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Sulla centralità del lavoro e il necessario conflitto che l'accompagna PDF Stampa E-mail
Venerdì 24 Aprile 2020 16:49

di Sandro Moiso

Rilanciamo con piacere questa lucida e completa analisi su lavoro capitalismo e coronavirus da www.carmillaonline.com

Sandro Moiso è studioso e autore di testi sulla musica, la cultura e la storia americane, ma anche polemologo e docente di Storia. Ha scritto per “L’Indice dei libri del mese” e fa parte del collettivo redazionale di “Carmilla”. Quest’anno ha festeggiato il cinquantesimo anniversario di una militanza radicale iniziata all’età di quindici anni, un po’ per scelta e un po’ per caso.

Il lampo del virus illumina l’ora più chiara.
Smaschera il mondo in maschera
.

Viviamo giorni di confusione, ma anche di grande chiarezza.

Il balletto del tutti contro tutti che si svolge a livello politico (nazionale e locale), scientifico (con il dilagare degli esperti e delle task force) e mediatico dovrebbe aver già da tempo aperto gli occhi dei cittadini e dei lavoratori. Date di riapertura diffuse come se ciò non avesse conseguenze sull’andamento del contagio e da quest’ultimo non dovessero dipendere, ottimismo sparso a piene mani su un picco che dovrebbe assomigliare a un altipiano (per il tramite di ingegnose acrobazie linguistiche, geomorfologiche e statistiche), dati di una autentica strage a livello sanitario che i partiti istituzionali si rimpallano, con minacce di inchieste e commissariamenti, tra Destra e Sinistra come in una partita di volley ball, noiosissima e già vista centinaia di volte. Una guerra tra rane, topi e scarafaggi che, se fosse ancora vivo Giacomo Leopardi, sarebbe degna soltanto di un nuova “Batracomiomachia”.

In questo autentico bailamme, che sembra soltanto peggiorare di giorno in giorno, sono però ancora troppi coloro che, pur animati dalle migliori intenzioni, affrontano le questioni legate all’attuale pandemia in ordine sparso. Rincorrendo il momento, chiedendosi quando si potrà ricominciare ad agire, senza chiedersi su cosa si potrebbe davvero incidere, scambiando un problema per il “problema”, anteponendo l’idea dell’azione allo studio delle azioni necessarie, contrapponendo l’individuale al sociale oppure scambiando per sociale ciò che in sostanza è individuale. In una girandola di iniziative che tutto fanno tranne che fornire prospettive concrete per un’uscita dall’attuale catastrofe che, occorre ancora una volta dirlo, non è né naturale né umanitaria, ma derivata direttamente dalle “leggi” di funzionamento del modo di produzione capitalistico. Come afferma Frank M. Snowden, storico americano della medicina, nel suo Epidemics and Society: non è vero che le malattie infettive “siano eventi casuali che capricciosamente e senza avvertimento affliggono le società”. Piuttosto è vero che “ogni società produce le sue vulnerabilità specifiche. Studiarle significa capirne strutture sociali, standard di vita, priorità politiche”1

Gli elementi che potrebbero aiutare a definire il campo per un intervento immediato, concreto e condivisibile a livello di massa sono già molti. Sono compresi nelle parole, nelle promesse fasulle e nei provvedimenti che i governi e i loro padroni, nazionali e internazionali, stanno esplicitando, come si affermava all’inizio, sotto gli occhi di tutti. Una lunga sequenza di leggi, prevaricazioni, distruzioni e violenze che costituiscono la trama della più lunga crime story mai raccontata.

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Cosma impiegato contabile della multinazionale Nestlè, capitolo secondo. Cosma a Colonia, capitolo terzo. PDF Stampa E-mail
Sabato 21 Marzo 2020 21:50

di Paolo Rabissi

Cosma impiegato della multinazionale Nestlè. Capitolo secondo.

Come accade, Cosma aveva cominciato a sentirsi vivo solo dopo aver ottenuto il diploma di maturità a Milano, dove la famiglia si era trasferita. Non ebbe nessuna esitazione, cercò un lavoro e s’impiegò come contabile alla Locatelli, un’azienda casearia allora di proprietà della multinazionale Nestlè, con sede nella Torre Velasca. Un anno a fare conti, controllare conti, proiettare conti, neanche avesse alle spalle un diploma di perito contabile. Fuunanno di straordinaria euforia ma anche di malessere. Cosma cercava di raccapezzarsi tra la tentazione di integrarsi definitivamente nella società milanese, col suo diploma di prestigio e un mensile di tutto rispetto, e il fatto che la sua testa era costantemente rivolta alla letteratura, all’arte, alla storia, alla filosofia, alla scienza. Cioè a tutto quanto aveva superficialmente conosciuto al liceo ma verso cui provava grande attrazione. Ma il richiamo all’integrazione nella milanesità era irrrinunciabile. Dalla nascita a Trieste fino all’arrivo a Milano aveva vissuto e frequentato scuole in mezza dozzina di città e cittadine con l’ospitalità, non sempre generosa e disinteressata, di parenti o conoscenti. Già approdare alla sicurezza economica significava rompere con l’indigenza famigliare passata e quel nomadismo subìto, significava accomodarsi in una stanzialità a lungo desiderata. Tanto più la strada per quella integrazione sembrava ormai alla sua portata per via di quella assunzione negli uffici contabili della Locatelli, in quel grandioso grattacielo.

