Dopo la vita da impiegato contabile a Milano e dopo il periodo di lavoro manuale a Colonia (capitoli primo e secondo) nel nuovo capitolo inizia la storia di Cosma e Corinna.
Quando si sono conosciuti Cosma e Corinna portavano con sé quasi a pelle marchi invisibili di una ricerca inedita e universale di nuove libertà. Portavano con sé le lotte di liberazione dei paesi colonizzati, portavano con sé le lotte di liberazione dei neri, portavano con sé le lotte di liberazione femministe. Antirazzismo, anticolonialismo, antisessismo. Non dobbiamo dire più ‘negro’ perché è il termine adoperato per indicare la schiavitù. Non dobbiamo più dire ‘colonie’ perché i popoli colonizzati si stanno liberando dall’oppressione politico militare economica d’Europa e d’America. Non dobbiamo più dire ‘uomo’ per dire una ‘umanità’ che non comprende la donna. Libertà da secondo Novecento, senza nazifascismo, senza gulag, senza dittature, senza imperialismi. Tutto ciò poteva anche appartenere al sogno e al desiderio, eppure il progetto non era una semplice questione di diritti civili. Le guerre di liberazione dei paesi colonizzati dal Vietnam all’Africa e poi le lotte dei neri e delle femministe negli USA, almeno quelle di cui si cominciava a sapere in Europa quasi ancora solo oralmente o in opuscoli di diffusione limitata, tutte quelle lotte per la libertà ponevano il problema non solo e non tanto per il rispetto verso le cosiddette differenze. In molti si faceva strada la consapevolezza che quei problemi nati dall’oppressione e dal soffocamento delle libertà era possibile superarli solo con il superamento del sistema economico e politico legato all’esaltazione dei consumi, al basso valore dato al lavoro, alle gerarchie sociali e alle classi sociali stesse considerate un prodotto naturale. Una diffusa presa di coscienza che nasceva come reazione al silenzio dell’educazione familiare, al silenzio dei programmi scolastici che finivano con l’alba del Novecento. Nella maggior parte dei casi poi di quella coscienza in erba faceva parte una certa diffidenza verso il sistema dei partiti che governavano il paese. Di quest’ultima non erano sicuramente incolpevoli i genitori di Cosma e Corinna che da un lato non nascondevano le loro simpatie per il passato regime ma dall’altra, avendone vissuta e patita la sconfitta, suggerivano nella loro educazione dispetto e diffidenza verso tutti i partiti della repubblica democratica, fatta eccezione per il Movimento Sociale che si muoveva in maniera all’apparenza inconsistente.
La generazione cui Cosma e Corinna appartenevano si muoveva all’inizio in questa dimensione critica generale più per sensibilità e intelligenza personali del proprio vissuto che non per una partecipazione di natura politica, tanto meno rivolta a questo o quel partito. Ma era una sensibilità alimentata incessantemente da fonti numerose, dai libri, dal cinema, dai quotidiani, dalle riviste, persino moderatamente dalla radio e dalla televisione. Fonti alla portata di tutti/e che diffondevano una quantità inesauribile di notizie e informazioni non solo su usi e costumi di altri paesi ma molto di più su quanto accadeva in casa nostra, del tutto diversamente dal passato. Tutto ciò sbilanciava la vecchia generazione e alimentava l’allegra frenesia della nuova. Tra i giovani andava crescendo sintonia, era un fatto storico, qualcosa che andava aldilà delle sorti individuali, dalla fine della guerra quella era la prima volta che un comune sentire tra i giovani si andava affermando. Si andava realizzando una delle caratteristiche più significative della modernità del paese, caratteristica decisiva e contradditoria portava con sé almeno due tensioni che solo apparentemente puntavano agli stessi obbiettivi ma che sicuramente avevano origini diverse. Quell’origine diversa avrebbe col tempo fatto la differenza delle due tensioni, una caricata a molle meccaniche di acciaio, plastica e gomma abbagliata dal progetto dei consumi, già strutturato per mettere a profitto la vita dell’individuo dalla culla alla bara, esaltando competitività e sguardo fisso sul presente, l’altra animata da un’idea di comunità e di cultura pacifista e non competitiva, più prossima a una coscienza di sé, del mondo, della sua storia, più disposta a interrogarsi su radici e orizzonti ma anche sulle condizioni materiali di vita nella visibile ricchezza di pochi e la povertà di molti.
