della repubblica dominicana. L'uomo, essendo a sua volta un agente dei servizi segreti, si rende conto subito che quelli che ha udito provenire dallo stabile a fianco il suo sono degli spari. Si precipita alla finestra e rimane lì per un bel po'. Agli inquirenti dirà due cose decisive: che in strada non c'era nessuna auto ad attendere chicchessia e che – cosa ancor più importante – nessuno è uscito dal consolato boliviano a distanza di molti minuti dall'attentato. Manca un ultimo passaggio e la storia, da questo momento in poi, entra in una zona d'ombra che ha dell'incredibile.
Gli inquirenti pensano tutti che l'attentatore debba per forza essere venuto dall'esterno del palazzo e infatti le prime indagini s'indirizzano su un uomo di colore e una donna che si erano visti nei paraggi del consolato proprio quel mattino. Si rivelerà una pista del tutto inconsistente e causerà un grande perdita di tempo. Nessuno considera l'altra eventualità e cioè che l'attentatrice si trovasse già all'interno del palazzo e fosse lì in visita a qualcuno. Non solo: ma agli inquirenti sfugge un'altra circostanza molto sospetta. Totò Quintanilla viene ucciso il giorno prima del suo ritorno in Bolivia e sono in pochissimi a saperlo: ce n'è quanto basta per immaginare che ci sia una talpa all'interno dell'edificio. Nessuno, tuttavia, interroga i residenti del palazzo; soltanto due giorni dopo e con scarso acume i poliziotti suoneranno a qualche porta. Altro particolare: il travestimento di Imilla era particolarmente vistoso ed era molto più semplice pensare che avesse trovato da cambiarsi in qualche luogo all'interno. Il profilo dell'attentatore, nell'immaginario degli inquirenti, deve per forza essere straniero e invece non solo Imilla, ma anche i sui complici sono tutti europei, molti dei quali tedeschi. È il palazzo la soluzione, non soltanto perché all'ultimo piano dello stabile c'è una soffitta con la porta sempre aperta, ma addirittura perché al secondo piano dello stabile, sopra il consolato, c'è un appartamento che è una comune di contestatori: un porto di mare dal quale tutti entrano ed escono a piacimento senza dire chi sono e come sono capitati lì. Non è certo la Comune Babeuf, dove furono progettati alcuni attentati, ma è pur sempre un covo di contestatori. Sono talmente convinti che l'attentatore non sia tedesco che nessuno va a perquisirli. Ad anni di distanza ex terroristi o militanti che vogliono rimanere nell'anonimato rendono a Schreiber una testimonianza che sembra togliere ogni dubbio: anzi, nell'ambiente dell'estrema sinistra amburghese, era di moda affermare: “Quelli della Heilwiegstrasse ne avevano avuto di fegato!”
In sostanza, Imilla, dopo aver compiuto l'attentato e dopo essersi liberata del travestimento nella toelette, sale al piano superiore e si nasconde lì, poi con tutta calma, attraverso dei camminamenti fra tetti e cortili, scompare.
Ritorna a Cuba e poi in Cile e di lì di nuovo in Bolivia per riprendere la guerriglia. Le cose però sono cambiate: i rapporti di forza sono di nuovo favorevoli al governo, molti dirigenti sono stati uccisi o catturati, altri sono fuggiti nel Cile di Allende. Imilla si trova a essere leader dell'ELN in una condizione disperata, ma non demorde. In pochi mesi riesce a far stampare di nuovo il quotidiano clandestino della guerriglia e l'impresa le risulterà fatale. Essendo tutti arrestati o morti o in esilio i leader in grado di farlo, i servizi di sicurezza capiscono che lei è tornata: solo Imilla può aver ridato fiato alla guerriglia ma specialmente al giornale, dal momento che ormai i militanti ancora in vita sono indios semi analfabeti. Imilla resiste due anni a La Paz, rifiutando per ben due volte l'invito che i compagni esuli in Cile le rivolgono, di abbandonare il campo e attendere tempi migliori. Accetta di farlo quando è ormai troppo tardi e nessuno riesce più a farla uscire dalla jungla di La Paz. Braccata insieme ai pochi che le sono rimasti a fianco, viene uccisa dalle forze di sicurezza nel 1973.
