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La classe morta PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Dopo il diluvio: discorsi su letteratura e arti
Mercoledì 15 Maggio 2024 07:29

Franco Romanò

Lo spunto che mi ha spinto a scrivere questa riflessione è il dibattito che c’è stato intorno a un saggio pubblicato di Antonio Attisani su Doppiozero. L’articolo è indubbiamente interessante per molti aspetti, tanto che inizierò proprio da una citazione del suo saggio, mentre non mi convince la lettura politica che ne dà. La classe morta è stata nella drammaturgia del secondo ‘900 un evento e non solo uno spettacolo, poi è stato lasciato in un relativo oblio e nessuno si è posto il problema di metterlo di nuovo in scena, anche se alcuni lavori si sono ispirati ad esso. La mia rilettura ruota intorno a una domanda: cosa ci può dire oggi quell’evento? A mio avviso molto, ma in un senso che, pur presente anche in un breve passaggio del saggio di Attisani, viene poi da lui abbandonato.

Il teatro della morte

Il brano di Attisani che riprende anche alcune affermazioni di Kantor rispetto alla sua drammaturgia è questo:

… occorre piuttosto pensare alla scena come montaggio di elementi della “realtà pronta” (objets trouvés) e riconoscere il “ruolo del CASO” nella creazione.

Continua Attisani:

Siamo qui all’indeterminismo della fisica quantistica. Quando si esprime nel difficile linguaggio della nuova fisica, quando Kantor dichiara di rimpiangere un teatro che:

“si liberava dai vincoli della vita e dell’uomo, produceva degli equivalenti artificiali della vita, che si assoggettavano all’astrazione dello spazio e del tempo, erano più viventi e capaci di raggiungere l’assoluta coesione”,

dobbiamo intendere quelle parole alla luce dei suoi spettacoli meravigliosi, della loro semplice grandiosità che toccava il cuore degli spettatori più diversi.

 

Questo passaggio, che Attisani inserisce quasi distrattamente nel suo saggio, è per me la chiave più attuale per tornare all’opera di Kantor a quasi mezzo secolo di distanza. Penso infatti che La classe morta sia una delle più potenti – forse la più potente - rappresentazione degli esiti cui porta la nuova fisica atomistica e poi quantistica che Carlo Rovelli, peraltro, ha definito una fisica che non riguarda e non si occupa del vivente. Lascio sullo sfondo la domanda a che cosa serva e di chi è al servizio una fisica che non si occupa del vivente, ma visto che a dirlo è un fisico di primo piano, mi sento autorizzato a porla. Torniamo allora agli alunni della classe morta.

Essi sono l’equivalente artificiale della vita come afferma Attisani sulla scorta della affermazioni dello stesso Kantor e lo sono in un duplice senso: da un lato sono ridotti a particelle/marionette che pur interagendo fra di loro non producono alcuna relazione, oppure reazioni casuali e indeterminabili basate sul principio di entanglement. L’assoluta coesione che raggiungono è la coesione della morte, oppure l’equivalente artificiale di una vita che non esiste più. Non per caso il manifesto che accompagna l’evento s’intitola proprio Il teatro della morte.

Lascio per il momento il discorso critico estetico su Kantor e passo a cosa invece non mi convince per niente nello scritto di Attisani e cioè la sua lettura politica. Attribuire il fascino che lo spettacolo esercitò sul pubblico che nel mese di gennaio del 1978 assistette alla messa in scena al CRT, collegando tale fascino al rapimento Moro che sarebbe avvenuto a marzo dello stesso anno e vedendo in quella rappresentazione una critica senza appello del processo rivoluzionario novecentesco, è a mio avviso una forzatura. In primo luogo perché il fascino che esercitò quel lavoro al momento della sua rappresentazioni fu limitato a una nicchia di spettatori:quella messa in scena fu  un evento che non lasciò una vera traccia perché - lo afferma Attisani stesso in altra parte del suo intervento - l’avanguardia italiana di quegli anni e cioè De Berardinis, Bacci con il festival di Santarcangelo di Romagna e Carmelo Bene, andavano in una direzione diversa, a parte Bene, il cui espressionismo ha certamente delle affinità con i personaggi della Classe morta. La seconda ragione di dissenso la rivela Attisani stesso quando dice che non si capiva niente pur capendo tutto: ma cosa vuol dire un’espressione del genere? Se rimaniamo sul piano della poetica teatrale questo vale per il teatro gestuale e sonoro, per gli esprimenti di John Cage e altri, ma forse sul piano politico questo significa semplicemente che nel 1978 decifrare Kantor non era per niente facile visto che persino Attisani arriva alle sue deduzioni dopo decenni. Forse nel relativo oblio in cui è stato lasciato quel testo bisogna leggere anche tale difficoltà. Se da un lato Attisani ha avuto il merito di tornare a riflettere e far riflettere su quel testo, attribuirgli ciò che gli attribuisce non solo è un parlare col senno di poi ma un mettere in bocca a Kantor un’ipotesi che non ha riscontro. Chi lo vide allora non so bene cosa comprese, quando lo vidi per la prima volta non ne colsi alcuna valenza politica specifica ma piuttosto la grandiosità teatrale che s’inseriva però nella migliore tradizione europea delle avanguardie.

