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I corpi e il network. PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Dopo il diluvio: discorsi su letteratura e arti
Mercoledì 09 Novembre 2016 14:55

di Franco Romanò

Partendo dall'analisi di un libro scritto da un gruppo americano, il Critical Art Ensemble, si esplorano le relazioni fra realtà virtuale e vita materiale.

Starting from the the analysis of a book written by the  American group Critical Art Ensemble, are explored the relatiobnships between virtual reality and material life.


Premessa

Leggendo gli interventi delle femministe neo materialiste sulla necessità di mettere in crisi il concetto e l’idea di anthropos, allargando alla zoe il campo di riferimento, mi sono ricordato di un dibattito sorto durante gli anni ’90 dopo la pubblicazione da parte del gruppo americano Critical Art Ensemble, di un pamphlet edito in Italia da Castelvecchi (Sabotaggio elettronico) che parlava della rete informatica come di un Corpo senza Organi asettico e pulito, in grado di spostarsi ovunque, isomorfo e imprendibile; quintessenza, dunque, di una spiritualità assoluta, cui diedero anche il suggestivo appellativo/ossimoro di bunker nomadico. L’espressione usata dal gruppo nordamericano non ha nulla a che vedere con l’uso che della medesima espressione  fanno Deleuze e Guattari, sebbene l’accenno che viene fatto nel pamphlet all’opera di Artaud faccia pensare che ne fossero a conoscenza.

Del Critical Art Ensemble mi ero occupato anni fa con un testo rimasto inedito dopo varie vicissitudini e che qui propongo per la prima volta, con pochissime modifiche o ulteriori specificazioni su alcuni esempi che mi sembravano datati. Lo propongo nella rubrica Dopo il Diluvio poiché, pur essendo legato alle problematiche trattate su questo stesso numero nelle altre rubriche, gli esempi prevalenti e il punto di vista che ho scelto per la mia riflessione critica, riguardano la letteratura e le arti.

IL CORPO SENZA ORGANI.

Finché gli esseri umani saranno dotati di un corpo fisico e di una vita emozionale, nel solo virtuale non potranno esaurirsi le relazioni sociali e neppure quelle interpersonali. L’esplicarsi totale delle relazioni all’interno del circuito nomadico virtuale da parte di Corpi senza Organi, così come viene ipotizzata dal gruppo nordamericano Critical Art Ensemble, sarebbe possibile solo se noi fossimo davvero dei viventi virtuali; ma anche gli esempi notissimi di Second life o altro, si limitano ad aggirare il problema, trasportando semplicemente nel virtuale le parti scisse e non integrate di un soggetto che rimane dotato di un corpo fisico; parlo naturalmente degli utenti che si affidano a Second Life e non agli omini di burro che gestiscono il network e il business.

Una tendenza non piccola della cultura e della letteratura del ‘900 sembra prefigurare un esito simile. La grande arte è sempre un po’ profetica e allora sarà bene rivolgerci anche a queste avventure della narrativa e del teatro novecenteschi, ma anche di coglierne il sostrato ideologico. Potrà sembrare sorprendente che in questo elenco manchi La Metamorfosi di Kafka, ma ciò è dovuto alla diversa motivazione del grande praghese rispetto agli autori citati qui di seguito.

La parabola dell’opera di Samuel Beckett, per esempio, da Waiting for Godot fino a Happy days e Endgame, disegna un futuro abitato da una natura umana diversa da quella che conosciamo; oppure, addirittura, un mondo in cui la vita prende strade differenti e la nostra non diviene altro che un residuo in via di estinzione. L’inanità dei personaggi nei romanzi di Beckett è il segno palese di un’impotenza che diviene metafora dell’incapacità occidentale a trovare un senso al proprio percorso di civiltà, cui fa da contraltare un catastrofico delirio di onnipotenza che si manifesta nei confronti della natura così come dei popoli e delle culture altre. Spacciata per troppo tempo come cultura o letteratura critica, l’opera di Beckett ci mostra invece fino in fondo i limiti di una criticità che, se spinta fino a questo estremo, si rivolge nel suo contrario, trasformandosi in una più o meno involontaria apologia dell'esistente, oppure in una narcisistica contemplazione della sua fine. L'Occidente riflette al proprio interno e riversa sugli altri il proprio senso di morte, la letteratura e il pensiero nichilisti lo registrano come se fossero i notai di questa civiltà in declino e non è davvero un caso che a pochi decenni di distanza da queste opere, i nuovi guru della tecnologia attraverso progetti quale il Genoma1 facciano balenare lo spettro di un'umanità mutante e quello della fuga dal pianeta ormai inservibile: mi riferisco ai progetti di costruzione di navi spaziali in orbita lunare che dovrebbero contenere decine di migliaia di persone. Lo stesso rischio, tuttavia, lo corrono anche coloro che vedono nella tecnologia informatica qualcosa di totalmente nuovo. Intendo dire che qualsiasi innovazione tecnologica, dall’invenzione delle prime tecniche agricole fino alle ultime frontiere, è sempre stata sentita da alcuni come una minaccia catastrofica, oppure accolta acriticamente. È una storia vecchia quanto il mondo. Ricordiamo tutti le parole allarmate ma anche ingenue di Platone all’avvento della parola scritta che avrebbe arrecato danni enormi alla memoria.