Le versioni sulla sua morte sono contrastanti: secondo alcuni fu lo stesso Klaus Barbie a tenderle una trappola, Schreiber però non condivide del tutto questa tesi e propende maggiormente per una soffiata proveniente da ambienti indio corrotti dalla prospettiva di incassare la taglia posta su di lei. Pur non essendo chiarissimo nello spiegare questa sua tesi, penso che Schreiber abbia le sue buone ragioni per affermarlo, ma che non le possa rivelare del tutto.
Il padre, come già detto, non fece nulla per rintracciare la salma della figlia, semplicemente farà porre una lapide con il suo nome nel cimitero di La Paz, una lapide che è in realtà una grande pietra che l'uomo si era portato a casa come ricordo delle sue spedizioni e che assomiglia - ma non credo che la circostanza fosse evidente per lui - alle pietre che si vedono accanto alle tombe nei cimiteri ebraici.
IL PASSATO CHE NON PASSA
Questa espressione fu usata anni fa per criticare aspramente gli storici revisionisti tedeschi e non, come per esempio Ernst Nolte: non i negazionisti, di cui non vale la pena di spendere una sola parola, ma anche coloro che, a una distanza di un tempo che parve loro ragionevole, provarono a non accontentarsi più del giudizio canonico dato sul Terzo Reich e la Seconda Guerra mondiale, ma misero sul tappeto altri punti di vista e fatti che parvero a loro modificare tale paradigma. Gli storici esistono per questo e anche se la storia non insegna nulla alla politica se non in senso molto lato, come ormai possiamo tranquillamente constatare, tuttavia non ne possiamo fare a meno, come non possiamo fare a meno delle fotografie di famiglia che ci ritraggono anni addietro e di cui ci stupiamo di tutto: come erano gli abiti, le pettinature ecc. ecc., senza mai pensare a quanto siano ridicole o disperate le fogge del presente.
Del resto sarebbe pure molto ingenuo ritenere che fra 500 anni i giudizi su Hitler, Stalin, Churchill, Roosevelt e via seguito saranno uguali ai nostri. Giulio Cesare non se la cava male a distanza di tempo, ma la conquista della Gallia costò un milione di morti, una cifra che statisticamente, vista la popolazione del tempo, credo sia più imponente dello sterminio degli ebrei. Il tempo, più che galantuomo, è un potente narcotico.
Questi due libri, pur nella loro diversità, offrono una risposta molto più sottile alla questione del passato che non passa. Forse ci dimostrano che non può passare, almeno finché i suoi effetti sul presente risultano ancora così vistosi; ma anche il decidere che tali effetti non operano più è in definitiva una scelta politica, mentre se viene lasciata soltanto allo scorrere del tempo essa non fa altro che accumulare problemi di cui alla fine non si conoscono più le radici e le origini.
Gli storici revisionisti hanno affondato le mani in una materia ancora troppo incandescente, è evidente che anche coloro che lo hanno fatto in perfetta buona fede e scrupolo professionale, non si sono resi conto che era ancora troppo presto. Forse, però, la storia europea attuale, che rischia di avvitarsi di nuovo intorno ai propri eterni conflitti irrisolti, dovrebbe spingerci a ragionare di più proprio su questa drammatica coazione a ripetere. Anche per questo considero importanti questi due libri pur così diversi.