La lettura di Attisani vede nella degenerazione terroristica italiana la metafora della fine del mito rivoluzionario, ma tutto questo in Kantor non c’è: c’è il ‘900 con le sue tragedie, compresa quella della deriva del socialismo reale, ma al tempo stesso molto di più. Allora per chiudere la questione politica e poi tornare al testo, forse occorre domandarsi che ruolo ha la storia nella Classe è morta e come essa viene trattata. Dai richiami biblici a Salomone e David, ai miti greci più arcaici come quello di Prometeo, dall’esecuzione del re di Francia per arrivare al ‘900 si potrebbe dire che c’è di tutto ma senza una relazione di senso fra un evento e l’altro: tutto è ridotto a pulviscolo particellare e quanto ai morti, vedere nei cadaveri rimpiccioliti il solo ‘900 è un’altra forzatura. La citazione del giornale in cui si annuncia l’assassino di Francesco Ferdinando e che allude alla Prima Guerra Mondiale, convive con i richiami ai filosofi greci, lo stesso dicasi per la ragazza che entra in scena con la bandiera rossa. Certo, siamo nel ‘900, ma la storia ha uno spettro amplissimo e non può essere ridotta a una parodia grottesca della fine degli ideali rivoluzionari. Se mai, ripensando oggi a quel testo e dopo averlo rivisto, con il senno di poi anche da parte mia, certo, ma con i piedi ben piantati dentro la nostra contemporaneità, se c’è un ‘900 nella classe morta di Kantor, è quello di Oppenheimer e infatti la matematica e la fisica tornano spesso nella partitura del testo; prendersela con la fine delle rivoluzioni è davvero un guardare il dito invece che la luna. L’umanità della classe è morta è quella che - parafrasando Kantor - non è mai stata viva, è l’umanità che non é riuscita a uscire dalla preistoria ed è a questo che bisogna tornare a ribellarsi. Registrare a cinquant’anni di distanza la liberazione dalle utopie rivoluzionarie diventa allora un modo per non vedere che siamo ricaduti in una forma nuova di ancien regime. Quanto a Kantor, il suo ultimo spettacolo – quello sì squisitamente politico -  un mese prima della sua morte e intitolato Oggi è il mio compleanno, era una requisitoria senza appello sulla fine dell’Europa, l’anno è quello della guerra jugoslava.

Tornando infine al testo La classe morta sta dentro il percorso della migliore avanguardia del ‘900 e questo Kantor lo sa e lo dice, anche se poi aggiunge che tale avanguardia va superata; ma lo afferma in polemica con la deriva del cosiddetto teatro impegnato a lui contemporaneo. Quando Attisani lo intervista proprio allora e gli suggerisce un rapporto con Kafka, scopre che i suoi riferimenti letterari presenti nel testo erano Bruno Schultz, un autore del tutto sconosciuto in Italia nel 1978, come peraltro il polacco Stanis?aw I. Witkiewic, autore di Tumore cervicale. Sono riferimenti del tutto estranei alla lettura politica che ne fa Attisani e se c’è una affinità con Kafka - per me evidente nonostante che Kantor lo neghi - è proprio nel riferimento alle nuove scoperte della fisica. Kafka fu il primo a metabolizzarle dentro la partitura dei suoi testi ma si trattava solo della relatività einsteiniana e non ancora della quantistica specialmente nella sua interpretazione statistica che pur essendo quasi coeva alla relatività conobbe più tardi i suoi sviluppi e anche le polemiche che opposero Einstein al gruppo di Copenhagen. Kantor poteva invece avvalersi anche della quantistica. Se i riferimenti immediati sul piano letterario sono quelli citati da lui è pur vero che la sua drammaturgia è nel solco della migliore avanguardia novecentesca nata nel decennio 1917-1927 in Unione sovietica: Majer’chold, Piscator, L?cis, Brecht in Germania; ma anche gli esperimenti teatrali per la cura dell’autismo che Sabine Spielrein e Vera Schmidt fecero all’ospedale di Rostok, esperimenti che furono ripresi dallo pseudo teatro di Jerzy Grotowskj e poi negli asili nido socialisti della Ddr e nel ’68 berlinese. Il living theatre nasce nei laboratori che Piscator tenne nel dopoguerra e a cui parteciparono Judith Malina Julian Beck per approdare poi anche in America Latina grazie a Paulo Freire.

 

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