Non gli ci volle molto per rilassare la postura ingessata dei primi giorni, sciogliere le gambe sotto la scrivania, adoperare senza timore la macchina da scrivere nonché quell’oggetto infernale e rumoroso che era la macchina calcolatrice.

Lo stanzone aveva dei grandi tavoli dove erano al lavoro mezza dozzina di impiegati anche loro rumorosi e mai fermi, andavano e venivano dal centro meccanografico sotterraneo portando e riportando le schede perforate che contenevano i dati delle operazioni di  vendita. Questo viavai sui rapidissimi ascensori del grattacielo si univa a quello di venditori, imprenditori, impiegati e dirigenti di altre aziende ospitate ai piani alti. Ogni tanto tutto si intasava e in ufficio c’era un alternarsi di argute osservazioni e finti sdegni sull’efficienza di uno dei massimi simboli della modernità milanese.

Un enorme fallo…! aveva commentato Matteo.

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La soggettività nell'epoca dell'alienazione totale PDF Stampa E-mail
Giovedì 06 Febbraio 2020 14:50

di Franco Romanò

The second part of a study about the intersections between patriarchy and capitalism. As for the first, this essay has been deeply discussed by the editing staff.

La seconda parte di una riflessione sugli intrecci fra patriarcato e capitalismo. Come nella prima parte il saggio è stato lungamente discusso dalla redazione

Introduzione

Riprendiamo il discorso iniziato con il saggio L’intreccio patriarcato-capitalismo libero dai marxismi, affrontando il problema della  soggettività nelle condizioni in cui si pone oggi. Soggettività e soggetto, infatti, non sono sinonimi, come non lo erano e non lo sono classe e coscienza di classe. Qualunque soggetto o più soggetti che si muovono sul terreno della lotta sociale, non possono fare della loro condizione e collocazione oggettiva (o supposta tale) nella dinamica dei rapporti sociali di produzione, il solo strumento teorico d’analisi e orientamento delle proprie scelte, dal momento che, essendo il capitalismo un sistema conflittuale e anomico per natura, non può che produrre conflitti; ma un conflitto che sia la semplice forma pavloviana reattiva rispetto a un sistema intrinsecamente conflittuale, non è di per sé una risposta politica. In altre parole, soggetti, soggettività e soggettivazione sono un processo unico in divenire.

Disincanto del mondo e femminilizzazione del lavoro

Paola Rudan, nella parte iniziale di una recensione alla raccolta di scritti di Silvia Federici a cura di Anna Curcio per Ombre corte e intitolato Reincantare il mondo fa un’affermazione che ci sembra un ottimo  punto di partenza: non ci occuperemo invece, per il momento, della riflessione critica di Curcio sull’opera di Federici in generale:

C’è un rapporto tra il weberiano «disincantamento del mondo» e la violenza contro le donne. L’intensificazione di questa violenza può essere considerata la leva di un processo di riorganizzazione del capitalismo su scala globale, la pratica che fa strada al dominio della tecnica e della razionalizzazione del lavoro che il sociologo tedesco riconosceva come cifra del capitalismo e della sua organizzazione politica nello Stato.

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L'ecomarxismo di James O'Connor PDF Stampa E-mail
Venerdì 04 Ottobre 2019 09:55

di Riccardo Bellofiore

Rilanciamo qui in Overleft, dal sito Palermograd, il commento che Riccardo Bellofiore dedica a James O’ Connors studioso marxista ed ecologista, oggi dimenticato, ma che fu assai in auge nei primi anni ’80, quando l’ecologia cominciava a entrare nell’orizzonte del pensiero di sinistra anche a seguito della rotture epistemologiche del ’68. Questioni come la non neutralità della scienza, l’opera in Italia di studiosi e studiose come Laura Conti, Giulio Maccaccaro, Angelo Baracca ed Ercole Ferrario, segnarono quegli anni. Anche O’ Connors fa parte di quel momento particolare e il saggio di Bellofiore, che problematizza la formazione del valore spingendosi a considerare anche il lavoro riproduttivo della cura, si inserisce bene nel nostro ragionare sui marxismi del ‘900: per questo ci sembra utile riproporlo.

Riccardo  Bellofiore è professore ordinario di scienze economiche all'Università degli studi di Bergamo.