All’inizio era stato poco più che un sentimento. Crescendo questo sentimento ne scoprivano radici complesse. La prima di esse era l’antiautoritarismo. Quel sentimento metteva anzitutto a nudo l’insofferenza verso qualsiasi autorità, perché cresceva il sospetto che non ci fosse autorità che non fosse compromessa con la violenza, la sopraffazione, lo sfruttamento, la guerra.
Quando Cosma e Corinna s’incontrano all’inizio del 1966 nelle aule dell’Università Statale di Milano questo sentimento era nell'aria che si respirava. Contava certo anche quella loro provenienza piccolo borghese, erano entrambi i primi della loro famiglia ad arrivare agli studi superiori, c’erano orgoglio e passione. Avessero dovuto essere giudicati con il metro degli stessi genitori e familiari si sarebbe potuto dire che si stavano montando la testa perché entravano a far parte di una élite, ma non era così. Non solo perché entrambi sapevano ben fare le differenze con i/le giovani provenienti dalla media e alta borghesia che poteva capitare di frequentare, ma anche perché costoro stessi a prima vista non sembravano proprio portare con sé nessuna prosopopea di appartenenza sociale superiore. Quell’atmosfera conviviale quasi solidale e trasversale alle diverse condizioni sociali degli studenti era alimentata in qualche misura dal fatto che per la prima volta nella storia della Repubblica in quell’Università arrivavano numerosi i figli di piccoli e piccolissimi borghesi ma anche di proletari, figli di contadini della bassa milanese o delle valli a Nord, figli di operai delle grandi fabbriche milanesi ma anche studenti di famiglie meridionali. Ciò contribuiva a creare anche aspettative che a tutti quei giovani sarebbero apparse del tutto fuori luogo qualche tempo prima. Euforia di libertà e di relazioni come mai prima, accesso a consumi sin lì proibiti, libertà di parlare, dire, affermare, condividere e contraddire, nei corridoi, negli istituti, nei chioschi antichi della città. Per questa parte di quella generazione che aveva accesso alla cultura e al sapere più alti si trattava di situazioni inaudite che rompevano con il grigiore delle proprie famiglie, con la modestia dei gusti e la mentalità di un mondo chiuso, l’eccessiva importanza data al denaro, al giudizio degli altri, alla paura dell’esclusione sociale, alla competizione, col vicino pronto a truffarti, a insidiare la tua posizione, a giudicarti male, con la predisposizione razzista nei confronti dei deboli o dei meridionali già nel mirino da tempo. Scarpe lustre e cravatta per gli studenti, compostezza e buona educazione per le studenti, per tutti/e vietato lasciarsi andare, vietato frequentare certuni e talaltre, vietato il fumo, vietato il sesso, vietato amare, vietato vivere. Un intero mondo che si disfaceva.
In questa atmosfera nascevano domande e idee. Nonostante la buona educazione liceale, nonostante il sistema di premi e punizioni, nonostante il rigore del comportamento morale richiesto sia da parte di adulti cattolici praticanti o di laici, atei o meno, quei giovani cominciarono a mettere sotto critica la famiglia come istituzione, la scuola come istituzione, lo Stato stesso nelle sue propaggini più autoritarie come l’esercito, la polizia. Come accade, si trattò di un progressivo avvicinamento alla questione prima di diventare un’esplosione generale.
Cosma e Corinna non avevano nemmeno cominciato a dare sfogo al reciproco desiderio dei loro corpi che già erano impegnati nel raccontarsi la propria famiglia. Neanche si fossero cercati con la coscienza di questo bisogno, come si fossero messi d’accordo preventivamente, la loro storia d’amore partì così, attrazione fisica reciproca e bruciante e urgenza di parlare di sé e della propria famiglia. Non c’era stato gran che da discutere sul sesso. Lui era timidissimo a farsi avanti, lei pure. Lui la toccava un po’ e lei si ritraeva un po’. Lei si truccava a volte spavalda e lui allora si spingeva più avanti. Non più di tanto. Tutto con molta prudenza ma con altrettanta sicurezza e determinazione nel fare passi avanti. Nel frattempo la discussione, che anch’essa richiedeva i suoi tempi, era aperta e entrambi si trovarono a fare una sorta di autocoscienza, una preanalisi non dissimile da quella di tanti loro coetanei che avrebbe caratterizzato in mille altri modi mille gruppi diversi nel decennio successivo.
