Di Franco Romanò
Premessa
La morte di Cormac McCarthy, a poca distanza dall’uscita in Italia del suo ultimo romanzo, sembrerebbe conferire ad esso il ruolo di testamento spirituale. In realtà, le cose non stanno così perché la casa editrice Einaudi ha in programma la pubblicazione di Stella Maris il prossimo settembre. Fra i due romanzi c’è un nesso che viene dichiarato anche nella presentazione de Il passeggero. La tentazione di attendere anche la seconda opera è stata forte, ma la lettura del libro e un’intervista rilasciata poco prima della morte, mi hanno convinto a scriverne subito. Il romanzo è da un lato un compendio di tutto quello che McCarthy ha scritto; in secondo luogo, come afferma nell’intervista concessa alla fine del 2022, quest’ultima opera è anche il distillato di una riflessione su scienza, antropologia e tecnologia che lo hanno visto impegnato nelle discussioni del Santa Fe Institute, fondato dall’amico fisico e premio Nobel Murray Gell-Mann. Dell’associazione fanno parte altri scienziati che discutono proprio sui temi più scottanti e attuali che riguardano il rapporto fra le scienze e la società. Il solo scrittore a far parte del gruppo è stato McCarthy. Mi è sembrato che nel romanzo ci sia proprio una eco di queste riflessioni recenti, che ne fanno un’opera in qualche modo definitiva. Il romanzo è costruito intorno a due diversi nuclei narrativi, a loro volta stratificati al proprio interno, che si alternano di capitolo in capitolo. Il primo nucleo, sempre in corsivo, inizia con una premessa, la scena del ritrovamento di un cadavere. Il secondo nucleo, scritto invece in tondo, comincia da uno spunto narrativo più immediatamente decifrabile: Bobby Western – nome quanto mai evocativo –1 sommozzatore di recupero di navi affondate, durante un’immersione vede un aereo che giace su un fondale con nove uomini morti a bordo. Bobby comincia ad avere dei sospetti, ma nel proseguimento del capitolo e nella conversazione fra lui Oiler - un altro sommozzatore - e Campbell, con cui discute dei suoi dubbi, le ragioni di tali preoccupazioni sono indicate in modo vago. La conclusione però è repentina e drastica: Bobby decide che è bene sparire.
La fuga
Tale scelta permette al narratore di costruire intorno al cliché del genere giallo una trama assai complessa e di chiamare a raccolta, in una ideale rappresentazione totale che spazia dal cinema, al teatro, al circo, i personaggi dei suoi romanzi precedenti. Se ci sono proprio tutti lo vedremo alla fine. Alcuni altri sono invece nuovi perché le tipologie più note - specialmente quelle maschili - della narrativa di McCarthy, vestono la fisionomia del tempo storico che hanno attraversato: allora ecco comparire un professore di fisica coinvolto nel progetto Manhattan - forse lo stesso Oppenheimer o addirittura il padre di Western medesimo. La costruzione del primo ordigno nucleare statunitense fu la sintesi novecentesca di quel male assoluto che accompagna dalle origini la narrativa dello scrittore. Alcuni altri personaggi sono strani poliziotti o agenti dell’agenzia delle entrate: cercano Bobby, gli fanno delle domande in momenti diversi, gli perquisiscono la casa, senza tuttavia arrestarlo e infatti la vicenda iniziale - quel velivolo sul fondale con nove morti a bordo e un decimo probabilmente sopravvissuto - sfuma nell’indeterminatezza. Questo nucleo narrativo è fatto di molteplici incontri, di dialoghi dalle diverse temporalità, visto che si tratta di personaggi che riprendono a parlare con quelli odierni: John Sheddan, Borman, Oiler, Kline, lo stesso Bobby, la nonna, una trans di nome Debussy. Proprio durante uno dei primi dialoghi con Sheddan e poi fra quest’ultimo e un personaggio femminile di nome Bianca, il ritratto di Bobby Western assume qualche contorno più preciso:
… Mi piace il tuo amico, disse Bianca. Bel culo.