La potenza dell'opera di Timm sta nel far parlare i morti come se fossero vivi e con tutto il loro bagaglio di determinazione. I nazisti parlano ancora da nazisti e così tutti gli altri: il cimitero di Timm è un luogo di sublimi pettegoli, di testimoni tragici, di eroi e di macchiette, ma anche di eroi che in certi momenti sono state macchiette. Fissati per sempre nella loro verità ultima e vanità, essi incarnano perfettamente la storia che non passa. Timm non cerca sintesi né spiegazioni: narra per frammenti, ricostruisce lasciando che ogni reperto rimanga al suo posto. Il mosaico che alla fine ne viene fuori è una rappresentazione plastica dell'accaduto, senza giudizio; non nel senso che l'autore non sia schierato da una parte, perché Timm lo è, seppure nel modo obliquo dell'artista, che le cose le vuole guardare con un altro occhio rispetto a quello dello storico o del militante. La mancanza di giudizio cui mi riferisco è quella che appartiene ai grandi tragici che sanno raccontare l'irriducibilità del conflitto o della contraddizione, come modernamente sembra più appropriato dire, affidandosi non alla spiegazione razionale, ma al compatire insieme della catarsi, cioè al rivivere le stesse esperienze ma in modo traslato e cioè sulla scena teatrale. Il cimitero Die Invliden è un teatro nel romanzo di Timm e, sebbene mi renda conto che la proposta è un po' folle, un Ronconi che mettesse davvero in scena questo testo nel cimitero stesso, con gli spettatori che lo seguono fra le tombe, farebbe qualcosa che davvero assomiglierebbe all'antica tragedia e forse potremmo sperare anche nella catarsi; perché è proprio questa che ci manca nella modernità.
Il procedimento di Schreiber è completamente diverso, anzi opposto a quello di Timm. La sua è un'inchiesta, condotta con gli strumenti dell'investigazione: il suo modello narrativo è addirittura il romanzo giallo e alla fine i conti devono tornare, il colpevole deve essere affidato ai rigori della legge e tutti tirano un respiro di sollievo. L'inchiesta è per definizione razionale: anche quando non approda a nulla tale nulla deve avere comunque il crisma della razionalità. Tuttavia, Schreiber è anche scrittore e intellettuale, non è uno scribacchino di libri gialli e infatti alla fine i conti non tornano. Egli non nasconde la sua simpatia per Monika-Imilla, anche se gli costa molti imbarazzi, perché Schreiber non è un pentito della lotta armata, ma un uomo che l'ha rifiutata da quegli anni, quando erano in molti a pensarci. Per di più, egli è pure molto critico (e con molte ragioni), su quegli anni e specialmente sui comportamenti disinvolti della sinistra radicale tedesca. Tuttavia, la storia di questa stralunata Antigone teutonica, che si pone come vendicatrice ma che in realtà porta se stessa a un destino segnato di morte per le colpe del padre, come fu Edipo per Antigone, ci colpisce perché il procedimento seguito dall'autore è proprio quello dell'inchiesta. La sproporzione fra il canone narrativo scelto e la forza del personaggio e degli eventi entrano in contraddizione e creano un gorgo tragico, un vero e proprio nodo gordiano. Sappiamo dalle prime righe come va a finire, come in un testo che abbiamo già letto e riletto, eppure a ogni passaggio è come se ci aspettassimo ugualmente che qualcosa d'altro possa accadere e lo sgomento che ci coglie nel ritrovare puntualmente la ripetizione, è identica a quella provata la prima volta. A me accade solo con le grandi tragedie: Edipo per esempio! Mi riscopro a ogni nuova lettura a pensare sempre dentro di me con sgomento: ma perché non si accorge che sta andando proprio dove non deve andare? E persino di sperare che non lo faccia. E invece tutto si compie sempre.
Mi sono domandato, alla fine della lettura di questi due libri, se vi sia da cercare da qualche parte una qualche possibile catarsi. Ne vedo solo una possibile ed è ancora una volta il mito a suggerirmela.
Monika Ertl Imilla non è mai stata veramente sepolta, ma solo rimossa dalla storia. Evo Morales, attuale presidente della Bolivia, è un indio, la sua vittoria e il riscatto del suo popolo dopo secoli di atroci sofferenze, è appena iniziato: è così irragionevole chiedere a lui un atto che, senza giudicare responsabilità ed errori, permetta semplicemente di dare a questa donna una onorata sepoltura? |