La famiglia di Corinna era organizzata nella maniera più tradizionale. Padre gioviale ma molto autoritario, amava indiscutibilmente le sue due figlie e la moglie. Le figlie dovevano studiare per avere un posto nella vita. La moglie doveva educare le figlie alle note tradizionali regole, vestirle, nutrirle, curarle, altrettanta cura doveva verso la casa e infine un’attenzione speciale al suo uomo che garantiva sicurezza economica, modesta ma stabile. La storia della maggior parte delle famiglie milanesi, lombarde, italiane, più o meno anche europee. Per una delle rare intime comunicazioni con le figlie la madre aveva anche confessato che il suo uomo le procurava soddisfazione completa nel rapporto sessuale, il che probabilmente, annotava Corinna, non doveva essere una realtà diffusa.
‘Sicuramente non lo era per mia madre’ confessava Cosma ‘lei aveva apertamente dichiarato che l’atto sessuale lo viveva come un fastidio e che anzi le faceva abbastanza schifo, col che mostrava di aver sepolto chissà da quando l’amore, se mai c’era stato, per il suo uomo’.
Il quale non le garantiva tranquillità economica e stabilità di nessun tipo dato che la sua appassionata vita d’artista era stata sempre più precaria in tutti i sensi. Se c’erano due che paradossalmente mettevano in evidenza la natura contrattuale e fallimentare di un matrimonio, sesso da una parte benessere materiale dall’altra, quelli erano loro due.
Nel caso di Corinna questa stabilità e continuità erano state assicurate e l’amore non sembrava essere mancato.
‘Ma non per via di quello scambio’ confermava Corinna ‘ma proprio perché davvero si volevano bene’.
I due scendevano dalla Statale a piedi verso il palazzo di Giustizia poi giù a capofitto nel largo corso XXII marzo fino alla circonvallazione della filovia 90, tra il frastuono delle auto, dei tram, degli autobus, della solita gente indaffarata e rapida passante silenziosa quasi muta nel frastuono. Loro parlavano fittamente, scansando, fermandosi ai semafori, scavalcando impicci stradali e umani, di solito nel tardo pomeriggio, terminate le lezioni pomeridiane, le uniche che Cosma frequentava perché al mattino aveva già iniziato a insegnare come supplente. In questo modo in quell’attraversamento di Milano tra via festa del perdono, sede dell’Università statale, e Città Studi, il quartiere dove abitava Corinna nonché sede tra l’altro del Politecnico e di altre discipline scientifiche, i due si presentarono l’un l’altra con qualche conclusione. Convennero, tra uno scambio di tenerezze e qualche abbandono, che avevano alle spalle entrambi due famiglie disastrose. A nessuno dei due venne in mente di essere vittime particolari di una sorte cattiva e persecutoria. Corinna era alle soglie della laurea e un curriculum da prima della classe che le aveva permesso di ottenere borse di studio che alleggerivano il peso sulla famiglia, aveva di che essere contenta di se stessa. Cosma non era da meno, iscritto al terzo anno della facoltà di lettere e filosofia della Statale, con un po’ di esami superati alle spalle, e con la supplenza annuale che lo faceva sentire quasi ricco, aveva un senso di sicurezza di sé che lo teneva in uno stato di euforia. Le insicurezze del passato di figlio, di studente, un fardello più pesante di quanto anche allora credesse, aveva imparato un po’ di più a gestirle. La dimostrazione più evidente stava nel fatto che si sentiva in grado di guardare negli occhi la ragazza che gli piaceva. Corinna gli piaceva. E lo sguardo di lei gli infondeva vieppiù sicurezza e allegria.
Lei era agitata dal peso di contraddizioni relative ai suoi che si sforzava di chiarire. Sentiva forte lo scarto di mentalità che animava la sua vita e la loro, ne temeva le conseguenze, aveva paura che le differenze sempre più marcate con il loro mondo avrebbero finito con l’allontanarli. Certi loro comportamenti erano insopportabili ma Corinna avvertiva anche che i cambiamenti del mondo intorno a loro li rendeva più vecchi di quanto fossero.
“A volte penso che hanno dovuto subire più di quanto le loro sensibilità e intelligenze meritavano. Ma poi se penso a come sono strettamente legati ai ruoli cui la società li ha incatenati, allora non capisco. Prendi ad esempio mia madre. Lei mi ha motivato in maniera estrema allo studio ma non ha rinunciato a educarmi ai lavori domestici. Solo che lo spirito con cui lo fa sembra suggerire altro. E’ come se dicesse che l’amore che spinge a quei lavori è pericoloso. Però da questo suo lavoro di cura per noi trae anche molta soddisfazione, le piace darsi da fare per noi, la casa, ma a me e mia sorella l’invito a imparare a cucinare, lavare, cucire arriva sempre un po’ dopo il messaggio che da quel lavoro è meglio riscattarsi.