Fai un buco nell’acqua mia cara.
Perché, è gay?
No. È innamorato.
Peccato.
Peggio ancora.
Cioè?
È innamorato di sua sorella.2
Tale primo accenno porta in scena in termini ancora embrionali il tema dell’amore incestuoso fra fratelli o quello dell’oscurità latente nelle relazioni amorose. Sono le tematiche di altri due romanzi: Il Buio fuori e Il guardiano del frutteto. Da alcuni accenni e rapide battute nei dialoghi con i diversi personaggi, la biografia di Bobby si arricchisce di altri particolari, ma sempre con un fondo di indeterminatezza. Ritorna frequentemente anche il ricordo della sorella. Sheddan, in particolare, lo incalza, mettendolo di fronte ai propri sensi di colpa. Nel reticolato di dialoghi confluiscono diversi strati che interagiscono fra loro come in un gioco di vasi comunicanti, con passaggi rapidissimi da un registro all’altro: contemporaneità degli eventi e flash back in cui irrompono vicende precedenti, convivono a volte nella medesima pagina. Oppure la conversazione comune, una chiacchiera spesso banale al limite del grottesco e talvolta del comico; ma qualunque dialogo può però scivolare da un momento all’altro nel racconto dei sogni e degli incubi dei protagonisti medesimi, oppure in riflessioni fulminanti sulla vita e sul mondo. Oppure ancora, in conversazioni frammentarie, discussioni accese su teorie scientifiche. Particolarmente surreali sono gli interrogatori con i misteriosi agenti che lo seguono. Troppo lunghi per essere riportati per intero mi limito a indicare le pagine di uno di essi fra i più emblematici.3
Alcuni dei personaggi hanno una natura ambigua e questo ci riporta a un altro romanzo precedente, Suttrie, scritto nel 1979, che costituisce a mio avviso una sorta di canovaccio sottostante a quest’ultimo. I luoghi sono i medesimi: Knoxville e il Tennessee per entrambi i romanzi e sempre in Tennessee è ambientato anche Figlio di Dio. Suttrie è un uomo che, dopo avere abbandonato una comoda vita borghese, seppure tormentata da dilemmi religiosi, decide di vivere in riva a un fiume, in una capanna abbandonata. La sua compagnia sono gli animali che abitano il corso d’acqua e i suoi dintorni; non quelli più domestici, bensì i più primitivi. Insieme a loro una pletora di sbandati di ogni tipo, compreso il buffo, paradossale e strampalato Harrogate, che riecheggia nel nome la parola Arrogance. Nel fiume, nei suoi detriti, in coloro che ne abitano le sponde, sembra riversarsi, come in un grande lavacro, tutta l’epopea statunitense. Alle origini della loro narrativa troviamo Il Mississipi, lo scenario naturale delle avventure di Huck Finn. L’opera di Twain nel suo complesso è la narrativa di formazione dei coloni bianchi: sono romanzi solari e aperti su un futuro positivo, di chi ha un mondo davanti a sé da esplorare. In Suttrie si compie un destino: il fiume, un tempo fonte di vita, diventa un rifugio e una discarica. Peraltro, la vita di Bobby Western assomiglia a quella di Suttrie: entrambi fuggono da una vita precedente o da qualcosa di indefinito. Nomadi per ragioni diverse assomigliano al padre protagonista di La strada. Anche gli sbandati che incontrano nelle loro diverse peregrinazioni si assomigliano: sono quasi sempre uomini, sono sempre armati, consumano hamburger e bevono birra. In alcuni casi, quando hanno del denaro in tasca, si concedono piatti estrosi nei ristoranti alla moda e vini pregiati. Molti di loro hanno trascorso periodi della loro vita in carcere e conoscono qualche boss della malavita dal nome altisonante. Da questa parte del romanzo emerge, insieme ai dialoghi, tutto il paesaggio iconico del pop statunitense. Le autostrade diritte dove non passa nessuno o file di camion, i territori desertici che attraversano, i motel, i bar anonimi, le discariche. Alcune descrizioni come questa che segue potrebbero essere la didascalia di un quadro di Hopper:
… In serata scese al bar e ordinò un hamburger e una birra. Nessuno gli rivolse la parola. Quando uscì, Josie puntò il mento verso di lui. Mi spiace. Bobby disse. Lui annuì. Risalì la strada. L’antica pavimentazione di pietra madida di umidità. New Orleans, 29 novembre 1980 …4
La descrizione dei paesaggi svolge un ruolo assai importante, come nei romanzi precedenti, ma in questo è ridotta all’osso: istantanee fulminanti e sintetiche, immagini di un degrado che ricorda il paesaggio estremo di La strada, ma dal quale affiorano anche ricordi di discussioni trascorse con personaggi che rimangono ignoti, tranne uno:
… La prima notte la trascorse in un motel fuori Midland Texas. Si fermò uscendo dalla superstrada qualche ora dopo mezzanotte. L’aria fredda che entrava dai finestrini del pick-up portava dai pozzi l’odore del petrolio grezzo. In lontananza le luci di una raffineria ardevano sul deserto come le manovre di una nave. Rimase a lungo disteso su quel letto scadente ad ascoltare il rap dei camion diesel che cambiavano marcia e acceleravano entrando nella superstrada dalla stazione di servizio a due chilometri dalla rampa d’ingresso. Non riusciva a dormire e dopo un po’ si alzò e s’infilò una camicia e un paio di jeans e gli scarponi e imboccò il passaggio coperto e uscì per i campi. Quiete. Freddo. Le fiamme che fuoriuscivano dai camini giù ai pozzi ardevano come enormi candele e le luci della città stingevano le stelle a est. Rimase a lungo. Tu credi che ci sono cose che Dio non permetterà, aveva detto lei. Ma lui non lo credeva affatto. Alla luce del motel la sua ombra declinava sulle stoppie. I camion si fecero più rari. Niente vento. Silenzio. Le esili vipere color moquette arrotolate là fuori nel buio. L’abisso del passato nel quale il mondo precipita. Tutto che svanisce come se non fosse mai esistito. Difficilmente vorremmo conoscere noi stessi come eravamo in passato e tuttavia, rimpiangiamo i tempi andati. A suo padre negli ultimi anni aveva pensato di rado. Ci pensò adesso.5
Bobby Western potrebbe essere anche quel figlio che aveva vegliato per tre giorni il padre morto del romanzo La strada.
Il Kid e gli altri
Lasciamo il nucleo narrativo fin qui preso in considerazione e ricominciamo daccapo, dal primo capitolo in corsivo, successivo alla pagina iniziale:
Questo dunque accadeva a Chicago nell’inverno del suo ultimo anno di vita. Nel giro di una settimana avrebbe fatto ritorno alla Stella Maris. Da lì si sarebbe allontanata addentrandosi nei cupi boschi del Wisconsin. Il Talidomide Kid la trovò da un affittacamere su Clark Street.6
Entra in scena un personaggio femminile assente, come quasi sempre avviene con i personaggi femminili nei romanzi di McCarthy. Questa volta, tuttavia, la donna è una protagonista di primo piano: Alicia Western, la sorella di Bobby, morta anni prima e che era già apparsa fugacemente nella conversazione fra Sheddan e Bianca ricordata in precedenza. Da alcune anticipazioni si sa che sarà lei la protagonista di Stella Maris, il prossimo e ultimo romanzo di McCarthy. Da alcuni dialoghi e frammenti descrittivi viene ribadito che fra i due vi fu un’intimità molto prossima all’amore incestuoso. Il secondo personaggio inquietante