Quasi 30 anni fa usciva sulla benemerita (e ormai quasi introvabile) 'rivista internazionale di dibattito teorico' MARX 101 questo testo, adesso recuperato dall'autore (profetico nell'assenza di trionfalismo "sulla conciliabilità tra lotte operaie e lotte in difesa della natura ") che gentilmente ci permette di ripubblicarlo. L'ultimo libro di James O'Connor (L'ecomarxismo. Introduzione ad una teoria, Datanews, Roma 1989, trad. dall'inglese di Giovanna Ricoveri, pp. 56, Lit. 10.000), autore largamente e tempestivamente tradotto in italiano, ha certamente almeno un merito: quello di proporre, controcorrente, una "conciliazione" tra marxismo e ambientalismo, due corpi teorici e due esperienze politiche che molti vedono invece fieramente contrapposti.

L'obiettivo del saggio è, mi pare, conseguentemente duplice. Ai marxisti, che spesso snobbano con sufficienza la "parzialità" della questione della natura o criticano il troppo tiepido anticapitalismo degli ecologisti, O'Connor vuole mostrare che la difesa della natura è parte integrante dell'apparato categoriale marxiano, e non qualcosa che le è estraneo. Ai "verdi", O'Connor vuole mostrare come un ecologismo coerente non possa che investire globalmente i processi economici e politici su scala planetaria, segnati irrimediabilmente dal dominio del capitale.

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Superare i “confini” della scrittura. Corrispondenze femminili e rapporti coniugali in alcuni epistolari contadini della Grande Guerra PDF Stampa E-mail
Lunedì 13 Maggio 2019 12:49

Introduzione di Paolo Rabissi

Proponiamo, tratto da  DEP. Deportate, esuli, profughe rivista telematica di studi sulla memoria femminile, numero 38 del novembre 2018, il contributo di Augusta Molinari "Superare i confini della scrittura. Corrispondenze femminili e rapporti coniugali in alcuni epistolari contadini della Grande Guerra". Presentazione di Paolo Rabissi e nota finale di Adriana Perrotta Rabissi

Augusta Molinari, insegna storia contemporanea all’Università di Genova. Si è occupata di storia delle migrazioni storiche italiane, di storia del lavoro, di storia delle donne. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Donne e ruoli femminili nell’Italia della Grande Guerra, Selene, Milano 2008; Les migrations italiennes au début du XXe Siécle. Le voyage transocéanique antre évenèment et récit, L’Harmattan, Paris 2014; Una patria per le donne. La mobilitazione femminile nella Grande Guerra, Il Mulino, Bologna 2014. E' tra i fondatori dell’Archivio ligure della scrittura popolare.

Il saggio si propone di cogliere il ruolo che ha avuto la Grande Guerra in Italia nel ridefinire le relazioni di genere e le gerarchie patriarcali nel mondo contadino. La familiarità con la pratica della scrittura acquisita durante la guerra da parte di donne scarsamente alfabetizzate riuscì a superare la staticità dei ruoli sessuali e incrinò il dominio patriarcale.

Nulla come la guerra capovolge i ruoli sociali tra uomo e donna, nulla come la guerra svela come falsa la presunta ‘naturalità’ della divisione dei ruoli. Quella che ospitiamo qui è una corrispondenza tra coniugi contadini durante la prima guerra mondiale e occorre subito dire che la corrispondenza femminile solo da poco è stata valutata di interesse come fonte storica (anche grazie all’opera dell’autrice). Questo scambio epistolare ci offre anzitutto l’immagine di donne che in assenza dell’uomo assumono con ‘naturale’ facilità compiti e responsabilità fin lì di pertinenza dell’uomo: amministrazione dei semi, dei raccolti, delle vendite al mercato, ecc. nonché la cura di tutte le relazioni sociali legate a queste attività. Ma paradossalmente oltre ai segni di una ‘mascolinizzazione’ dei modi di fare della donna, troviamo anche quelli di una ‘femminilizzazione’ dell’uomo che, piegato dalla quotidianità della guerra e spesso dal sentimento della prossima fine, apre la sua scrittura a manifestazioni di affetto e di amore la cui mancanza effettiva gli fa rimpiangere il calore del corpo e della sessualità della moglie. Sentimento nel quale anche lei viene coinvolta con una tensione sentimentale e appassionata che trasuda dalle righe di queste lettere. La parziale messa in crisi dei ruoli patriarcali, pronti ad essere recuperati alla fine della guerra, lascerà qualche segno nel futuro. Sia nel caso dell’uomo che della donna lo sforzo di comunicare tra loro con la scrittura li ha costretti a una ricerca febbricitante di espressioni di senso che dessero corpo ai loro sentimenti d’amore verso la propria unione, verso la vita e il proprio destino umano. Per tutte le coppie prese in esame, ma anche per quelle non presenti, un percorso quasi di autocoscienza e di liberazione di pensiero critico che non potrà non lasciare segni nella loro vita futura, se ci sarà stata. Ma non sarà certo il fascismo, fedele interprete delle strutture millenarie del patriarcato e di quelle rapinose del capitalismo, a raccogliere di lì a poco questi aneliti di libertà dai ruoli.