Una tecnologia nuova o un insieme di tecnologie nuove, scacciano molte di quelle precedenti (non tutte), creando insicurezza rispetto a certi problemi e affrontandone invece altri che precedentemente non potevano neppure essere pensati. La tecnologia è sempre a somma zero e le oscillazioni di carattere eminentemente psicologico che accompagnano il suo sviluppo, sono il riflesso di questa sua natura inquietante che toglie tanto quanto regala. Gli esempi possono essere praticamente infiniti: uno semplicissimo riguarda un genere di largo consumo come l’automobile. Nata per spostarsi da un luogo all’altro con maggiore velocità, l’aumento vertiginoso del loro numero, fa sì che nelle aree urbane sufficientemente grandi, comprese le periferie più lontane, le sue prestazioni siano ormai identiche a quelle di un mulo (quattro chilometri l’ora).

Afferma ancora il gruppo nordamericano:

Il solo errore di Artaud è stato la sua convinzione che il Corpo senza Organi doveva essere ancora creato. Il corpo elettronico è il corpo senza organi. Esso domina la scena e ha ri-centrato il teatro intorno all’identità vuota e al desiderio vuoto. Il corpo senza organi è il corpo perfetto... Gli orifizi del corpo senza organi sono cuciti strettamente. Nessun consumo, nessuna escrezione, nessuna interruzione… Il teatro della strada e i detriti culturali associati collassano. La civiltà è stata ripulita, il progresso è stato completato - la merda, la spazzatura, , il marcio sono stati messi fuori dallo schermo e cancellati dal mondo perfetto del corpo elettronico. Il corpo elettronico, libero dalla carne, libero dall’economia del desiderio, ha sfuggito il dolore del divenire. 2

Appunto! Il corpo elettronico! Se la rete relazionale fosse soltanto una il gioco sarebbe riuscito, ma non è così e non vi è in realtà alcun errore di Artaud, tanto più che non poteva conoscere gli sviluppi delle tecnologie informatiche nonché gli esperimenti sull’intelligenza artificiale. Egli, più di Beckett, sta sospeso sul crinale che separa il corpo fisico ridotto a oggetto di tortura e di morte e il sogno di un altro destino. Il suo teatro della crudeltà riflette questa ambivalenza ma non la risolve; anzi, il corpo non viene rimosso ma posto sotto i riflettori.

Le reti relazionale sono tante e sono prima di tutto relazioni fra corpi fisici viventi e il corpo perfetto elettronico dal quale la carne e il dolore, ma anche l’eros e l'emozione vengono espulsi, sono soltanto uno degli scenari. L’illusione della cultura occidentale di diventare asettica è la sua ideologia del momento: le orrende definizioni di bomba intelligente o di guerra umanitaria vanno in questo direzione. La rete informatizzata non ripulisce il mondo dalle sue brutture, ma nemmeno dalle sue bellezze: le esterna e allontana da sé, ponendole al di fuori dello sguardo e dunque della visibilità e crede che, non vedendole, esse non esistano più. Il rimosso assume allora connotazioni diverse e mostruose sia sul pano fisico, sia su quello psicologico ed emozionale: ci sono ormai molti studi e anche film che testimoniano come, i militari che bombardano a distanza con i droni o altro, senza vedere le vittime che fanno, sono ugualmente soggetti a gravi crisi depressive. Dalla propria postazione elettronica non si vedono le discariche e le montagne di rifiuti, non si vedono i morti, nonostante la crescita di patologie psico-sociali che la cronaca propone; ma non si vede neppure la vita.