‘Il risultato per ora è che io i lavori domestici li odio…’
Corinna s’interrompe, guarda Cosma per vedere la sua reazione.
‘Non preoccuparti, ho imparato a fare tutto da me. Anche perché mia madre esibiva una tale insofferenza e infelicità che a volte mi offrivo io pur di non averla intorno con le sue lamentele’.
‘No mia madre non si lamenta più di tanto di questo. Il suo vero cruccio è non avere un’occupazione fuori casa. Ma mio padre non ha voluto. Poteva opporsi? Mica tanto, mio padre è un poliziotto e ci ha abituate a un regime di caserma. Generoso, buono ma solo quando vuole lui, non si discutono le regole di casa. Voi dovete diventare indipendenti, insiste mia madre, non dovete finire come me che devo andargli a chiedere i soldi perché ho le calze smagliate…”
Scendendo lungo il grande corso XXII marzo Cosma e Corinna sostavano quasi sempre su una panchina nella piazzetta dominata dalla grande fontana dedicata ai marinai.
“Guarda, io voglio bene a tutt’e due ma non sopporto che lei subisca la sua prepotenza, è una violenza… Ti dirò, le stesse mogli degli amici di famiglia le ho sentite lamentarsi più o meno delle stesse cose. Le mamme delle amiche di scuola e anche quelle in vacanza sulla spiaggia dicono che così va il mondo, che il padrone è l’uomo perché è nella sua natura e noi dobbiamo subire in silenzio. Mia madre però non vuole sentire parlare di schiavitù, la sua relazione con papà continua a ripeterci che è nata dall’amore e tale è tuttora. Le credo ma questo non esclude altro. Cos’altro sono certe sue crisi isteriche se non manifestazioni d’insofferenza per una prigionia domestica che non vuole confessare più di tanto?
Cosma non poteva che notare le differenze. Una famiglia con un padre onnipotente ma nel bene e nel male devoto a moglie e figlie da una parte, dall’altra la sua nella quale il padre, incapace di sottrarsi a un matrimonio riparatore, aveva subito la famiglia come una condanna. Non era tanto questioni di contraddizioni interne alla sua famiglia. La sua famiglia non era mai nata davvero. L’imposizione al matrimonio per la nascita non voluta di Cosma aveva soddisfatto le tradizionali regole delle rispettive famiglie ma aveva appena rivelato un conflitto pressoché insanabile. Il padre di Cosma si era con tutta l’anima consacrato alla sua arte di tenore lirico melodrammatico e, nonostante le difficoltà per un progetto così ambizioso ma ancor più difficile nel paese uscito dalla guerra, non intese sottrarsene affatto. La ‘famiglia’ che ne era venuta fuori non assomigliava per niente a quella più comune, tanto meno a quella di Corinna. Paradossalmente la sua era una famiglia poco borghese, non certo per scelta critica, ma per mancanza di una vera volontà, per incapacità effettiva di destreggiarsi e infine anche per mancanza di una miracolosa buona sorte. I due coniugi per forza in fondo aspettavano che la fortuna li baciasse con il successo e la ricchezza di lui nel canto. Il che non avvenne mai. Solo ad anni sessanta inoltrati, quando la stessa salute si era fatta precaria, il tenore si era adattato a un lavoretto stabile di altra natura, dopo che per un paio di decenni aveva accasato temporaneamente i figli o presso parenti o presso conoscenti qua e là per l’Italia, portandosi dietro, nelle sue stagioni di canto sempre più precarie, la moglie che in questo modo si dedicò solo saltuariamente ai figli.
“Una cosa però devo a mia madre: a differenza di mia sorella, non ha mai smesso di insistere che continuassi a studiare fino al diploma, nonostante le mie bocciature. Le bocciature hanno lasciato il segno, infatti sono un ritardatario in tutto ma sto recuperando…!”
In effetti Cosma si sentiva graziato dalla sorte. Dopo l’anno alla Locatelli come impiegato e dopo quello a Colonia come kitchen-boy si ritrovava ora dentro un percorso che gli garantiva tranquillità economica e quella soddisfazione per gli studi che per troppo tempo non era stato capace di riconoscere in se stesso come un vero obiettivo di vita. Ora poteva fare a meno di pensare solo a cosa fare da grande! Poteva guardare il mondo intorno a sé, poteva anche innamorarsi.
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