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Tardo capitalismo e globalizzazione. Frederic Jameson e il postmodernismo PDF Stampa E-mail
Aree tematiche - Dopo il diluvio: discorsi su letteratura e arti
Venerdì 01 Gennaio 2010 00:00
Indice
Tardo capitalismo e globalizzazione. Frederic Jameson e il postmodernismo
Elaborazioni secondarie
Media e mercato
Tutte le pagine
di Paolo Rabissi


La postmodernità, afferma Jameson, non è altro che l’attuale fase storica del capitalismo, la terza, quella della globalizzazione. Quali le forme culturali e le strutture di questa fase? La logica culturale egemone è organizzata intorno ai due unici soggetti visibili, il mercato e i media. Con questa caratteristica fondamentale: che il mercato come luogo fisico tende gradualmente a scomparire a favore di una intima simbiosi tra mercato e media di cui è segno decisivo la tendenziale identificazione della merce con la sua immagine (cioè con il marchio o il logo). Caratteristica ulteriore è l’integrazione della produzione estetica nella produzione di merci in generale: la frenetica necessità di produrre assegna all’innovazione e alla sperimentazione estetiche una funzione sempre più essenziale. Jameson individua tre categorie estetiche che caratterizzano il postmoderno: la scomparsa della profondità, la scomparsa della storicità, la scomparsa dello stile individuale a favore dei gruppi.

Fredric Jameson (Cleveland, 14 aprile 1934) è un critico letterario e teorico politico statunitense. E’ conosciuto per le sue analisi sulle correnti culturali dell'età contemporanea: ha descritto il postmoderno come una spazializzazione della cultura sotto la pressione del capitalismo organizzato. Il libro più noto di Jameson è "Il postmoderno: la logica culturale del tardo capitalismo" edito in Italia da Fazi. Lo studioso americano attualmente ricopre una cattedra di Letteratura e lingue romanze presso la Duke University, in North Carolina e sta attualmente completando un libro che dovrebbe intitolarsi Valences of the Dialectic (Valenze della dialettica) e che dovrebbe includere risposte critiche dello studioso a noti fautori del postmodernismo come Slavoj Zizek, Gilles Deleuze e altri.

Nonostante che postmodernismo sia un termine precocemente invecchiato, a noi sembra di poter affermare, insieme con Frederic Jameson, che non esiste tuttora un altro concetto cui il termine rimanda ‘capace di rappresentare le questioni dell’oggi in modo tanto efficace e vantaggioso’. Per questo ci sembra importante richiamare ancora l’attenzione su questo autore e sul suo “Postmoderrnismo, le logiche culturali del tardo capitalismo”, (Fazi, 2008). Fredric JamesonMa in particolare anche alla prefazione di pugno dell’autore per l’edizione italiana, nella quale si trova la risposta a un quesito che ci interessa da vicino: che relazione c’è o bisogna stabilire concettualmente tra postmodernismo e globalizzazione? L’autore scrive questa prefazione nel 2007 e con essa egli getta un fascio di luce che serve a chiarire decine e decine delle pagine del testo vero e proprio come se, avvenuta una certa distanza temporale dai contenuti (il libro era uscito negli USA nel ’91), l’autore stesso abbia saputo con maggiore felicità di sintesi nominare le sue riflessioni.

La postmodernità, afferma Jameson, non è altro che l’attuale fase storica del capitalismo, la terza, quella della globalizzazione. Nella quale il capitalismo ha raggiunto la sua espressione più ‘pura’, in piena sintonia con le analisi di Karl Marx e di Ernest Mandel. Se la modernità, corrispondente alla fase imperialistica siglata da Lenin, è l’espressione di una modernizzazione incompiuta, la postmodernità è l’espressione di una modernizzazione e di una mercificazione molto più compiute.

Con il suo lavoro Jameson ci propone un quadro teorico, quello appunto della postmodernità, di quest’ultima e complessa fase del capitalismo. Di questo quadro teorico arco portante è la segnalazione da un lato delle fratture radicali tra le nostre esperienze di oggi e quelle della fase precedente del capitalismo, cioè quella del moderno, e dall’altro della continuità tra le strutture della globalizzazione e quelle appunto delle prime fasi del capitalismo analizzate da Marx.

L’identificazione tra postmodernità e globalizzazione lascia alle spalle diverse discussioni che a suo tempo il libro aveva suscitato. Così si esprime Jameson: “…rispetto ad allora [al ’91]

abbiamo scoperto che la globalizzazione è la postmodernità e viceversa, che si tratta cioè di due nomi diversi per descrivere esattamente lo stesso fenomeno storico e lo stesso periodo economico: uno sottolinea la sua espansione economica, l’approssimarsi a un mercato mondiale definitivo, l’altro mette a fuoco le strutture e le forme culturali nelle quali è giunta a esprimersi questa mutazione”.

Va aggiunto subito che l’attenzione di Jameson è sostanzialmente data alle forme culturali e alle loro strutture mentre quanto concerne i caratteri dell’espansione capitalistica e il suo mondializzarsi è dato per dimostrato e acquisito. Questo atteggiamento riguarda anche la lotta di classe e in particolare le soggettività rivoluzionarie: Jameson non le esclude affatto dalla teoria astratta ma in pratica non parla mai dei modi di produzione delle merci diciamo ‘tradizionali’, delle nuove forme di espropriazione e proletarizzazione in corso nelle aree cinesi, indiane e sudamericane, né fa cenno alla soggettività femminile anche se ne riserva qualcuno per gli studenti in un repéchage di evidente matrice althusseriana. Insomma problemi politici e prassi sembrano spariti e l’unica forte dimensione critica del presente sembra restare la condivisibilissima critica della merce (in buona sostanza di origine francofortese) quella cioè secondo la quale la merce appunto ha invaso la coscienza nonché la sfera inconscia dell’esistenza umana.

 



 

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