***

La fatica della scrittura

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Tracce di resistenza e opposizione nel lavoro contemporaneo PDF Stampa E-mail
Lunedì 21 Maggio 2018 15:33

di Paolo Rabissi

Otto saggi di un gruppo di ricercatori/trici che interrogano con il metodo dell'inchiesta sul campo le nuove soggettività del lavoro

Eight essays by a group or researchers who question, by the method of the enquiry, the new subjectivity of labour.

Presentamos ochos ensayos escritos por un grupo de investigadores/doras que se preguntan sobre las nuevas subjetividades del trabajo, el método de investigación utilizado es la técnica de la encuesta.


"Figure del lavoro contemporaneo: un’inchiesta sui nuovi regimi della produzione
Introduzione e cura di Carlotta Benvegnù e Francesco E. Iannuzzi
Postfazione di Devi Sacchetto
(Ombre corte, 2018)"


Che ne è della classe operaia? Che ne è di quel soggetto economico-politico che negli anni sessanta e settanta sembrava in grado di inceppare indefinitamente i meccanismi di riproduzione del capitale con forme organizzative, quasi interamente autonome da partiti e sindacati, di comando sul lavoro? In altre parole come si configura oggi il lavoro?

Il libro in analisi è una buona occasione per fare il punto. Raccoglie infatti un nutrito numero di esperienze diverse che compongono un quadro utile per orientarsi. A patto ovviamente di dare per scontate certe specificità comuni alle varie situazioni: prima di tutto il processo di frammentazione e dispersione di lavoratori e lavoratrici in luoghi di produzione sparsi sul pianeta e poi la implacabile flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro. A ciò si possono anche legare la dissoluzione della contrattazione collettiva, uno dei momenti di forza nell’epoca fordista sopra rammentata, e il declino dei sindacati con il loro fallimento nel tentativo di gestire una precarizzazione limitata alle fasce marginali del mercato del lavoro col fine di salvaguardare gli occupati stabili.

Presupposto di metodo di tutti i saggi del libro sta l’inchiesta sul campo, che è di matrice operaista (dai Quaderni Rossi in avanti fino a Primo Maggio).

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La violenza strutturale della società capitalistico-patriarcale PDF Stampa E-mail
Sabato 17 Novembre 2018 14:03

di Adriana Perrotta Rabissi

La violenza strutturale della società è alla base di tutti gli episodi individuali e collettivi di violenza degli uomini sulle donne

Sono anni, almeno dalla fine del secolo scorso conclusosi sotto l'egida della Conferenza Mondiale di Pechino nel 1995, che si moltiplicano gli inviti alla valorizzazione delle donne oltre che nella sfera del privato familiare anche in quella del pubblico, nel mondo del lavoro e nei settori  della finanza e del management, come risorsa per riequilibrare il progressivo sconvolgimento del sistema neocapitalistico, mettendo a frutto le qualità naturali che oggi definiremmo attitudine alla cura di persone e cose, alla collaborazione e alla mediazione piuttosto che alla lotta, all'empatia verso colleghe e colleghi, al conforto di chi soffre, oltre a una buona dose di senso pratico nel risolvere problemi.

Arriva in soccorso di queste considerazioni la trappola della compassione, la felice definizione che una sociologa statunitense ha dato della funzione patriarcale attribuita alle donne nella divisione sessuale del lavoro, vale a dire il compito di porsi in mezzo agli uomini per moderarne la naturale barbarie, ingentilire i costumi, riparare ambienti, cose e persone ferite fisicamente e psichicamente, mediare nei conflitti nel privato familiare e/o nel pubblico/sociale, grazie alle doti naturali femminili.

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La sinistra, la Cina, la globalizzazione PDF Stampa E-mail
Mercoledì 08 Maggio 2019 13:04

Riproponiamo dal numero dell’autunno 2018 di Critica marxista il saggio di Romeo Orlandi ‘La sinistra, la Cina, la globalizzazione’, con due note redazionali.

Lo scontro USA Cina dentro questa globalizzazione si fa sempre più complesso e rischioso. L’ottimismo ideologico del libero mercato si era spinto irragionevolmente, coinvolgendo anche tutte le sinistre compresa la nostra, a pensare che la globalizzazione sarebbe stata di segno occidentale e che la bandiera della democrazia sarebbe sventolata a Pechino e a Shanghai. E’ successo invece il contrario, la Cina è tutto fuorché democratica ma produce sempre di più e meglio mentre l’Italia punta ancora sul fascino antiquato del made in Italy piuttosto che sull’innovazione.