del capitolo è il Talidomide Kid. Esso rappresenta una doppia evoluzione di altri personaggi: The Kid, il ragazzo, è un adolescente protagonista di Meridiano di sangue. È uno sbandato che incontrerà sulla sua strada uno dei personaggi più terribili della narrativa di McCarthy: il giudice Holden, forse un richiamo amaro e ironico a un personaggio iconico della narrativa americana: il giovane Holden di Salinger. Il prototipo più prossimo al Talidomide Kid di questo romanzo è Harrogate in Suttrie. In quest’ultimo si manifesta un’umanità primordiale, vicina al mondo animale, predatoria e governata dalla pulsione. Talidomide Kid, che diventa poi nel corso della narrazione il Kid, è una figura molto più complessa. Il primo livello lo cogliamo in questa descrizione:
… Lui prese a fare su e giù ai piedi del letto. Si fermò per parlare e ci ripensò riprese a fare su e giù, strofinandosi le mani come il cattivo di un film muto. Solo che naturalmente non erano vere mani . solo pinne. Tipo quelle delle foche. La sinistra delle quali adesso gli reggeva il mento mentre lui si soffermava a studiarla. 7
Superficialmente è un focomelico devastato dalla talidomide, ma è appunto l’aspetto più superficiale. McCarthy unisce nel personaggio tre diverse stratificazioni: è un corpo martoriato dai disastri causati dal farmaco diffuso negli anni ’50-60; ma nel suo aspetto di scienza deviata o fallita è un altro capitolo del male assoluto. Il terzo livello è il più estremo: il Kid è un incubo che tormenta Alicia Western fin da quando era bambina e dunque si tratta di un personaggio del tutto immaginario creato da una mente psicotica, ma che elabora e incarna incubi realmente esistenti.8 In quanto personaggio, infatti, esso rimanda ad alcune ossessioni statunitensi fra le più tipiche, che emergono anche nelle conversazioni che possiamo definire normali: la paura degli alieni, dei russi, i complotti della Cia, la persecuzione da parte degli organi di polizia federali. Sono tutti elementi che troviamo anche nell’altro nucleo narrativo: i poliziotti che interrogano Bobby, frammenti di conversazioni in cui il tema dell’alieno o quello di morti misteriose, compaiono nei dialoghi con Sheddan, Borman, Kline; oppure in accenni a vicende che non vengono mai del tutto spiegate.
L’ossessione della sorella di Bobby, che sarà indirettamente anche la causa della sua morte, sembra però la riedizione romanzata e al femminile della psicosi vera patita da un personaggio reale e assai famoso negli Stati Uniti: il grande matematico John Nash, la cui vicenda è stata immortalata anche nel film A beautiful mind. I parallelismi fra le due vicende sono troppi e troppo vistosi per essere casuali, a cominciare dal nome della donna che riuscì a salvare il matematico, Alicia, una giovane studentessa di fisica che si era innamorata di lui e riuscirà a stargli vicino anche nei momenti peggiori della sua malattia. Alicia, proprio come la sorella di Bobby, anche lei grande matematica che ha cercato di uscire dal caos dei suoi incubi, materializzati nella figura del Kid, affidandosi alla potenza ordinatrice del numero. Sarà lei a mettere la parola fine al suo tentativo di salvezza perché:
… Certe cose un numero non ce l’hanno … 9
