di Laura Cantelmo
Ingeborg Bachmann – Paul Celan , Troviamo le parole, Lettere 1948-1973, nottetempo, Roma 2010
Due poeti, Paul Celan (1920-1970) e Ingeborg Bachman (1926-1973), due amanti, che hanno fatto delle parole la loro ragione di vita. La loro relazione, nata nel 1948, è in gran parte di carattere epistolare e procede in un'alternanza di strappi e riconciliazioni. Talvolta parole inadeguate interrompono il flusso delle emozioni e dell'affetto, e tra loro piomba il silenzio. Ogni amore a distanza si nutre principalmente di parole, che possono trasformarsi in armi subdole e devastanti. I due amanti ne cercano altre e altre ancora, per medicare l'errore, per cancellare il malinteso, per curare le ferite che nell'amore cercavano lenimento.
La pubblicazione in italiano del loro epistolario costituisce un documento di grande intensità umana, confermando lo spessore artistico e speculativo di due persone i cui sentimenti sono stati profondamente segnati dalla storia del loro tempo.
La felicità sprizzante dai primi incontri a Vienna, poco dopo la tragedia bellica e la Shoa, è destinata a durare poco. Testimoni ed essi stessi vittime, su fronti diversi, della devastazione provocata dal nazismo, comprensibilmente entrambi soffrono di lacerazioni dovute a fraintendimenti e profonde, insondabili contraddizioni. Ebreo bucovino, Paul, sopravvissuto all'Apocalisse, è macerato senza remissione dal dolore per non essere riuscito a salvare i suoi cari dalla deportazione e dallo sterminio. Lei, austriaca, di sei anni più giovane, porta dentro di sé come “prima ferita mortale” l'ingresso delle truppe hitleriane nel suo paese.
Paradossalmente, dunque, per ambedue la lingua madre è il tedesco, che per Bachmann è la lingua degli invasori, per Celan quella dei carnefici.
La scrittura non certo facile di Celan, scaturita e alimentata dalla complessità di un vissuto travagliato, trova voce solo attraverso il linguaggio traslato della poesia, mediante la polisemia dei termini, l'azzardo delle immagini, la torsione sintattica. A cementare la loro intesa vi è la condivisione dell'idea di poesia in cui l'amore è visto come come tenzone: laddove la “straniera”, la donna amata, secondo la lezione dei Minnesinger (i cantori d'amore tedeschi del dei secoli XII e XIII ), pur se con un'accentuazione dell'amore fisico, è per lui fulcro di vita, in Ingeborg si ritrova specularmente il richiamo alla lirica d'amore petrarchesca di “Lieder auf der Flucht - Canti durante la fuga” (in Anrufung des Grossen Bären - Invocazione all'Orsa Maggiore).
Di per sé un epistolario tratta materiale intimo, delicato e pertanto libero da formalità, godendo di una spontaneità espressiva che riesce a illuminare il cupo abisso da cui nasce la scrittura di Celan e apre squarci anche su quella non facile di Bachmann, che pure si poneva come fine utopico il contatto con il lettore.
Sappiamo quanto a lungo la tragedia del popolo ebraico e quella di tutte le vittime della persecuzione nazista siano state taciute o minimizzate, quanto i protagonisti di quella tragedia si siano spesso chiusi nel silenzio di fronte all'indicibile, favorendo addirittura il negazionismo storico. In Celan ciò si traduce in una lotta con se stesso concentrata sul”dire”, sul rivelare il non detto attraverso la poesia, forma espressiva, a suo parere, dialogica per sua natura, ma inevitabilmente ancorata ai suoi fantasmi interiori, al punto che il mistero di certe sue immagini non può che essere frutto di un inconscio incapace di trovare pace. Si percepisce perfino che il fascino personale e la bellezza fisica di Paul, pur favorendone il successo con l'altro sesso nonché i suoi riconoscimenti letterari all'interno degli ambienti letterari non solo parigini, di cui a lungo farà parte, non riescono ad alleviare il tragico fardello che la storia gli ha gettato sulle spalle.
Dalle sue lettere emerge con crescente intensità la certezza di essere vittima designata di una persecuzione di carattere razziale ogni giorno più ossessiva, tanto da rendergli intollerabile qualsiasi critica mossa alla sua poesia.
Centrale nelle lettere il tema del “tempo”, secondo una catena semantica rivelatrice della poetica celaniana: il tempo come memoria , il tempo come sospensione della memoria, il tempo come momento in cui rivelare al mondo la propria intima verità e quella del proprio popolo. (v. “Corona “ in Mohn und Gedächtnis -Papavero e memoria : “noi ci amiamo come papavero e memoria,/ noi dormiamo come vino nelle conchiglie,/...// Noi stiamo allacciati alla finestra, dalla strada ci guardano:/ è tempo che si sappia!/ E' tempo che la pietra accetti di fiorire,/ che l'affanno abbia un cuore che batte./ E' tempo che sia tempo.// E' tempo.”
Così come il continuo rimando alla deportazione in Todesfuge- Fuga della morte suona come apotropaica invocazione alla poesia come antidoto all'incubo attraverso la rievocazione del massacro: “la morte è un Mastro di Germania il suo occhio è azzurro/ egli ti coglie col piombo ti coglie con mira precisa/nella casa vive un uomo i tuoi capelli d'oro Margarete/egli aizza i mastini su di noi ci fa dono di una tomba nell'aria/...”
Alla critica meschina e tendenzialmente negazionista che lo accusava addirittura di speculare con i suoi versi sulla morte dei famigliari e finanche allo scrittore e drammaturgo svizzero Max Frisch, legato per qualche anno a Ingeborg, che si era espresso con una certa sufficienza sul suo dramma , Celan rispondeva con toni sempre più veementi ed angosciati di sentire tutto ciò come profanazione della tomba della madre e delle altre vittime dei lager. In tali circostanze Bachmann cercava penosamente di mediare, di attenuare ogni fraintendimento, affermando costantemente l'eccellenza della poesia di Celan.
Le dichiarazioni di abbandono da parte di lui, che tanto dolore e profferte di eterno amore suscitano in Ingeborg, dicono che l'aspirazione alla vita e all'amore non riesce a realizzarsi poiché strozzata dall'incombente senso di morte.
In questo gioco al massacro ogni rapporto affettivo finisce per sgretolarsi lasciando in Celan spazio a una disperazione che travolge lui, la moglie, il figlio giovinetto e Ingeborg stessa, soggetta da tempo a ricorrenti crisi depressive .
Uno spazio breve, ma di grande nobiltà ed eleganza di comportamento, è occupato dalle lettere scambiate tra Bachmann e Gisèle de Lestrange, la francese sposata da Celan nei primi anni '50, persona di eccezionale delicatezza e magnanimità di fronte al perpetuarsi del forte legame tra Paul e Ingeborg. La donna intrattiene con Bachmann un carteggio in termini molto civili e affettuosi, anche dopo il suicidio del marito, il cui stato d'animo era divenuto ingestibile per le due donne, ormai disarmate e impotenti.
Per la salvezza di Celan inutile risulta il richiamo di Bachmann al “principio speranza” di Bloch, esposto in una nota conferenza sul tema ”Letteratura come utopia”.
Difficile in tutto ciò incontrare testimonianza più evidente di come la storia possa attraversare la vita delle persone fino a distruggerle, di come neppure la riflessione filosofica e critica in cui Bachmann eccelleva sia riuscita a fornire a entrambi strumenti sufficienti ad elaborare il lutto. |