I fatti mostrano la loro proverbiale ostinazione anche quando registrano gli spostamenti dei container. Sette dei primi otto porti al mondo per tonnellaggio movimentato sono in Cina; Singapore (4°) costituisce l’eccezione. Il porto europeo più trafficato è Rotterdam, confuso al nono posto tra altre posizioni asiatiche e qualche intromissione australiana e statunitense. Alcuni decenni fa la lista era molto diversa, con un predominio delle due sponde dell’Atlantico. Spuntava ancora Genova. La classifica attuale è la fotografia più nitida della trasformazione della Cina in Fabbrica del Mondo. Si potrebbe obiettare che le merci movimentate siano destinate anche al mercato locale, così da ridurre l’impatto internazionale, come se i consumi interni assorbissero questa eclatante supremazia. In realtà, la grande maggioranza delle merci cinesi si dirige verso lidi stranieri. La Repubblica popolare è infatti dal 2009 il più grande esportatore al mondo, dopo avere insidiato e poi superato agevolmente il primato della Germania e degli Stati Uniti.

La sequenza logica che se ne ricava rasenta la banalità espositiva: i porti movimentano i container, che trasportano le merci, prodotte dalle fabbriche, generate dagli investimenti, stimolati dalle opportunità. Sembra di assistere alla famosa cantilena Alla fiera dell’Est. Infatti, la Cina è la destinazione preferita per gli investimenti produttivi provenienti dall’estero. Offre una calamita potente, un cocktail imbattibile di stabilità politica, costo contenuto dei fattori di produzione, eccellente rete infrastrutturale, promessa di un immenso mercato interno. Nessun paese è in principio così attraente come la Cina per le multinazionali. Questi due soggetti hanno dato vita al più bizzarro matrimonio di interessi della storia economica moderna. Spinti da fini diversi, ma complementari e convergenti, hanno registrato successi innegabili. La Cina, nella linearità di un’impresa titanica, ha trovato la scorciatoia per l’industrializzazione. Ha consegnato alla storia l’egualitarismo del modello maoista e ha adottato le dinamiche capitaliste. Gli aumenti del Pil, come mai nessun paese al mondo, testimoniano il successo di un’impresa epocale. Le grandi aziende – pur non sempre – hanno trovato gloria per le loro ambizioni: nuovi mercati e profitti crescenti. I numeri delle Nazioni Unite sono inequivocabili: nel 1990 la Cina contribuiva con il 3% alla produzione industriale mondiale; nel 2013 l’analogo valore risultava del 22%.

Le magnifiche sorti e progressive. Con la Cina?

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In difesa di Ismene PDF Stampa E-mail
Lunedì 21 Ottobre 2019 15:45

di Franco Romanò

Premessa

Antigone è tornata d’attualità durante questa estate e inizio d’autunno: prima Karola Rakete e poi anche Greta Thunberg sono state paragonate all’eroina classica in articoli di giornali, sui blog e in riflessioni più o meno estemporanee. Sono i casi più recenti, ma è pur vero che negli ultimi quindici anni sono stati pubblicati saggi ben più importanti che ripercorrono interpretazioni tradizionali della sua figura, insieme ad altri - ancor più interessanti - che ne  offrono di nuove. I paragoni estivi mi sembrano superficiali, ma ciononostante da considerare, perché interpretano senz’altro un sentire comune diffuso, dal momento che sono stati riproposti più volte.

La sorella opaca

L’esaltazione di Antigone non mi ha mai convinto del tutto. Il personaggio è certamente fra i più affascinanti inventati dall’arte di Sofocle ed è, come tutti quelli classici, poliedrico, perché ritorna in scena più volte, in contesti, tragedie e narrazioni diverse. Antigone, in Edipo a Colono, per esempio, è un personaggio assai diverso e altrettanto grande, rispetto a quello più celebrato nella tragedia che porta il suo nome. Probabilmente, gioca a favore del testo sofocleo una maestria compositiva che tocca in Antigone (come in Edipo re) i suoi livelli più eccelsi: Hegel la definì, cito a memoria, la tragedia perfetta; mentre in Edipo a Colono la materia si diluisce di più.

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Sfocature PDF Stampa E-mail
Mercoledì 16 Ottobre 2019 15:58

di Adriana Perrotta Rabissi

 

Sfocature

 

Così osserva Franco Romanò nella lettura di questi racconti che appare in coda ai testi: "Ellissi e rapidità della scrittura, periodizzazione secca e stringata - nella quale si sente a volte l'eco di Agotha Kristoff molto amata dall'autrice - repentini cambi di scenario creano intorno a queste concrezioni di senso un vuoto oppure delle sfocature, delle distorsioni. Tali concrezioni, tuttavia, sono a loro volta una mescolanza di elementi presi dalla realtà, dal sogno, dal libero flusso di pensieri."