Se il Kid è la malattia psichiatrica di Alicia, chi legge comincia a percepire a metà del libro che gli isomorfismi fra gli incubi della sorella e la stessa vicenda di Bobby modulata apparentemente intorno ai cliché tipici del genere giallo, fanno emergere la struttura sottostante della strategia narrativa di McCarthy: quella di un puzzle oppure di un affresco che chi sta leggendo vede nel suo farsi, ma a cui manca sempre qualcosa. Sarà poi tutto vero che Bobby ha visto un aereo su un fondale con nove morti a bordo? Gli agenti che lo cercano e che gli perquisiscono la casa esistono davvero? Oppure sono semplicemente agenti che inseguono un evasore fiscale qualunque o si riferiscono a fatti precedenti il tempo di questa narrazione? La fuga di Bobby è reale oppure sta fuggendo da qualcosa d’altro? Di capitolo in capitolo il peso del senso di colpa nei confronti della sorella diviene sempre più evidente, Bobby ne è ossessionato, nonostante che della relazione incestuosa non esistano in definitiva prove certe. Il suo vero cruccio, però, è di non averla saputa proteggere dai suoi incubi, di non aver saputo proteggere la sua straordinaria intelligenza e la sua bellezza. È proprio da tutto questo che Bobby sta fuggendo e la chiave sta in uno dei capitoli più drammatici e sorprendenti del romanzo. Nella sua fuga Bobby raggiunge una baracca a sud della Baia di St Louis. Vive di pesca e di espedienti in attesa di riprendere il viaggio. Una notte viene svegliato da un fulmine e da un violento bagliore. Nel silenzio e nel buio interrotto ogni tanto da altri bagliori Bobby vede qualcuno seduto sulla poltrona in un angolo della stanza: è Il Kid. Inizia fra loro due un dialogo nel quale il grottesco e il drammatico, il banale e il volgare, si mescolano in modo inestricabile. Il Kid si aspetta che Bobby gli faccia delle domande sulla sorella, ma lui non sa se fidarsi di quello che vede: è un incubo o un sogno? Chi legge si trova nella condizione di non poter decifrare con certezza ciò che sta davvero accadendo, se non per un particolare stilistico: il capitolo a differenza degli altri in cui compare il Kid non è in corsivo ma in tondo; come a dire che non si tratta di un’allucinazione ma di qualcosa che appartiene alla realtà. Sarà proprio così? La fine del dialogo non scioglie l’enigma: potrebbe essere un sogno, potrebbe essere un incubo o entrambe le cose in momenti diversi.10
Il capitolo in questione, tuttavia, segna una svolta, che porterà in breve alla conclusione di entrambi i nuclei narrativi. La fuga di Bobby è quasi giunta al termine. Trascorre l’inverno in una catapecchia assediata dai topi che lui cattura con le trappole per poi liberarli. Nella parte finale, alcuni dei nuovi personaggi sono morti o scomparsi: Oiler, Sheddan di cui Bobby riceve una lettera dall’ospedale in cui si trova. Dopo aver brindato nel ricordo dell’amico appena morto e delle tante bevute fatte insieme, l’ultima persona che Bobby incontra prima di espatriare e raggiungere l’Europa è la trans Debussy. Si danno appuntamento in un locale pieno di militari inglesi, particolare che sembra trasportate tutta la vicenda in un altro tempo. Il cameriere li guida in una saletta dove non saranno disturbati. Bobby vuole vederla perché desidera che sia lei la custode delle lettere che si sono scambiati lui e Alicia. Debussy si commuove nel leggerle e la serata, struggente ma in qualche modo pacificata, si chiude con questo dialogo:
… Bobby?
Sì.
Lo sai che ti amo.
Lo so. In un altro tempo. In un altro mondo.
Lo so. Buonanotte.11
Per concludere
Senza dimenticare la prossima uscita di Stella Maris, dalla quale mi aspetto finalmente qualche parola definitiva sull’enigma del femminile in McCarthy, la riflessione finale ma in progress intorno al romanzo verte su quattro diversi elementi e su alcune considerazioni intorno allo stile.