La costruzione del bunker nomadico virtuale è l'attualizzazione di un'antica distopia occidentale: rimuovere e sublimare il corpo, l’eros, il femminile, il sacro naturale a favore dello spirito, parola che non è da intendersi qui nel senso hegeliano del termine, ma classico e religioso. Il sé essenzialista e razionale di cui la rete è l'espressione attualizzata più pura e immateriale è, in prima istanza, uno spirito disincarnato. Non è un caso che lo stesso gruppo americano, alternando sapientemente alcune citazioni di Platone e di altri filosofi che hanno gettato le fondamenta teoriche della società patriarcale, con il linguaggio informatico, dimostra come con alcune piccole modifiche lessicali, i due linguaggi si adattino perfettamente. Le religioni monoteiste hanno sempre  voluto spingere il pensiero e la tensione etica stessa a occuparsi di questo sé essenzialista. La grande arte del '900, tuttavia, non ha seguito soltanto le orme di Beckett e del genere distopico, ma ha anche demistificato queste pretese: non di un solo io siamo fatti e neppure di un solo sé profondo. Assomigliamo alle voci polimorfe degli antichi dei, oppure a quel personaggio di un racconto di Borges, il quale può vivere due vite diverse contemporaneamente in due mondi differenti.

Il cumulo di rifiuti, l’inquinamento atmosferico e quello delle acque, per non parlare dei cibi ed in particolare delle carni, non sono altro che i prodotti esternalizzati del Corpo senza Organi. I rapporti sociali violenti che stanno alla base della volontà di dominio occidentale e del suo delirio di onnipotenza esternalizza i suoi costi, cioè li riversa laddove la riproduzione della vita si compie. L’eccesso sempre più evidente e non più gestibile di rifiuti organici è il corpo deforme della virtualità; occupa lo spazio fisico, finché ogni circolazione diventa impossibile, le reti possono continuare a funzionare, ordinare, selezionare, indicare indici di produzione ma anche gli esseri umani dell’universo virtuale dovranno continuare a riprodurre ogni giorno le condizioni (materiali e spirituali) della loro esistenza, come gli esseri umani di ventimila o trentamila anni fa. Il just in time delivery, per esempio,  presuppone pur sempre, la rapidità di consegna e cioè l’efficienza delle infrastrutture fisiche della logistica; altrimenti non può funzionare. Il venir meno di molte abilità di base, causato dalla delega sempre più marcata a sistemi di controllo automatici, rende e renderà sempre più inefficiente il sistema globale. Un esempio di questo, seppure arcaico se rapportato ai nostri tempi, ingenuo, ma anche molto vicino negli anni, si trova rappresentato in una poesia di Brecht: Demolizione della nave Oskawa ad opera dell'equipaggio.

Il testo ci parla, insieme a molte altre cose, anche di quello che sto cercando di affrontare in questo scritto, ma ci dà anche la misura veramente vertiginosa del mutamento in peggio intervenuto. L'inefficienza dei marinai di Brecht, che porta all'affondamento della nave, è dovuto alla paga eccessivamente bassa. Problema non da poco, certo, e ritornato quanto mai in auge!, ma anche risibile a fronte di quotidiane e macroscopiche disfunzioni dovute al semplice fatto che nessuno sa bene cosa fare di fronte a certi problemi perché non è più abituato a doverli risolvere! Lo spazio fisico non è solo il sito in cui il potere aveva le proprie sedi visibili, ma continuerà ad essere il luogo in cui i corpi viventi avranno le loro case, i loro ponti sotto i quali ritirarsi a dormire, le loro vite. Lo spazio da cui il potere si ritira è anche quello in cui la vita materiale viene espulsa e si riorganizza. Lo sviluppo ulteriore del modello occidentale che si traduce nella globalizzazione geografica e nell’estensione dello sfruttamento a ogni aspetto della vita e non soltanto dell’economia. Come assistiamo e assisteremo sempre di più tutti i giorni, popolazioni dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina che vivevano fino a poco tempo fa in un equilibrio stabile basato su coltivazioni locali in grado di garantire una povera ma sicura sussistenza, vengono costrette a produrre merci agricole che non potranno consumare, al fine di oliare il meccanismo dell’economia basato sulle esportazioni e la domanda estera. Mentre questo accade nelle sterminate periferie e semi periferie dell’impero, le masse umane espulse dall’economia di mercato, oppure bombardate dalle potenze occidentali non vagano nel tempo velocissimo della rete virtuale, bensì nello spazio fisico abbandonato dall’èlite nomadica che vive nel bunker informatizzato. Invadono le periferie urbane, le metropoli dell’occidente, incontrandovi i vecchi schiavi importati oppure mescolandosi e talvolta scontrandosi con coloro che anche nelle metropoli vengono sempre in maggior numero espulsi dall’economia di mercato o con la schiera sempre più ridotta degli schiavi più o meno salariati (l’ossimoro è voluto). Al nomadismo dell’élite virtuale fa da contrappunto il nomadismo coatto dei corpi fisici viventi che debordano e si travasano nello spazio fisico abbandonato.