Distorsioni

Impegnata a sistemare nel bagagliaio dell’auto una scatola tra valigie, sacche e borse, non si accorge dell’uomo fermo dietro di sé, immobile tranne che per il pomo d’Adamo che sale e scende in modo rapido. Si volta con un breve sorriso accompagnato da uno sguardo interrogativo, l’uomo si riscuote e passa oltre, senza parlare, come preso da urgenza. Tra una divagazione della mente e l’altra ripensa a quando ha rischiato di esporsi a sguardi indiscreto quell’azzardo sporadico, oscillante tra spavalderia e ritegno, di girare in minigonna senza slip. Ma forse l’ha immaginato, o l’ha sognato.

Al lavoro non ama distrazioni che non siano l’abbandono al fiume sotterraneo di pensieri-emozioni nel quale immergersi e nuotare, ogni tanto. Si racconta storie delle quali è protagonista, sorride o rabbrividisce durante la narrazione. Nessun disturbo o interruzione. D’all'esterno, osservando attraverso il vetro opalescente dell’ufficio, sembra si stia svolgendo qualcosa che non può essere interrotto. Quando riemerge constata con soddisfazione di aver ha ampliato per qualche tempo l’arco di vita.

Desidera con forza essere apprezzata, un po’ temuta anche, a volte si chiede quanto influisca sull’ammirazione che ricerca con meticolosità, l’aspetto fisico, o l’intelligenza esibita senza arroganza, la cortesia dimostrata nelle relazioni anche occasionali, la competenza nel suo lavoro

Non sa se preferisce gli uomini o le donne.

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Un Pinocchio crudamente caldo PDF Stampa E-mail
Sabato 04 Gennaio 2020 12:57

di Paolo Rabissi

Burattino 'per bene' in carne e ossa anche Pinocchio è lavoratore autonomo di secondo Ottocento precario senza mutua. Una lettura fuori dagli schemi disneyani e del nostrano realismo accomodato.

Il film Pinocchio del regista Matteo Garrone è attualmente nelle sale. E’ un film glaciale. Il critico Mereghetti sul CorriereTV dice meglio ‘una fredda illustrazione’, meglio perché aggiunge illustrazione. Dicono Sabatini Colletti del termine nel loro dizionario:  Figura, disegno, fotografia che accompagna un testo a scopo esplicativo, documentario o ornamentale: i. in bianco e nero. Colori non mancano nel film, rimandano all’ocra delle terre toscane. E la fotografia accompagna magistralmente lo scopo esplicativo e documentario del libro di Collodi. Che resta però glaciale. Il Pinocchio che conosco è invece per me crudamente caldo. Mi sono interrogato sui motivi della scelta del regista. Ma ho lasciato perdere, mi sono invece piuttosto preoccupato del fatto che un Pinocchio così possa piacere ai bambini.

Il caldo crudo del libro di Collodi viene dalle avventure e dalla lingua, ricca di umori contadini e artigiani toscani. Sulle avventure non mi soffermo, sulla lingua aggiungo solo che Manzoni non l’avrebbe amata, scoppiettante di toscanismi com’è. Lui si sa con i dialetti non voleva averci a che fare. Collodi invece è spirito libero e scrive di seguito. Scrive libri per la scuola. Scrive per i ragazzi poveri com’era stato lui, ai quali qui un messaggio lo manda chiaro e forte: fate i matti finché potete ma fate presto, l’unico futuro che avete davanti è nella vostra capacità di trovarvi un lavoro. Perché nell’Italia degli anni ottanta (il libro esce tra il 1881 e il 1883) di lavoro se ne trova poco e semmai occorre inventarselo. Come oggi. Come ieri, ai tempi di Pinocchio, quando l’industria è ancora poca cosa e lo Stato non fa nulla.

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Ecologia del tempo. Un nuovo sentiero di ricerca PDF Stampa E-mail
Giovedì 23 Maggio 2019 13:16

di Piero Bevilacqua


Riproduciamo, con le note redazionali di Adriana Perrotta Rabissi e Franco Romanò, gli ultimi due capitoli del saggio di Piero Bevilacqua 'Ecologia del tempo. Un nuovo sentiero i ricerca'. L'intero saggio compare su 'Altronovecento, ambiente, tecnica, società. Rivista on line promossa dalla Fondazione Luigi Micheletti'. Dei due capitoli iniziali – Il tempo della fabbrica e Un secolare apprendistato sociale – riportiamo l’ultimo capoverso del secondo che ci sembra riassumere efficacemente la lunga digressione storica.

Il saggio di Bevilacqua ricostruisce il lungo processo storico che ha piegato gli individui e la natura stessa alla logica della produzione capitalistica. Lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali ha introdotto una drammatica asimmetria fra il tempo della natura e quello del consumo di cui solo recentemente si stanno tutte le implicazioni, così come la percezione del lavoro occulto necessario alla riproduzione sociale, in larga parte delegato alle donne.