Il primo elemento convoca un convitato di pietra e testimone: Franz Kafka. Molte e diverse sono le analogie che lo chiamano in scena. La prima riguarda i personaggi semi umani come Harrogate o il Kid. Essi hanno tratti simili ai folli e gli aiutanti, che insieme agli animali sono i personaggi prediletti della narrativa kafkiana e quelli da cui traspare il limite della saggezza umana. Gregor Samsa trasformato in scarafaggio è solo il caso più vistoso: ma come non ricordare Odradek e la talpa gigante del racconto Il Maestro del villaggio, o la topolina cantante Josefine del racconto Il popolo dei topi solo per ricordarne alcuni; ma topi muschiati, nutrie e salmerini sono una presenza continua nei romanzi di McCarthy, oltre ai due ricordati e con gli animali anche Bobby sembra vere sempre un rapporto di rispetto e vicinanza emotiva. La seconda analogia sta in un frammento, non un vero racconto, scritto da Kafka nel 1910: Desiderio di diventare un indiano:
Se si fosse almeno un indiano, subito pronto e sul cavallo in corsa, torto nell’aria, si tremasse sempre un poco sul terreno tremante, sinché si lasciando gli sproni, perché non c’erano sproni, si gettavano via le briglie, perché non c’erano briglie, e si vedeva appena la terra innanzi a sé come una brughiera falciata, ormai senza il collo la testa del cavallo!12
Questo testo, citato anche nel saggio che Walter Benjamin dedicò a Kafka, è certamente enigmatico, ma c’è comunque in esso un’intuizione che il praghese riprenderà nel suo romanzo più anomalo e cioè America: è la fascinazione per lo spazio, per l’assenza di confini e barriere, una dimensione che è quasi sempre estranea alla narrativa di Kafka, dove domina la dimensione del villaggio, la piccola comunità o il castello come simbolo del potere. Karl Rossman, l’ennesima personificazione di Kafka, si perderà in America come i suoi omologhi europei, ma lo farà nello spazio invece che nei meandri della burocrazia europea incomprensibile. Le vicissitudini che Rossman vive negli Usa non sono infondo diverse dalle altre. Anche lui è un uomo che è quasi sempre fuori posto, la cui dimensione è una riga sopra o una riga sotto gli eventi: solo che lo spazio gli permette di cambiare e sperimentare fino a che s’imbatte nel teatro dell’Oklahama.13 Siamo nei capitoli finali del romanzo, Rossman legge un bando in cui il teatro dell’Oklahoma, assume gente, ognuno può proporre il suo numero.14 Cosa affascina Rossman di quel bando? Egli lo afferma più volte in forme diverse: nel teatro tutti vengono assunti, tanto che anche lui può trovare in esso il suo posto. Nel capitolo finale gli assunti vengono caricati su un convoglio per raggiungere la capitale dell’Oklahoma e il treno si muove per un viaggio che sembra interminabile: questa potrebbe essere la ragione vera e profonda per lasciare incompiuto il romanzo.15
Che cosa è Il passeggero se non un grande teatro globale? Sono stati davvero tutti assunti nel romanzo. La messa in scena di quest’opera totale è un mondo in cui il senso si frantuma in una temporalità postuma e orizzontale dove confluiscono in ordine sparso e senza alcuna logica apparente, frammenti di discorsi, intuizioni filosofiche, una sorta rassegna di tutti gli infiniti dibattiti intorno alla religione, brani di discussioni scientifiche. Il tutto in una dimensione senza tempo o di tutti i tempi, una sorta di rappresentazione circense senza soluzione di continuità: un numero dietro l’altro, un clown dopo un funambolo, un domatore di animali improbabili dopo i voli di un trapezista.
Il secondo elemento mi riporta a un interrogativo lasciato in sospeso e cioè se nella rappresentazione corale dei suoi personaggi che McCarthy ha allestito sono stati convocati proprio tutti. Ne manca uno: l’ex detenuto nero protagonista di Sunset limited. Questo testo, di rara potenza anche per via della sua brevità, è fra i più rappresentati negli Usa e ne è stato tratto un film. La trama è molto semplice: un dialogo drammatico e incalzante fra due personaggi. Si sono conosciuti per caso alcune ore prima quando un anziano professore bianco ha cercato di gettarsi sotto un treno, ma è stato salvato in extremis dell'ex detenuto nero. Il dialogo si svolge all’alba in una stanza dell’appartamento in cui vive l’uomo di colore. Inizialmente i due si fronteggiano in silenzio, seduti a un tavolo collocato al centro della stanza. L’ex detenuto cerca di trattenere il più a lungo possibile con sé l’ospite, convinto che una volta lasciato solo, tenterà di nuovo il suicidio. Mangiano insieme, poi il nero decide di rompere gli indugi: è un uomo che nel carcere è diventato profondamente religioso e si avvale della sua fede per cercare di convincere l’altro a vivere. Il professore ascolta, ma il suo fastidio cresce, il dialogo sempre più drammatico non scalfisce le sue convinzioni, che il professore ribadisce con greve cinismo, fino a che non abbandona bruscamente l’appartamento. L'ex detenuto, ammutolito, medita sconsolatamente, poi immagina di parlare con Dio chiedendogli perché ha suggerito al professore le parole giuste e convincenti che a lui non sono state concesse.