La pubblicistica giornalistica e i pifferai di corte hanno già coniato una parola nuova per definire questo processo: esuberi. È un termine che non trova ancora spazio nei dizionari ma che si diffonde a macchia d’olio. Esuberi non è sinonimo di disoccupati, ma di inutili. Essere in esubero significa non avere il proprio posto nel mondo e non semplicemente essere privi di un posto di lavoro! Essere in esubero significa non rientrare nel numero di coloro che hanno diritto ad esserci. Chi è in esubero non viene espulso dalla fabbrica per essere parcheggiato in una comunità che lo accoglie perché‚ la sua condizione è prevista: la sua reale condizione è un’altra; semplicemente non dovrebbe neppure essere nato.

Pier Paolo Pasolini, intuì questo processo molti anni fa e ne fece oggetto di un memorabile raccolta di testi: Le lettere luterane.

La società occidentale nella forma mondializzata vuole che ogni paese divenga esportatore e che ogni individuo divenga consumatore; ma distruggendo il lavoro e tagliando i redditi vede diminuire la propensione al consumo, oppure deve incentivare quella di un numero selezionato di merci ricambiate in tempi sempre più rapidi. Gioca sui tempi di riproduzione sempre più veloci e sulla lenta espulsione. Vuole da noi che diventiamo merce per un quarto d’ora ma consumatori per un’intera vita. Tanto più il modo di vita occidentale estende il suo dominio a tutti gli aspetti della vita, tanto meno necessita di corpi viventi salariati per fare funzionare la macchina; ha sempre più bisogno invece, di ridurre letteralmente a schiavi coloro che  ancora si aggirano in condizioni di stabilità nel mondo della produzione. Tale necessità, un tempo riservata ai cosiddetti ‘colletti blu’ e cioè al lavoro operaio, viene oggi estesa alle gerarchie aziendali e raggiunge i livelli sempre più alti, inducendo crisi esistenziali e problemi psicologici nuovi in persone che fino a venti anni fa si credevano immuni da queste problematiche. Questa é la traduzione contemporanea della celebre frase di Marx “il lavoro morto scaccia il lavoro vivo.” Ma in questo modo l’alienazione che il capitale aveva gettata interamente sui lavoratori nella duplice forma che conosciamo, si rivolge contro di lui.

Nel comunismo, il libero sviluppo delle potenzialità di ognuno sarà la condizione per la libertà di tutti. (K.  Marx, F.  Engels Manifesto del Partito Comunista.). Poco più avanti negli esempi concreti, quello famoso di chi al mattino può dedicarsi alla pesca, il pomeriggio a un’altra attività.

Quello che Marx ed Engels delineavano nel Manifesto come un futuro utopico e gestione del proprio tempo da parte di chiunque, il capitalismo nelle sue forme attuali lo rende concreto nella forma del lavoro precario, anzi dei più lavori precari che in molti sono costretti a fare per poter vivere. Lavoro coatto, lavoro precario e spesso gratuito sono gli orizzonti attuali. Tuttavia, se la società capitalistica globalizzata sembra fare proprio questo slogan traducendolo a modo suo con le strategie imperniate sulla flessibilità del lavoro e condannando moltitudini di corpi viventi a vagare nello spazio coatto della migrazione é pur vero che tale migrazione planetaria può essere rovesciata contro di esso. Il tempo libero coatto e lo spazio fisico del nomadismo coatto, formano, insieme allo spazio/tempo nomadico virtuale, un solo ed unico scenario.


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1 Di questo progetto non si sente più parlare da tempo: fu certamente altamente mediatico e fondato su alcuni assiomi tipici di un pensiero riduzionista dominato da un’ossessione calcolatoria fino a sfiorare il ridicolo. La previsione era che si sarebbero trovati 200.000 geni e invece ne sono stati trovati solo 30.000 (quelli di una pianta sono 28.000 mentre quelli di un verme 18.000). Il pensiero retrostante il progetto era puramente quantitativo: sarebbe come pensare che se trovassimo 100.000 note di base invece di sette saremmo in grado di produrre una musica 100.000 volte superiore a quella prodotta fin qui. A parte la considerazione peregrina che la giuria del Nobel avrebbe dovuto ritirare (almeno simbolicamente) il premio attribuito agli illustri cervelloni che avevano avuto la pensata (a cominciare da Dulbecco), l’aspetto ironico di tutta la faccenda sta nel fatto che i nostri geni non sono di molto superiori quantitativamente rispetto a quello di un lombrico.

2 Critical Art Ensemble, Sabotaggio elettronico, Castelvecchi Roma 1995.

 

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