The essay written outlines the long historical process which has folded human beings an nature to the logic on capitalistic production.The intensive exploitation of natural resources has created a dramatic asimmetry between time of nature and time of consumption, which only recently we are perceiving all implicaitons on: the same happens for what concerns for the occulto work necessary to social reproduction, mainly delegated to women.
*

"Dunque, il sistema industriale di fabbrica organizzato dal capitalismo per produrre merci su una scala incomparabilmente più vasta rispetto al passato ha inaugurato un mutamento epocale: un’appropriazione totalitaria del tempo di vita degli uomini ( e, come vedremo, una dimensione e velocità di sfruttamento della natura destinata a crescere indefinitamente.) Finora gli storici hanno sottolineato, di questo grande mutamento, soprattutto le conquiste della tecnologia, la crescita senza precedenti della produzione della ricchezza, lo sfruttamento dei lavoratori. Assai meno l’inizio una nuova storia della vita biologica e psichica degli esseri umani: quello della perdita del controllo personale del tempo della propria vita e il loro assoggettamento a una potenza astratta e totalitaria che li avrebbe rinchiusi entro ferree delimitazioni e ritmi imposti. Gli uomini sottomessi al tempo della società industriale diventavano gli utensili di una nuova epoca di asservimento. E oggi suona paradossale rammentare che, nell’epoca in cui Immanuel Kant indicava come supremo principio etico del nascente illuminismo quello di considerare « l’uomo sempre come fine e mai come mezzo», gli uomini in carne ed ossa stavano per essere trasformati, nella loro grande maggioranza, in mezzi della società industriale capitalistica."

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L'intreccio patriarcato-capitalismo libero dai marxismi. PDF Stampa E-mail
Mercoledì 27 Marzo 2019 10:50

di Franco Romanò

Questo saggio è stato ampiamente discusso nella redazione ed è solo la prima parte di una riflessione più ampia che seguirà. Una rinnovata critica radicale al sistema capitalistico non può prescindere dai suoi intrecci con il patriarcato: è questo il nodo che i marxismi novecenteschi in tutte le loro declinazioni, non hanno saputo o potuto affrontare. Nel pensiero più vitale e meno determinista di Marx, liberato dalle tradizioni novecentesche, ci sono tuttavia spunti che riteniamo dense di futuro. A partire da questa considerazione e dalla pratica di resistenza dei movimenti contemporanei, il saggio si propone di offrire riflessioni e idee in divenire per una nuova soggettività antagonista.

Este ensayo fue muy discutido en la redacción y es la primera parte de una reflexión más amplia que aún continua. Una crítica renovada y radical al sistema capitalista no puede aislar sus lazos con el patriarcado: este es el nudo que los marxistas del novecientos, en todas sus declinaciones, no han sabido afrontar. En el pensamiento de Marx liberado de las tradiciones del siglo XX, más vital y menos determinista, surgen sin embrago, palabras claves y reflexiones que retenemos llenas de futuro. A partir de esta consideración y de la práctica de resistencia de los movimientos contemporáneos, el ensayo se propone ofrecer esbozos e ideas en devenir para una nueva subjetividad antagonista.


This essay has been largely discussed by the editorial board of Overleft and it is just the first issue of a reflection that will continue.A reiterate and radical criticism to the capitalistic system cannot be regardless to its interaction with patriarchy: this is the node that twentieth century marxisms in all their declinations were not able to face up to or couldn't to. In Marx’s most vital and less deterministic thought, freed from twentieth century traditions, there are nevertheless cues that we consider dense of future. Starting form this point of view  and from the practice of resistance by contemporaries social movements, this essay intends to offer reflections and ideas in progress for a new antagonist subjectivity.

Introduzione

Continuiamo a rileggere Karl Marx. Un po’ per lasciarci alle spalle tutti i ‘marxismi’, un po’ perché nel Marx giovane continuiamo a trovare sorprese sulle quali ci sembra molto opportuno riflettere; ma su Overleft abbiamo anche lo sguardo puntato sul presente, soprattutto su ogni movimento che definisca la propria lotta dentro una critica radicale al capitalismo e al suo intreccio col patriarcato, un presupposto quest’ultimo per noi irrinunciabile che proviene dalle analisi e lotte di buona parte del femminismo.

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Maschio guerriero, maschio protettore. Note sul femminicidio PDF Stampa E-mail
Mercoledì 09 Novembre 2016 13:40

di Paolo Rabissi

L’uomo deputato dalla cultura patriarcale alla protezione della propria donna (dei figli, della patria ecc.) intrappolato in un paradosso mortale, di fronte all’abbandono ne diventa troppo spesso l'omicida.

The man, deputed by the patriarchal culture, to the protection of his own woman (and of sons, homeland and so on)and being trapped in such a deadly paradox, when abandoned by her, very often becomes the killer of.

1)

Per me uomo, bianco, educato all’eterosessualità, non è poi così semplice e intuitivo l’uso della parola ‘femminicidio’. Perché il femminicidio non è il semplice omicidio di una donna, si presenta dentro una casistica articolatissima in cui a commettere violenza è ora il padre, ora il fratello, ora il conoscente anche se più frequentemente l’uccisione di una donna avviene per mano del partner abbandonato, per un altro/a ma anche no.