Il terzo elemento è la conclusione della fuga di Bobby, questo sorprendente balzo aldilà dell’Oceano Atlantico per raggiungere Ibiza. Su quest’ultimo capitolo due brevi premesse. La prima è che solo su di esso si potrebbe scrivere un intero saggio, la seconda riguarda la collocazione temporale, necessaria in questo caso, perché è il narratore stesso che si preoccupa di suggerirla. Siamo nella nostra contemporaneità. Nelle prime righe del capitolo infatti Bobby vede un ragazzo e una ragazza che si passano una canna.16 Siamo dunque qui e ora. Anche in questo capitolo tornano sogni e flash back ma siamo però certi che la fuga di Bobby trova una sua conclusione contemporanea a noi che leggiamo. Esaurite le premesse è proprio su Ibiza che va posta l’attenzione. L’isola spagnola ebbe un ruolo importante, come Capri, nei primi decenni del secolo scorso e durante la Seconda Guerra Mondiale. Entrambe anse della storia e rifugi, diedero ospitalità in momenti diversi a rivoluzionari e intellettuali in fuga perché perseguitati dalle dittature nazifasciste. Molti di loro avrebbero trovato ospitalità proprio negli Stati Uniti, contribuendo non poco, nel bene e nel male, alla vita sociale, politica e culturale di quel paese. Bobby compie il percorso inverso, ma tale ritorno in Europa non ha nulla a che fare con la fuga di intellettuali e poeti statunitensi degli anni ’10-30 del secolo scorso: Hemingway ed Henry Miller solo per citare due famosi esempi. La fuga di Bobby sembra piuttosto l’uscita da un incubo o il sogno di una possibile uscita e infatti il capitolo finale ha un andamento più pacato, terminale ma in qualche modo riconciliato. A Ibiza, Bobby vive una sorta di tempo postumo, parla con i pescatori, in un uno dei dialoghi rivela l’intenzione di essere sepolto proprio nell’isola.
Il quarto è una riflessione ulteriore su quanto detto nella premessa e cioè che Il passeggero è un romanzo che richiede la cooperazione e un’attenzione continua da parte di chi legge e ciò mi riporta anche a un discorso sullo stile e le caratteristiche della narrativa di McCarthy, che da sempre attinge alla grammatica e alla sintassi di altre forme d’arte, al cinema prima di tutto. Ne Il passeggero tali caratteristiche vengono portate alle estreme conseguenze.17 Quali ulteriori elementi sono presenti in quest’opera rispetto alle precedenti? Il primo riguarda ancora una volta il cinema. La rapidità dei dialoghi, il passaggio da un personaggio all’altro s’intensifica ulteriormente e si estremizza perché in questa narrazione flash back, contemporaneità o riflessione estemporanea si scompongono in frazioni sempre più piccole che si susseguono a una velocità vertiginosa. È arduo citare questi passaggi perché si finisce per dover riportare pagine intere, ma una parte già citata e che riporto di nuovo può forse aiutare a capire meglio:
… In serata scese al bar e ordinò un hamburger e una birra. Nessuno gli rivolse la parola. Quando uscì, Josie puntò il mento verso di lui. Mi spiace. Bobby disse. Lui annuì. Risalì la strada. L’antica pavimentazione di pietra madida di umidità. New Orleans, 29 novembre1980 …