Non è nemmeno semplice l’uso della parola sessismo. Perché devo distinguere tra misoginia, antifemminismo e sciovinismo maschile, che, per quanto odiosi, sono componenti indiscutibili del sessismo ma meno gravi delle forme estreme di manifestazione come il femminicidio e anche la mercificazione del corpo e dell’immagine femminile che, per la sua carica razzista di fondo, del femminicidio è supporto.

Le cose cominciano ad essere più chiare quando risalendo al patriarcato, che è organizzato sulla subordinazione del femminile al maschile, ti rendi conto che il sessismo è l’insieme di idee, credenze e convinzioni, stereotipi e pregiudizi ecc, che perpetuano e legittimano la gerarchia e la disuguaglianza fra i sessi, per usare le parole di Annamaria Rivera (La bella, la Bestia e l’Umano, Ediesse, 2010).

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Cinema delle rovine PDF Stampa E-mail
Domenica 20 Maggio 2018 07:57

di Adriana Perrotta Rabissi

Comunicare nel modo più ampio possibile con il linguaggio cinematografico la deriva che stiamo correndo, tutti e tutte, abbagliati/e dallo sfavillio dei consumi noi, prostrati dalla paura e dalla miseria gli altri, svelare le radici storiche dell'infelicità di miliardi di persone, indurre la presa di coscienza di fenomeni che si preferirebbe ignorare apre a possibilità e prospettive inedite di resistenza e lotta.

To communicate, in the widest possible way, the moral drift that all of us are involved with, using movie language. In the western side of the world we are dazzled by the sparkling of consumption, while others are worn out by fear and poverty. The movies considered in this essay reveal the historical roots of the unhappiness of   billions of people trying to cause better awareness of phenomena that normally one prefers to ignore. Last but not least the movies are opened to new opportunities of resistance and struggle.

Intentamos comunicar, de manera lo más amplia posible, la deriva a la cual están llegando estas nuevas subjetividades, para ello se ha utilizado el lenguaje cinematográfico. En el mundo occidental muchos están deslumbrados/as por los fulgores del consumismo, mientras otros están postrados de miedo y pobreza. Las películas consideradas en este ensayo tratan de descubrir las raíces históricas de la infelicidad de muchas personas en todo el mundo y, favorecer una toma de consciencia de los fenómenos que se pretende ignorar y, abrir así, a posibilidades y perspectivas inéditas de resistencia y lucha.


Conversazione tra una madre in Italia e il figlio professore in una università degli USA, si parla di Loveless, un film, appena visto da entrambi perché la programmazione è stata contemporanea nelle due città di residenza, tristissimo, ma efficace sul tema dell’alienazione dal consumismo, dell’egoismo sociale e dell’apatia etica di molte/i abitanti della Russia attuale.
Il professore commenta il film e dice: sto proprio scrivendo tutto un capitolo del mio libro sull’ideologia dominante dell’ordine capitalista.
La madre: intendi il pensiero unico, l'ordoliberismo, la sussunzione della vita nei processi produttivi, lo sfruttamento delle fasce più povere delle popolazioni?
Il professore: esatto!
La madre: attento, poi finisce che ti espelleranno dagli USA.
Il professore: ma va! In Accademia sono le cose più trendy da dire.

Non so se questo squarcio di colloquio mi ha fatto più ridere o piangere.

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La vita nuova di 'Overleft' PDF Stampa E-mail
Domenica 21 Gennaio 2018 11:57

Overleft, per una critica del sentire comune

Siamo di nuovo a una svolta di Overleft. Tre anni fa decidemmo di concentrare l’attenzione sul campo che ai nostri occhi era apparso nell’insieme della rivista più originale: quello dei nessi tra patriarcato-cura-relazioni-uomo-donna e capitalismo nelle sue forme attuali. L’abbiamo fatto tentando anche qualche contributo teorico e cercando di  rimanere agganciati non solo al dibattito ma anche ai movimenti, confortati dal fatto che l’impegno critico su questo campo si sta allargando.

Oggi però ci troviamo in una difficoltà che non è solo nostra ma di tutti i movimenti che si muovono nell’ottica del superamento delle logiche e illogiche del capitalismo e del patriarcato: da un lato c’è una imponente mole di riflessioni che da più parti del mondo viene proposta, dall’altro il che fare, al quale prova a dare risposta, ne è testimone la rete, la congerie di forme di resistenza e opposizione sia nel mondo della produzione (pensiamo in particolare alla logistica) che nel campo della riproduzione (nel quale le iniziative femministe hanno avuto un culmine significativo l’8 marzo del 2016 per approdare a nuove riflessioni e manifestazioni dello scorso autunno ‘17 ).

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