Il capitolo in questione inizia alla pagina 115. Se stiamo alla frase finale siamo nel 1980 e quindi è un ricordo quello che emerge e che rimanda subito ad un altro, che chiama in causa il padre e il progetto Manhattan, cui egli ha lavorato insieme a Teller Oppenheimer e altri. I racconti terrificanti del padre sui sopravvissuti di Hiroshima, alcuni dei quali vennero curati negli Usa, si susseguono a un ritmo incalzante fino a che il registro cambia di colpo:
Gli aveva scritto 37 lettere e benché le conoscesse tutte a memoria lui continuava a rileggerle. …18
Si potrebbe pensare che stia parlando del padre ma subito dopo:
Le aveva chiesto se credeva in una vita ultraterrena e lei aveva detto che non a escludeva. Che era possibile. Dubitava soltanto che fosse destinata a lei … Concluse dicendo che a Dio non interessava la nostra teologia ma solo ilo nostro silenzio …19
Non è del padre che sta parlando ma della sorella e infatti subito dopo emerge il ricordo di un viaggio da Città del Messico quando Alicia aveva 18 anni.
Un punto va chiarito immediatamente poiché quanto scritto potrebbe suggerire che siamo in presenza di un flusso narrativo: è così ma esso non ha alcuna somiglianza con lo stream of counsciousness in Joyce o in Wolf. In loro l’elemento psicoanalitico è centrale mentre non ha alcun ruolo in McCarthy. Non devono trarre in inganno i capitoli in cui avvengono gli strani colloqui con Kline (pag215-38 e poi 285-90), dove alcuni aspetti del dialogo interno a una seduta di analisi vengono ripresi ma solo per farne la parodia e infatti i dialoghi in questione - quanto ad aspetti surreali - sono simili a quelli fra Bobby e gli agenti. Kline in alcuni tratti assume piuttosto le caratteristiche di un paradossale inquisitore. Di quale tipologia di flusso si tratta allora? Il Passeggero è un romanzo notturno, scritto da un vegliardo, un senex che si avvicina sempre più al crepuscolo. Tutta la narrazione è immersa nel buio: è la notte incipiente che lo assedia, talvolta squarciata da bagliori. Credo che a ognuno sia capitata l’esperienza di risvegliarsi bruscamente dal sonno e ritrovarsi dentro un flusso di pensieri e sensazioni in cui l’incubo e il sogno, la memoria a sprazzi di eventi o situazioni si accavallano veloci. È questa la tipologia di flusso che McCarthy cerca di riprodurre in questo romanzo, senza alcuna dietrologia analitica. Proprio la velocità dei passaggi pone però un limite alla cooperazione di chi legge ed essa non può arrivare fino a sciogliere tutti gli enigmi del testo. Alcuni passaggi rimangono sospesi in una impossibilità a decidere che è però qualcosa di più e di diverso da un detto ripetuto a iosa e stantio: che un’opera d’arte non può essere spiegata. Perché il romanzo di McCarthy è anche un’opera sulla post verità e sulla manipolazione della realtà. L’abilità virtuosistica nell’uso del linguaggio da parte dello scrittore porta al limite la possibilità del giudizio. Se l’arte è una finzione che dice la verità che altri linguaggi non riescono a dire, ne il Passeggero, McCarthy ci porta davanti a una soglia ancora più sinistra.
Cosa rimane alla fine di una lettura avventurosa e coinvolgente come questa? Giunto all’ultimo capitolo e immaginando una moviola che riavvolga il romanzo rapidamente per intero, restano le descrizioni naturali estreme, ma specialmente le voci, frammentarie e intense, a volte urlanti, a volte poco più di un sussurro, a volte le voci degli animali; dei topi, per esempio. Tutte insieme a me sembrano un canto funebre e corale: un requiem statunitense. |